§ 109. Ora, fra i banditori orali della « buona novella » vi fu una classe speciale, a cui sembra che fosse affidata in modo particolare la missione di trasmettere la narrazione e testimonianza dei fatti di Gesù: per conseguenza questi particolari banditori furono designati, con termine spontaneo, come i « buoni-novellisti» ossia gli « evangelisti » (Efesi, 4, II; II Timoteo, 4, 5; Atti, 21, 8). Senza dubbio la catechesi in genere, che mirava alla edificazione e formazione spirituale dei credenti, era favorita indistintamente da tutti quei carismi di cui parla più volte S. Paolo esaltando la loro efficacia parenetica (I Cor., 12, 8-10. 28-30; 14, 26; Rom., 12, 6-8; ecc.); tuttavia il carisma dell'”evangelista”, insieme con quello dell'”apostolo”, era all'avanguardia ed apriva la strada agli altri carismi, appunto perché gettava il primo seme della fede in Gesù e narrando la biografia di lui. Ecco pertanto come la missione degli « evangelisti » è descritta da Eusebio: Essi avevano il primo ordine nella successione degli apostoli. Essendo discepoli meravigliosi di tali maestri, essi costruivano sopra i fondamenti delle chiese che erano stati dapprima gettati in ogni luogo dagli apostoli, dilatando sempre piu' il messaggio ) e disseminando la salutare semenza del regno dei cieli in largo su tutta la terra... Usciti di patria, compivano l'opera di evangelisti ansiosi di bandire il messaggio a coloro che non avevano udito affatto nulla della parola della fede e di trasmettere la scrittura dei divini vangeli. Essi, dopo aver gettato solo i fondamenti della fede in taluni luoghi stranieri, vi stabilivano altri pastori ai quali affidavano la cura di coloro ch'erano stati testé introdotti: di nuovo, poi, si trasferivano in altre contrade e nazioni con la grazia e cooperazione di Dio (Hist. eccl., III, 37). Questa descrizione è opportunamente provocata dalla menzione di Filippo, che è il solo « evangelista » nominato nel Nuovo Testamento (Atti, 21, 8) e che difatti aveva evangelizzato Samaria (Atti, 8, 5 segg.) e altre regioni (Atti, 8, 40).
§ 110. Con ciò siamo penetrati in quella miniera da cui estrassero i loro materiali quei molti scrittori che, come vedemmo sopra (§ 106), avevano composto narrazioni dei fatti di Gesù già nel sesto decennio del secolo I, e la cui opera fu o contemporanea o anche parzialmente anteriore alla composizione dei vangeli canonici. Quella grande miniera comune si chiama « catechesi »; e la catechesi senza dubbio era sostanzialmente unica, sebbene potesse venir presentata sotto forme o tipi alquanto differenti che mettessero capo ai vari e più autorevoli banditori della «buona novella». D'altra parte la Chiesa primitiva non si è curata di tutti indistintamente i molti scritti apparsi lungo il secolo I, ma solo di quattro fra essi: degli altri si è disinteressata, e perciò sono andati perduti, mentre i quattro prescelti divennero le quattro colonne basilari dell'edificio della fede. Ad essi soli la Chiesa attribui un valore di storiografia ufficiale; in essi ella riconobbe l'ispirazione di Dio, e perciò li incluse nell'elenco di Scritture sacre chiamato Canone: sono appunto i quattro vangeli canonici, ossia le quattro « Buone novelle» del Nuovo Testamento. Ma la Chiesa non perse mai di vista l'origine unitaria dei suoi quattro vangeli. Se gli scritti erano quattro, la fonte era una sola, cioè la catechesi. Onde, con perfetta aggiustatezza storica, nel secolo Il Ireneo parla di un solo vangelo quadriforme, come nel secolo seguente Origene afferma che il vangelo, certamente attraverso quattro, e' uno solo, ai quali, ancora nel secolo IV, fa eco S. Agostino parlando dei quattro libri d'un solo vangelo.
