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giovedì 3 marzo 2011

895 - Vita di Gesù (paragrafi 68-73)

IX Pratiche e credenze del giudaismo

§ 68. Fra tutte le prescrizioni esterne della religione giudaica le due principali ai tempi di Gesù erano il rito della circoncisione e l'osservanza del sabbato. Specialmente contro questi due pilastri del giudaismo aveva indi­rizzato la sua violenza la persecuzione scatenata in Palestina da Antioco IV Epifane nel 167 av. Cr.; ma i pilastri, sebbene scalfiti, avevano resistito. Succeduta la pace religiosa e l'autonomia nazio­nale, i due pilastri non solo furono anche più rafforzati, ma per naturale reazione furono fatti scendere tali quali dal cielo. Poco prima del 100 av. Cr. un Giudeo palestinese, molto zelante e forse Fariseo, l'autore dell'apocrifo Libro dei Giubilei, era in grado d'in­formare che gli angeli in cielo osservano ambedue queste prescri­zioni del giudaismo, perché sono circoncisi (XV, 27) e rispettano il sabbato; anzi il sabbato è osservato in cielo da Dio stesso (II, 19, 21). La successiva tradizione rabbinica s'inoltrò su questa strada. Si affermò che nel mondo di là Abramo sederà all'ingresso della Gehenna e non permetterà che vi discenda alcun Israelita cir­conciso; tuttavia, qualora ad Abramo si presenti tale Israelita che in vita sua sia stato un insigne furfante, il patriarca degli Ebrei pri­ma gli cancellerà miracolosamente le tracce della circoncisione, e solo dopo ciò lo caccerà nella Gehenna (Genesi Rabba, XLVII, 8): con la circoncisione, insomma, non si entrava nella Gehenna, e al­trettanto - a quanto pare - si otteneva mediante l'osservanza del sabbato. Si tratta evidentemente di speciali credenze più o meno diffuse fra dotti e plebei, ma che ad ogni modo sono segnalazioni importanti di un dato stato d'animo.

§ 69. La circoncisione era il segno d'appartenere alla nazione prediletta del Dio Jahvè, l'attestato di partecipazione alla discendenza spirituale di Abramo e ai vantaggi dell'alleanza da lui stretta con Jahvè (Genesi, 17, 10 segg.). Perciò il massimo obbrobrio dei pagani, agli occhi di un Israelita, era quello di essere incirconcisi, e con questo appellativo erano essi chiamati quando si voleva infliggere loro la massima umiliazione. Il bambino riceveva la circoncisione l'ottavo giorno dalla sua na­scita: l'operazione poteva essere compiuta da qualunque Giudeo, preferibilmente dal padre del bambino, e di solito si praticava in casa. In questa occasione s'imponeva ufficialmente il nome al bambino.

§ 70. L'osservanza del sabbato era soggetto di minutissime prescrizioni da parte dei rabbini: se ne può avere un concetto da molti passi del Talmud, e specialmente dai suoi due trattati Shabbath e Erubin, dedicati quasi esclusivamente a quest'argomento. Il precetto del sabbato, applicato in tutto il suo rigore, avrebbe im­portato l'astensione da qualsiasi lavoro d'ogni genere: quindi anche l'astensione dal difendere la propria vita minacciata a mano ar­mata, come non la difesero parecchi Giudei durante la persecuzione di Antioco IV Epifane (I Maccabei, 2, 31-38), e inoltre l'astensione da tutto ciò che è necessario per soddisfare le necessità corporali, come se ne astenevano gli Esseni (Guerra giud., n, 147); (§ 44). Ma, evidentemente, siffatto rigore non poteva conciliarsi con le esigenze della vita sociale: di qui le numerose norme rabbiniche, che cerca­vano di mantenere per quanto era possibile il principio teoretico pur non escludendo le urgenze pratiche. Sono elencati 39 gruppi di azioni con cui, secondo i rabbini, si violava il sabbato (Shabbath, VII, 2); tali erano i casi di sciogliere o stringere un nodo di fune, di spegnere una lampada, di eseguire due punti di cucito (numericamente due), di scrivere due lettere (d'alfa­beto), ecc. Tuttavia la casuistica degli stessi rabbini alleggeriva spesso il rigore delle norme generiche: cosi, riguardo alla proibizione di sciogliere un nodo di fune, ad esempio della cavezza d'un cavallo, Rabbi Meir sentenziò che se un camelliere poteva scioglierlo con una sola mano, non c'era violazione del sabbato; parimente era proibito stringere un nodo per calare una secchia nel pozzo, ma fu sentenziato che se il nodo era fatto non con una fune ma con una benda qualsiasi, non c'era violazione del sabbato. E i casi d'interpretazione benigna si moltiplicarono grandemente. Ad essi è dedicato specialmente il trattato Erubin, che mediante artificiosità giuridiche mira a rendere lecito il trasporto fuor della pro­pria casa o terra di un dato oggetto, mentre ogni trasporto sarebbe stato proibito anche se si trattava di un fico secco (Shabbath, vii, 3 segg.); Io stesso trattato mira anche ad aumentare la misura del passeggio o cammino permessi di sabbato, che regolarmente non doveva superare i 2000 cubiti, cioè circa 900 metri.

