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mercoledì 11 agosto 2010

724 - La Trinità: tre persone ma non tre dei (4)

Corso Biblico 5
Seconda sezione. 14,25-26: il Paraclito insegna e ricorda



L'azione segreta del Paraclito
Questo secondo passaggio del discorso di Gesù sullo Spirito Santo, intende specificare l'attività del Paraclito nei confronti dei discepoli, un'attività che si risolve essenzialmente nell'insegnamento e nella rivelazione. Nello stesso tempo, il Maestro sembra rispondere a una domanda inespressa dei suoi discepoli: perché è necessaria l'azione di un secondo Paraclito, forse che Gesù non ha detto già tutte le verità che il Padre gli aveva affidato? Questa risposta di Cristo a una domanda inespressa è di grande portata per un corretto cammino apostolico ed ecclesiale: sì, il Figlio ha svelato ai suoi discepoli tutte le verità che essi dovevano conoscere per vivere nella libertà ed entrare nella Vita, ma le ha dette in forma concentrata, in modo tale che la Chiesa potrà attingervi in ogni secolo nuovi insegnamenti per le sfide sempre nuove della storia. Ma non potrà farlo da sola. La Parola di Cristo possiede profondità che solo lo Spirito può rendere accessibili alla nostra debolezza. La Chiesa, come pure il discepolo, dinanzi alla Parola di Cristo non è in grado di immergersi nella Sapienza, senza un Maestro invisibile che parla "dentro". L'insegnamento interiore dello Spirito non differisce dall'insegnamento di Cristo, ma ne è un necessario completamento, perché il ministero pubblico di Gesù, e le pagine evangeliche che ce ne danno notizia, rimangono nella dimensione muta della "lettera", se non vengono vivificati dal soffio sapienziale dello Spirito. Cristo vuole che le parole da lui pronunciate alle orecchie dei discepoli, siano ripetute nel loro cuore dallo Spirito. Solo questa divina "ripetizione" le rende vive, profonde, vivificatrici, consolanti come un balsamo di guarigione. Ciò significa che il Paraclito intraprenderà un'opera di insegnamento proprio nel momento in cui il Cristo storico cesserà di essere un Maestro fisicamente raggiungibile. Da quel momento in poi, l'unico autentico accesso alla Parola di Cristo, sarà possibile nello Spirito. Accanto al verbo "insegnare", Gesù descrive l'azione del Paraclito anche con un secondo verbo: "ricordare" (cfr. v. 26). Il Maestro intende dire che l'insegnamento dello Spirito non si può separare dalla Parola consegnata alla Chiesa; ciò significa pure che il discepolo potrà fare esperienza dello Spirito tanto quanto la Parola di Dio dimora nella sua memoria. Se lo Spirito agisce ricordando al discepolo la Parola di Cristo - ed è proprio in questo processo di anamnesi che la Parola diviene viva - allora il presupposto di fondo è che il pensiero del discepolo deve essere "abitato" dalla Parola. Non si ricorda infatti ciò che non si conosce.


