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lunedì 14 febbraio 2011

881 - Vita di Gesù (paragrafi 46-49)

VI Tempio e sacerdozio


§ 46. Il giudaismo, conservando anche sotto la dominazione di Roma il suo ordinamento teocratico-nazionale, continuò ad avere il suo centro spirituale in Gerusalemme: ivi, infatti, stava l'unico Tem­pio eretto legittimamente a Jahvè, il Dio della Nazione, ed in quel Tempio ministrava la gerarchia sacerdotale ch'era al vertice del­l'ordinamento teocratico. La nazionalità giudaica implicava la religione giudaica: la religio­ne richiedeva il Tempio di Gerusalemme: il Tempio esigeva il sa­cerdozio. Non solo da tutta la Palestina, ma anche dalle regioni vicine e lontane su cui si era riversata mediante la Diaspora la na­zione di Jahvè, si guardava a Gerusalemme e al sommo sacerdote, come al luogo più santo e all'uomo più vicino a Dio. Il Tempio frequentato da Gesù fu quello di Erode il Grande. Era dunque, materialmente, il terzo Tempio; il primo infatti, quello costruito da Salomone, era stato distrutto da Nabucodonosor quan­do aveva espugnato Gerusalemme nel 586 av. Cr.; il secondo, ri­costruito dai reduci dell'esilio babilonese e inaugurato nel 515 av. Cr., era durato fino a Erode; costui lo aveva demolito totalmente per costruire il terzo. Tuttavia i rabbini chiamavano « secondo tem­pio » anche quello di Erode, considerandolo moralmente tutt'uno col Tempio costruito dai reduci dell'esilio. Erede cominciò i lavori del Tempio l'anno 180 del suo regno, cioè nel 20-19 av. Cr.; già da prima, per dimostrare al popolo le sue serie intenzioni, egli aveva accumulato materiali in quantità enor­me, aveva impegnato diecimila operai che lavorassero alle parti esterne, e aveva fatto imparare l'arte muraria a mille sacerdoti che lavorassero nelle parti interne del Tempio inaccessibili ai laici se­condo la Legge ebraica. I lavori per le parti interne, costituenti il vero « santuario », durarono un anno e mezzo; quelli per le parti esterne, costituenti gli amplissimi atrii, durarono otto anni: durante i lavori il servizio liturgico non vi fu mai interrotto, perché man mano che si demoliva una parte dell'edificio interno si procedeva subito alla sua ricostruzione. Dopo nove anni e mezzo dall'inizio dei lavori, Erode celebrò la dedicazione del ricostruito Tempio nell'anniversario della sua salita al trono; tuttavia, come avviene d'or­dinario nelle grandi costruzioni, i lavori di rifinitura si prolunga­rono ancora per molti anni (cfr. Giovanni, 2, 20) e non termina­rono del tutto se non ai tempi del procuratore Albino (anni 62-64), cioè poco prima che il Tempio fosse distrutto dai Romani.



§ 47. Nel Tempio di Erode il “santuario” interno era in tutto analogo a quello del Tempio di Salomone, ma con elevazione mag­giore; al contrario, le costruzioni esterne che circondavano il ”san­tuario” furono ampliate grandemente. Poiché l'antico Tempio sor­geva sulla collina orientale della città, il piano superiore della col­lina fu dilatato quasi del doppio per mezzo di costruzioni compiute ai suoi fianchi: sullo spazio cosi ottenuto sorsero tre portici o atrii, ch'erano uno più elevato dell'altro, procedendo dalla periferia verso il “santuario” interno. Il primo e più periferico era accessibile a chiunque, e perciò era chiamato “atrio dei gentili”, potendo esser frequentato anche dai pagani; ma, procedendo verso l'interno, ad un certo punto quest'atrio era sbarrato da una balaustra di pie­tra che segnava il limite accessibile ai pagani: iscrizioni greche e latine, ivi apposte, ricordavano a costoro la proibizione di passare oltre sotto pena di morte (una di queste iscrizioni, in greco, fu ri­trovata nel 1871). Oltrepassata la balaustra e saliti più in là alcuni gradini, si entrava nell'” atrio interno”, protetto da grossissimi muri e suddiviso in due parti: la parte più esterna era detta “atrio delle donne”, perché fin li potevano penetrare le donne israelite, e la più interna era detta “atrio degli Israeliti”, accessibile ai soli uo­mini. Procedendo e salendo ancora, veniva l'”atrio dei sacerdoti”, ove stava l'altare degli olocausti a cielo scoperto; infine, dopo altri gradini, si giungeva al vero “santuario”. Il “santuario” aveva sul davanti un vestibolo, e internamente era diviso in due parti. Quella anteriore era chiamata il “santo”, e conteneva l'altare d'oro per i profumi, la mensa per i pani della proposizione e il candelabro d'oro a sette bracci. La parte posteriore era il “santo dei santi”, perché considerata dimora del Dio d'Israe­le e quindi il luogo “santissimo” di tutta la terra. Ivi, nel Tempio di Salomone, era stata l'Arca dell'Alleanza; ma, distrutta questa, il “santo dei santi” del nuovo Tempio rimase una stanza miste­riosamente oscura e vuota. Pompeo Magno, che vi penetrò nel 63 av. Cr., vi trovò nulla intus deum effigie vacuam sedem et mania arcana (Tacito, Hist., v, 9). Nel “santo dei santi” entrava sol­tanto il sommo sacerdote un solo giorno all'anno, nella ricorrenza del Kippur o Espiazione (§ 77); secondo una tradizione rabbinica il sommo sacerdote entrato colà, deponeva il turibolo su una pietra alta tre dita che ricordava il posto ove anticamente era stata l'Arca.

