XII Scrittori romani ed altri
§ 92. Nel secondo decennio del secolo Il tre scrittori romani parlano di Cristo e dei cristiani. La celebre lettera scritta verso il 112 da Plinio il Giovane all'imperatore Traiano (Epist., X, 96) non dice nulla circa la persona di Gesù; attesta soltanto che nella Bitinia, governata da Plinio, erano molto diffusi i cristiani, i quali erano soliti "stato die ante lucem convenire carmenque Christo quasi deo dicere". Poco anteriori all'anno 117 sono gli Annali di Tacito, che è il meno avaro sull'argomento. Trattando di Nerone e dell'incendio di Roma dell'anno 64, egli dice che quell'imperatore, per dissipare le voci che l'incendio fosse stato comandato, ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissimi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti chiamava Cristiani. L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono e sono esaltate tutte le cose atroci e vergognose (Annal., XV, 44); segue poi la descrizione dei supplizi usati contro i cristiani nella persecuzione neroniana. Come appare subito, questa testimonianza pagana della lontana Roma conferma alcune fondamentali notizie della vita di Gesù che circolavano in Palestina già nel secolo precedente. Qualche anno dopo, verso il 120, Svetonio conferma genericamente che sotto Nerone furono sottoposti a supplizi i Cristiani, razza d'uomini d'una superstizione nuova e matefica (Nero, 16); ma, quando tratta del precedente impero di Claudio, fornisce una notizia nuova, riferendo che costui espulse da Roma i Giudei i quali, ad impulso di Cristo, facevano frequenti tumulti (Claudius, 25). Questa espulsione, confermata da quanto dicono gli Atti, 18, 2, avvenne fra gli anni 49 e 50. Non si può ragionevolmente dubitare che l'appellativo di Cristo di Svetonio sia il termine greco « christòs », traduzione etimologica del termine ebraico “messia” (§ 81); tanto più che, come ha già fatto Tacito nel passo qui sopra riportato, anche in seguito i cristiani saranno chiamati cristiani (Tertulliano, Apolog., 3). Si può concludere quindi che a Roma, circa un ventennio dopo la morte di Gesù, i Giudei ivi dimoranti avevano assidui e clamorosi contrasti riguardo alla qualità di “Cristo”, o Messia, attribuita allo stesso Gesù, la quale evidentemente da alcuni gli era riconosciuta e da altri negata: i primi erano senza dubbio i cristiani, specialmente quelli convertiti dal giudaismo. Svetonio, che scrive 70 anni dopo gli avvenimenti ed è ben poco informato del cristianesimo, s'immagina che il suo Cristo sia stato presente personalmente a Roma e vi abbia provocato i tumulti. Dell'imperatore Adriano abbiamo una lettera indirizzata verso l'anno 125 al proconsole d'Asia, Minucio Fundano, e conservataci da Eusebio (Hist. eccl., IV, 9): vi si impartiscono solo norme per i processi contro i cristiani. Allo stesso imperatore è attribuita una lettera indirizzata verso il 133 al console Serviano (Flavio Vopisco, Quadrigee tyrannorum, 8, in Script. Hist. Aug.), ove sono incidentalmente nominati Cristo e cristiani. Si noti pertanto come questi scrittori romani non riportino mal il nome di Gesu', ma solo quello di Cristo (Cresto).
§ 93. Da scrittori non romani dei primi due secoli non si ricava di più. Il sarcastico Luciano, semita ellenizzato, beffeggia spesso i cristiani, ma fa rare allusioni a Gesù: le più sicure sono quelle contenute nel Peregrino (11 e 13), di circa l'anno 170, ove si ricorda che il primo legislatore dei cristiani, sofista e mago, fu crocifisso in Palestina. Di un altro semita, Mara figlio di Serapione, abbiamo una lettera in siriaco, indirizzata a suo figlio Serapione, che contiene un'allusione a Gesù (in Cureton, Spicilegium syriacum, pag. 43 segg.); insieme con Socrate e Pitagora vi è nominato, in maniera onorifica, un sapiente re dei Giudei messo a morte dalla propria nazione, la quale perciò è stata punita da Dio con la distruzione della capitale e con l'esilio. E’ chiaro, dunque, che la lettera fu scritta dopo gli avvenimenti palestinesi del 70; ma è impossibile una datazione più precisa della lettera, che può essere benissimo del secolo II molto inoltrato, come neppure risulta con sicurezza se l'autore sia un cristiano dissimulato oppure un pagano stoico ammiratore del cristianesimo.
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