Terza sezione. 15,18-16,4a: il Paraclito e l'odio del mondo
Stranieri nel mondo (15,18-19)
Il termine "mondo" qui ha un significato collettivo in riferimento al sistema su cui poggia la vita sociale. Non si riferisce quindi al mondo come creazione, o come natura, ma al mondo come "umanità". Più precisamente, quando il Vangelo di Giovanni parla di "mondo" come sistema sociale allude innanzitutto a Gerusalemme e alle sue istituzioni religiose. Sono proprio esse che, nella persona dei loro rappresentanti (sommi sacerdoti, farisei…) si oppongono alla Luce che è venuta nel "mondo" e impediscono alla Parola creatrice di rivolgersi alle sue creature. Nello stesso tempo, il concetto giovanneo di "mondo" include ogni società umana fondata su un sistema autonomo e chiuso alla trascendenza. Il carattere ispirato delle Scritture ammette sempre diversi livelli di lettura, così come i discorsi di Gesù nell'ultima Cena sono materialmente rivolti al gruppo apostolico, ma valgono nella stessa maniera per tutte le generazioni successive dei cristiani. La società umana costruita a sistema chiuso per Giovanni è necessariamente fondata sull'odio e sull'ostilità verso Dio. Ne consegue che questo odio e questa ostilità colpiscono innanzitutto i discepoli. Essi sono chiamati a prolungare la presenza del Maestro nel mondo, quando ormai il Maestro non è più raggiungibile dall'astio del mondo, mentre essi lo sono ancora fino al momento della loro morte personale. Il rifiuto della Luce che è venuta nel mondo, si traduce in un rifiuto che colpisce i discepoli. La loro vita sarà perciò del tutto simile a quella del Maestro. Il fatto che Cristo abbia scelto i suoi discepoli produce necessariamente una loro separazione "dal mondo", una estraneità che è oggetto di odio, perché è una presa di distanza dalle prospettive autonome, e negatrici del soprannaturale, su cui si costruiscono spesso le istituzioni umane. Gesù sottolinea come il mondo sia capace di odio nei confronti del diverso, ma afferma pure che esso è capace anche di benevolenza verso il suo simile. E i discepoli sono troppo "diversi" per essere amati dal mondo. Questa chiusura del mondo a ciò che è divino non risulta da un processo di inerzia o da spinte cieche che agiscono nella storia, al contrario, il sistema chiuso delle istituzioni umane è il risultato di una opzione: "Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato" (v. 22). Il sistema sociale chiuso alla trascendenza risulta quindi da un insieme di singole opzioni che soffocano quella minoranza che desidererebbe impostare la sua vita sociale in termini diversi.


Perseguitati dal mondo (15,20-25)
Proprio in questi termini Gesù rivela la vera natura dell'opposizione del mondo: "Non avrebbero colpa se non avessi parlato". Dietro questo sistema sociale chiuso a Dio c'è dunque una lucida e personale opzione contro la Luce. Il prologo aveva già anticipato questo mistero in 1,5, presentando il rifiuto della Luce come un fatto anteriore all'Incarnazione: "La Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta". Il vertice di questo rifiuto è rappresentato senz'altro dalle istituzioni religiose di Gerusalemme. La lucidità di questa opzione si vede, per esempio, nella decisione di far uccidere Lazzaro dopo la sua uscita dal sepolcro. In sostanza, dinanzi alla Presenza personale di Cristo viene allo scoperto l'orientamento dei cuori e raggiunge al tempo stesso le sue ultime conseguenze. L'annuncio del Vangelo non libera dalla colpa coloro che hanno scelto di vivere contro la Luce, ma, al contrario, li conferma nel loro peccato, che raggiunge così una maggiore perfezione: "Non avrebbero colpa se non avessi parlato". Si può parlare in questo caso di peccato contro lo Spirito che, appunto, non è perdonabile (cfr. Mt 12,32). Infatti, il peccato contro lo Spirito non si può commettere in assenza della predicazione del Vangelo e in uno stato di ignoranza su Dio e su Gesù Cristo. Per questa ragione, l'opzione contro Dio raggiunge la sua massima perfezione proprio nell'incontro col Cristo risorto, che è presente nella parola della predicazione apostolica. Gesù considera la sua esperienza storica di rifiuto e di persecuzione anche alla luce della Scrittura, citando il Salmo 69: "Mi hanno odiato senza ragione" (v. 5). Tuttavia ne prende anche le distanze, definendola la "loro" Legge (v. 25). Le Scritture si compiono per opera dei suoi oppositori, mentre si verifica un paradosso: i farisei e i sommi sacerdoti si professano fedeli alla Legge, ma la compiono proprio in quei punti in cui essa parla degli empi.