§ 111. E dell'antico sentimento della Chiesa circa questa comune origine dei quattro vangeli si ha una riprova nei titoli sotto cui essi sono giunti fino a noi. I titoli suonano in greco Marco, Luca, Giovanni, le quali espressioni si trovano trasportate di peso in latino da scrittori del secolo II, come Cipriano, e da antichi codici latini, ove si legge cata Matteo, cata Marco, ecc., pur conservandosi il significato originario di secondo Matteo, secondo Marco, ecc. Questi titoli non provengono certo dai rispettivi autori, benché designino coloro che secondo la tradizione erano gli autori; ad ogni modo negli antichi codici il titolo di Vangelo si trovava originariamente una sola volta, cioè in cima alla collezione di tutti e quattro insieme, mentre in cima ai singoli si trovava il rispettivo titolo di secondo Matteo, secondo Marco, ecc. Questa norma pratica fu dettata dall'idea che il Vangelo era in realtà uno solo, quello estratto dalla catechesi, sebbene tale unità apparisse sotto quattro forme, quella secondo Matteo, quella secondo Marco, ecc. I precedenti rilievi sono della massima importanza per comprendere quale fosse per i cristiani la vera base su cui poggiava l'autorità storica dei vangeli. Quella base era l'autorità della Chiesa, della cui catechesi era genuino e diretto prodotto l'unico quadriforme vangelo. I singoli autori delle quattro forme del vangelo in tanto valevano, in quanto erano rappresentanti della Chiesa, dalla cui autorità essi erano adombrati ma credendo ai quattro autori, il cristiano credeva in realtà all'unica Chiesa, mentre se attraverso ad essi il cristiano non fosse potuto giungere fino alla Chiesa, non avrebbe creduto al loro vangelo. Tutto ciò è espresso nitidamente da S. Agostino col suo celebre aforisma: Ego vero evangelio non crederem, nisi me catholic Ecclesia' commoveret auctoritas (Contra epist. Manich., v, 6). In conclusione, il processo storico dell'origine dei vangeli fu il seguente. La “buona novella” orale fu più antica e più ampia della « buona novella » scritta: l'uno e l'altra furono produzioni della Chiesa, e dall'autorità di questa furono adombrate. Il che equivale a dire che il vangelo scritto presuppone la Chiesa e si basa su essa.
§ 112. Questa conclusione è in assoluto contrasto con l'antico concetto che la Riforma luterana si fece dei vangeli canonici, e taluno potrebbe forse sospettare che sia una conclusione ispirata da mire polemiche più che fondata sulla pura documentazione storica. Senonché alla stessa conclusione sono giunti recentemente anche studiosi che, non solo non hanno alcuna preoccupazione di apologia cattolica, ma sono invece seguaci dei metodi più radicali e più demolitori riguardo alla critica dei vangeli. Basterà riportare il giudizio di uno solo fra essi: In seguito alla fissazione del canone del Nuovo Testamento alla fine del secolo II si fini per dimenticare che i nostri Vangeli hanno una preistoria importantissima e che bisogna collocarli, non già all'inizio, ma al termine di un lungo processo anteriore. Perciò nella sua nozione della tradizione il cattolicismo si e' sempre guardato da una considerazione esagerata ed esclusiva della lettera scritta... Con la Riforma il nostro concetto sull'origine dei Vangeli venne falsato. La Riforma tirò le ultime conseguenze dalla canonizzazione del Nuovo Testamento, facendo dell'ispirazione verbale il suo dogma essenziale. Mentre il cattolicismo non dimenticò mai completamente che la tradizione precede la Scrittura, i teologi sorti dalla Riforma non tennero piu' alcun conto del fatto che, fra l'epoca in cui e' vissuto Gesù e quella della composizione dei Vangeli, corre ”Vita di Gesu'” scritta. E’ strano rilevare che proprio i teologi piu' liberali della seconda metà del secolo XIX hanno subito inconsciamente l'influenza della teoria dell'ispirazione verbale, non badando che alla lettera scritta, senza preoccuparsi dell'importante periodo in cui il Vangelo non esisteva che sotto forma di parola viva; in Revue d'histoire et de philosophie relig., 1925, pagg. 459-460).