§ 71. Il sabbato giudaico cominciava, conforme al computo del calendario ebraico, dal tramonto del nostro venerdì e durava fino al tramonto del nostro sabbato. Il pomeriggio del venerdì era chiamato “vigilia del sabbato” o anche “parasceve” cioè “preparazione”; quest'ultimo appellativo era dovuto al fatto che in quel pomeriggio si preparava tutto l'occorrente per l'inoperoso sab­bato, a cominciare dai cibi, giacché una delle 39 azioni proibite di sabbato era quella d'accendere il fuoco. Il rigore del riposo sabbatico poteva bensì cedere a ragioni di natu­ra superiore, ma anche qui continuava la minuziosità casuistica dei rabbini. Di sabbato, quindi, era permessa la circoncisione, ma con talune limitazioni riguardo agli atti accessori; era lecito preparate il sacrificio della Pasqua, ma tralasciando ciò che non era stretta­mente necessario; il sacerdote di servizio nel Tempio poteva com­piere gli atti materiali della liturgia prescritta, e se si feriva un dito poteva medicarselo dentro il Tempio stesso, ma non già fuori. Riguardo all'assistenza sanitaria si era stabilita la norma che il ri­poso del sabbato era superato dal pericolo di vita, ma come al solito la norma riceveva precisazioni di vario genere: il Talmud permette a chi abbia dolor di denti di sciacquarseli con aceto, purché dopo lo inghiottisca (giacché ciò è prender cibo), ma non gli permette di risputarlo fuori (giacché ciò sarebbe prendere una medicina) (Tosefta Shabbath, XII, 9): parimente permette a chi abbia la mano o il piede lussati di bagnarli nell'acqua fredda come al solito (lavanda quotidiana), ma non già di agitarveli dentro (Shabbath, XXII, 6). Astrazione fatta da questa soffocante legislazione, il sabbato era per il giudaismo giorno di letizia e di religiosa spiritualità. Il Talmud stesso prescrive di riserbare a questo giorno i cibi migliori, preparati però alla vigilia; si usavano anche ornamenti e vesti festive. Buona parte del tempo si impiegava in pratiche religiose alla sinagoga o in casa propria, o in pie letture favorite anche dalla forzata inope­rosità.