La testimonianza dello Spirito (15,26-27)
Qui ritorna la parola "Paraclito" come definizione dello Spirito, che procede dal Padre ed è mandato dal Risorto. Si comprende anche come la funzione rivelatrice del Paraclito sia in perfetta continuità con quella del Cristo storico. L'unica differenza è che lo Spirito non può parlare direttamente al mondo come poteva fare Cristo durante il suo ministero terreno grazie alla sua umanità. Lo Spirito si dovrà servire d'ora in poi degli apostoli per parlare agli uomini. Questa è la ragione per la quale al v. 27 la testimonianza dello Spirito è associata a quella degli apostoli: "Egli mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza". Non si tratta di due testimonianze diverse: la testimonianza dei discepoli è accompagnata e sostenuta dalla testimonianza dello Spirito (cfr. Mc 16,20; Eb 2,4). Il v. 26 sfiora anche la questione della processione intratrinitaria dello Spirito dal Padre e dal Figlio, ma non ci soffermiamo adesso su questo: osserviamo soltanto che il Cristo risorto intercede presso il Padre e manda lo Spirito insieme al Padre. Lo Spirito abilita i discepoli a compiere nel mondo una testimonianza credibile e autorevole, ma c'è un secondo presupposto necessario, un presupposto, si potrebbe dire, di ordine umano: "Siete stati con Me fin dal principio". Bisogna stare però bene attenti a non fraintendere il linguaggio giovanneo: "fin dal principio" non significa "fin dall'inizio del suo ministero pubblico". All'inizio del suo ministero pubblico, Gesù aveva accanto solo pochi discepoli: Pietro, Andrea, Filippo, Natanaele. I Dodici sono arrivati in seguito. L'espressione "fin dal principio" non si può intendere allora in termini cronologici, perché in tal caso non potrebbe riguardare l'intero collegio dei Dodici. Inoltre, nel linguaggio giovanneo il "principio" richiama innanzitutto la verità del Logos. Aderire a Lui "fin dal principio" equivale ad accettare nella fede la sua preesistenza e la sua divinità. La forza dello Spirito scende quindi ad abilitare alla testimonianza solo colui che aderisce a Cristo "fin dal principio", cioè colui che ha accolto nella fede la sua divinità, la sua eterna generazione dal Padre, la sua preesistenza, la sua incarnazione, e il suo mistero pasquale.


Lo scandalo della persecuzione (16,1-4a)
Il verbo "scandalizzarsi" è usato da Giovanni solo due volte: la prima volta in 6,61, la seconda qui. Nel primo caso lo scandalo riguardava la durezza della Parola di Cristo: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?… Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?" (6,52.60). E si scandalizzavano di Lui. Nel futuro, però, lo scandalo riguarderà i discepoli, che saranno perseguitati proprio per la loro "scandalosa" diversità. Cristo lo preannuncia, perché la cosa non piombi loro addosso in maniera inaspettata. Quando verrà quel momento, lo Spirito verrà in loro soccorso. Alla luce degli eventi successivi, bisogna dire che, con queste parole, Cristo intendeva riferirsi a due eventi, e forse anche a tre. Il primo è la scomunica rabbinica del 90 d. C., che escluse dalla Sinagoga tutti gli ebrei che erano diventati cristiani. Il secondo è l'ondata di persecuzioni anticristiane scatenate dall'Impero Romano nei secc. II-III. Il terzo è l'ultima persecuzione che si abbatterà sulla Chiesa alla fine dei tempi, prima del ritorno di Cristo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 675-677). Con le parole "chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio" (15,2) Cristo non intende sminuire la responsabilità morale dei persecutori, ma, al contrario, intende negare che a Dio si possa rendere culto mediante la violenza e la sopraffazione dell'uomo; e ciò risulta chiaro dalle parole che seguono: "Faranno ciò perché non hanno conosciuto né il Padre né Me" (v. 3). Si comprende che la prospettiva del futuro è fatta di combattimenti e di lotte, a cui Cristo vuole preparare i suoi discepoli. Per questo sarà necessaria la forza dello Spirito. Gesù qui fa anche menzione di un'ora che deve giungere. Più precisamente la loro ora. Ovviamente si riferisce al tempo in cui le potenze delle tenebre ricevono da Dio il permesso di attaccare i discepoli con tutta la loro furia. Questa "ora" deve arrivare anche per i discepoli, così come è arrivata per Cristo, all'inizio e alla fine del suo ministero pubblico (cfr. Lc 4,13). Nel Vangelo di Giovanni, Gesù fa riferimento molto spesso alla "ora" dello scatenamento delle forze del male, che è anche l'ora della sconfitta di Satana, perché il cristiano che sa affrontare bene le sue prove, ne esce sempre più santo e più sapiente. Ricordiamo alcuni dei passi in cui Gesù si richiama a questo momento cruciale: a Cana, dice che l'ora non è ancora venuta (2,4), ma a Gerusalemme nei giorni della festa di Pasqua, in 12,23, afferma che l'ora è venuta. Anche l'evangelista Luca si esprime con la stessa terminologia: nel momento dell'arresto Gesù commenta: "Ogni giorno ero con voi nel Tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre" (22,53).
(continua)
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