§ 113. Di quale ampiezza, e anche di quale particolare indole, fossero gli scritti andati perduti fra i molti che circolavano lungo il sesto decennio del secolo I, non possiamo dire con sicurezza. E’ ben verosimile che in massima parte fossero d'ampiezza assai limitata, minore anche di quella di Marco che è il più breve dei nostri vangeli. Quanto all'indole, dovevano essere di tipo vario: pur trattando tutti della vita di Gesù, taluni potevano occuparsi specialmente dei fatti, altri specialmente degli insegnamenti e delle parole; tra gli scritti sui fatti, chi prendeva di mira specialmente il ministero in Galilea, chi il ministero in Giudea, chi gli avvenimenti della passione e morte, qualcuno anche i fatti dell'infanzia precedenti al ministero pubblico; tra gli scritti sugli insegnamenti, uno preferiva le parabole, un altro i comandamenti fondamentali della nuova Legge (quali si ritrovano nel Discorso della montagna), un terzo le profezie sulla fine di Gerusalemme e del mondo intero, e così' di seguito. Riscontriamo, pertanto, che questi elementi sparsi si ritrovano tutti complessivamente nei nostri tre primi vangeli chiamati Sinottici (Giovanni, sotto questo aspetto, fa parte a sé), come pure troviamo che i Sinottici alla loro volta mostrano una trama generica comune. Le linee costanti di questa trama sono: il ministero di Giovanni il Battista e il battesimo di Gesù; il ministero di Gesù in Galilea; il ministero di Giudea; la passione, morte e resurrezione. A queste linee costanti può esser premessa la narrazione, più o meno ampia, dei fatti dell'infanzia, come in Matteo e Luca: ad ogni modo tale narrazione serve quasi da preambolo alla trama costante, mentre il vero corpus del racconto comincia col ministero di Giovanni il Battista. Pronunciando queste parole (Atti, 1, 21-22), sembra che Pietro abbia delineato un programma generico; egli stesso mostra di attenersi a tale programma, giacché in un suo discorso segue sommariamente le quattro linee della suddetta trama, incipiens a Galilea post baptismum quod predicavit Joannes e finendo con le apparizioni di Gesù dopo la resurrezione (Atti, 10, 37-41). Siffatta corrispondenza fra il programma e l'azione di Pietro (cfr. anche Atti, 2, 22-24), e inoltre il posto sovreminente da lui tenuto fra i primissimi banditori della “buona novella”, rendono legittima la supposizione che appunto a Pietro risalga la trama di quella catechesi le cui linee generali si ritrovano complessivamente seguite dai nostri tre primi vangeli, come dovevano esser seguite isolatamente dal più dei molti scritti andati perduti. Chi fossero poi gli autori degli scritti perduti, noi non sappiamo affatto. Poterono benissimo appartenere al numero di coloro ch'erano insigniti dal carisma dell'”evangelista”; taluno poté anche essere testimone personale dei fatti narrati, in quanto era stato discepolo immediato di Gesù morto un ventennio prima: tuttavia dal confronto di Luca, 1, 1 con 1, 2, sembra risultare una contrapposizione tra scrittori e testimoni, per cui i primi dipenderebbero dai secondi e non sarebbero - almeno nella maggioranza - testimoni essi stessi. Quanto agli autori dei vangeli canonici, e al tipo di catechesi da cui ciascuno di essi dipende, non resta che ricercare le testimonianze della tradizione, passando cosi dal periodo di preparazione a quello di composizione dei quattro vangeli.
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