§ 48. L' ”atrio dei gentili” era fiancheggiato, a oriente e a mez­zogiorno, da due famosi portici. L'orientale, che guardava dall'alto sopra il torrente Cedron, era chiamato comunemente ma senza ra­gione archeologica “portico di Salomone” (Giovanni, 10, 23; Atti, 3, li; 5, 12); il meridionale, chiamato ”portico regio”, toccava con i suoi due capi la valle del Cedron a oriente, e la valle del Tyropeon a occidente. Questo “portico regio” era costruzione vera­mente insigne, degna di stare a fianco delle più famose di Atene e di Roma, ma mostrava carattere totalmente greco e non aveva nulla di ebraico: era formato da centosessantadue grandi colonne sormontate da finissimi capitelli corinti e disposte in quadruplice fila in modo da costituire una triplice navata. L' ”atrio dei gentili” era il gran luogo di convegno per chi abitava o si trovava di passaggio a Gerusalemme. I pagani vi andavano per trattare i loro affari, come nelle loro città sarebbero andati al foro; i Giudei vi si recavano per udire famosi dottori della Legge, che circondati dai loro discepoli tenevano scuola o disputavano fra loro, e più genericamente vi erano attirati dalle mille curiosità del luogo frequentatissimo e dalle notizie d'ogni sorta che vi si pote­vano raccogliere. Specialmente in occasione delle grandi feste ebraiche l' ”atrio dei gentili” diventava un pubblico mercato. I venditori, istallatisi sotto i portici o nel piazzale scoperto, offrivano ai pellegrini giunti dalla Palestina e dall'estero buoi, pecore, ed ogni altra cosa necessaria per i sacrifizi liturgici, mentre i cambiavalute tenevano esposti su banchetti improvvisati i vari tipi di monete palestinesi, pronti a cambiarle con moneta straniera ai pellegrini venuti dall'estero. Sol­tanto dopo aver oltrepassato quest'inferno di clamore e di fetore, si giungeva al purgatorio, ove al solo Israelita era lecito purgarsi dei suoi peccati davanti a Dio, nel silenzio e nella preghiera.


§ 49. All'angolo nord-ovest del Tempio, e congiunta con esso, s'al­zava la fortezza Antonia, anch'essa costruita totalmente da Erode sul posto d'una precedente torre. La grandiosa potenza di questa costruzione fu dimostrata all'atto pratico nella guerra contro Roma, allorché Tito trovò in essa un enorme ostacolo alla conquista del Tempio e della città; Flavio Giuseppe, che ne dà una minuta de­scrizione, termina con queste importanti notizie archeologiche: Dal­le parti ove (la fortezza) si ricongiungeva con i portici del Tempio, aveva in ambedue i lati delle scale per le quali discendevano le guardie - giacché in essa risiedeva sempre una schiera di Romani - e si distribuivano con le armi lungo i portici durante le festività, vi­gilando che il popolo non tramasse innovazioni. Infatti, alla città sovrastava, come presidio, il Tempio, e al Tempio (sovrastava) l'An­tonia; ma in questa stavano le guarnigioni di tutti e tre (i luoghi: città, Tempio e Antonia) (Guerra giud., v, 243-245). Per questo motivo pratico come anche per la sua vicinanza al Tempio, l'An­tonia serviva spesso al procuratore romano - come già accennammo (§ 21) - per il disbrigo d'affari di governo, specialmente se richie­devano un diretto contatto con masse di popolo: in tali casi il pa­lazzo reale di Erode, più lontano dal Tempio e più aristocratico, si prestava meno bene.
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