E' veramente esistito Gesù Cristo? Ma soprattutto, è proprio necessario che sia storicamente esistito? Non basterebbe, per trarne un vantaggio esistenziale, farne un simbolo di luce e salvezza, ossia una della tante rappresentazioni simboliche della vera, profonda ed eterna legge - umana e cosmica - di “morte e rinascita”?
Scollegare Cristo dalla carnalità di Gesù di Nazareth sembrerebbe rendere disponibile la messianicità salvifica che egli impersona per manifestazioni simili e prossime al tempo e alla sensibilità del credente, che in questo modo lo potrebbe incontrare ovunque e come preferisce. Ma tutto ciò, seppure attraente, avviene a spese della realisticità di un tale salvatore adattato alle esigenze personali. Il dubbio che tutto quello splendore mitologico sia una proiezione dell'io insoddisfatto non lascerà tranquillo lo spirito di chi, oltre a credere, ama pensare.
L'apostolo Giovanni, nella sua prima lettera, annuncia la lieta notizia che "Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio". Oggi questo invito sembra in parte realizzato, grazie però a un malinteso.
Nella mentalità “New Age” infatti, che impregna la coscienza credente delle società occidentali, il Cristo è accettato ma solo dopo aver metaforizzato il Gesù che lo ha incarnato. Risultato reso possibile dal fatto che nell’ambiente spiritualista contemporaneo si privilegia la convinzione che le cose di Dio, e in particolare del Dio cristiano, sono vere perché credute e non credute perché vere.
In termini filosofici si chiama soggettivismo. Una malattia moderna per la quale il soggetto umano è la fucina della realtà: di valori, verità, canoni estetici, “cose e persone”. Non si distingue più tra realtà e illusione; il mentale prevale sul reale; il virtuale e l’artificiale misurano il naturale; i valori e il senso più che scoperti sono inventati; la felicità deriva dalla volontà: basta esserne convinti e basta autoconvincersi. Forse ripetendo all'infinito una frase in un training autoipnotico: "penso positivo", "Gesù è risorto", "sono felice", "questo è bene", "io sono immortale"...
L'accettazione di un Cristo snaturato, cosmico, astrale, disincarnato e mitico, mistico e metafisico, è tipica di un sentire religioso fideistico, perenne tentazione post-cristiana. Ma anche in casa "razionalista" si può incontrare un analogo pregiudizio sulla consistenza storica della vita di Cristo. La motivazione è ovviamente diversa. Si vuole trasformare la storia di Cristo in favola per poter considerare i cristiani come infantili creduloni. In entrambe le concezioni sarà comunque facile rilevare che il pregiudizio sulla storicità di Gesù si trasforma contestualmente in un pregiudizio anticattolico o in genere antiecclesiale.
La Chiesa infatti, che si autocomprende come il “Corpo di Cristo”, presente in lei nella Parola e nei Sacramenti, può legittimare una tale pretesa di presenza salvifica solo se la “puntualità” dell’incontrabilità di Cristo in lei è il proseguimento della “puntualità” della manifestazione messianica in Gesù, solo cioè se il Salvatore si è reso presente in un “punto” preciso ed esclusivo della storia.
Come recita l’incipit della prima enciclica di Giovanni Paolo II, la “Redemptor hominis”, “il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è il centro del cosmo e della storia”.
Il punto di un centro.
(M.Zambelli)
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