§ 72. Se la circoncisione riguardava il Giudeo una sola volta nella vita e il sabbato una sola volta la settimana, esisteva un complesso di leggi che non lo lasciavano immune giammai, accompagnandolo in ogni sua azione e in ogni ora del giorno e della notte: erano le leg­gi sulla purità e l'impurità. Per il Giudeo la macchia morale del peccato non avveniva senza una specie di macchia anche fisica, come per contrario il contatto fisico con determinati oggetti ch'erano effetto di peccato o in qual­che maniera rispecchiavano il peccato, produceva in chi li tocca­va una minorazione spirituale, una specie di macchia morale. I casi erano innumerevoli, e ben più del riposo del sabbato fornirono ar­gomento inesauribile alla legislazione rabbinica. Dei sei “ordini” o grandi sezioni in cui è divisa la Mishna - cioè la parte fondamentale del Talmud e commentata da esso - un in­tero ordine, Tohoroth “ purità”, composto di 12 trattati, tratta di questo argomento. Per avere una vaga idea del contenuto, basterà citare i nomi dei trattati. Kelzm, “vasi”; sui vasi e altri oggetti di famiglia e la loro purità. Ohalòth, “tende”; sulla purità delle abitazioni specialmente in caso della presenza d'un cadavere. Ne­gaim, “piaghe”; sulle manifestazioni della lebbra. Parah, “vacca”; sulla vacca rossa (cfr. Numeri, 19). Tohornth, “purità”; sulle impurità che cessano col tramontar del sole. Miqwaoth, “bagni”; sui requisiti dei serbatoi d'acqua. Niddah, “mestruazione”>; su tale ar­gomento. Makshirin, “preparazioni”; sui liquidi che comunicano impurità. Zabin, “effondenti”; su uomini affetti da perdite sessua­li. Tebuljòm, “immerso nel giorno”; su chi ha subito l'immersione purificatrice, ma non è puro fino al tramonto. Jadajim, “mani”; sulle purità delle mani. Uqszn, “picciuoli”; sui picciuoli delle frut­ta come trasmettitori d'impurità. Ognuno di questi 12 trattati, con­tenenti da un minimo di 3 capitoli a un massimo di 30, scende a tale minuziosità di casi e di relativi precetti, che è impossibile rias­sumerli anche sommariamente. Nè è da credere che siffatta congerie di prescrizioni fosse suggerita da mire semplicemente igieniche, o si potesse prendere alla leggiera; al contrario, lo spirito che le dettava era strettamente religioso e chi non le avesse osservate avrebbe violato precetti sacri. Troviamo in­fatti sentenze rabbiniche di questo genere: Chi mangia pane senza lavarsi le mani, e' come uno che frequenta una meretrice; ...chi trascura di lavarsi le mani, sarà sradicato dal mondo (Sotah, 4 b). Al­trove si domanda chi sia uno del “popolo della terra”, cioè uno di coloro che secondo il grande Hillel non temevano il peccato e non erano pii (§ 40), e si risponde che è tale chi mangia il suo cibo pro­fano non in stato di purità, cioè senza lavarsi le mani (Berakhòth, 47 b). Altrove ancora sono riportate sentenze di scomunica pronun­ziate contro chi trascurava di lavarsi le mani prima del pasto (Be­rakhòth, 19 a; Edujjòth, v, 6). Si estendano queste prescrizioni, e le loro relative sanzioni, dalla lavanda delle mani alle varie specie di cibi puri o impuri, e alle mille altre azioni della vita quotidiana contemplate nei suddetti 12 trat­tati, e si avrà una qualche idea della rigidissima clausura che la Ca­suistica dei rabbini imponeva alla vita sociale in forza d'un principio religioso. Su tutta quella fioritura di sentenze si adagiavano come su un letto di rose i legisti Farisei, i quali invitavano il pio Israelita a fare altrettanto se voleva osservare davvero i comandamenti del Dio Jahvè; ma il pio Israelita, che provava effettivamente ad ada­giarvisi, ci si ritrovava come su un letto di spine, le quali laceravano ogni momento la sua ansiosa coscienza senza dargli alcun refrigerio di religiosità intima.

§ 73. Ciò avveniva nell'enorme maggioranza dei casi, in cui non si andava più in là del puro formalismo. Tuttavia non mancarono spiriti eletti che, scendendo più profondamente, raggiunsero la spi­ritualità religiosa da cui avrebbero dovuto essere animate le osser­vanze di quella purità legale che già era stata stabilita nell'Antico Testamento. In tal senso un maestro di poco posteriore a Gesù, cioè Johanan ben Zakkai morto verso l'80 dopo Cr. poté ammonire i suoi discepoli: Nella vostra vita né il morto rende impuro, né l'acqua rende puro, bensì è la prescrizione del Re dei re; Iddio ha detto: “Io ho stabilito una norma, io ho imposto una prescrizione; nessun uomo ha il diritto di trasgredire la mia prescrizione” (Pesi qta, 40 b). Disgraziatamente perle siffatte sono estremamente rare nell'ocea­no della causistica rabbinica.
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