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venerdì 6 agosto 2010

718 - La Trinità: tre persone ma non tre dei (2)

Corso Biblico 3
Il rapporto tra Cristo e il Padre

La relazione tra Cristo e il Padre può essere adeguatamente compresa solo alla luce del mistero trinitario; in Dio le Persone divine sono distinte, sebbene la natura divina è unica e indivisibile. Ne consegue che ogni azione di Dio è compiuta contemporaneamente dalle tre divine Persone. Tutte le opere di Dio, dalla creazione alla redenzione, sono opere trinitarie, perché la Trinità opera in modo simultaneo. Dall'altro lato, vi sono azioni che la Scrittura attribuisce ora all'una ora all'altra delle divine Persone. Così, l'Incarnazione è opera trinitaria, ma solo il Verbo nasce come uomo, soffre sotto Ponzio Pilato, muore, risorge e ascende al cielo. Anche la Pentecoste è opera trinitaria, ma solo lo Spirito si effonde sugli Apostoli. Dunque, Dio agisce simultaneamente come Dio Uno e Trino, senza che la divina sinergia elimini la distinzione reale delle sue singole Persone. Nella lettera ai Romani, l'Apostolo usa una formula trinitaria che si conclude significativamente al singolare: "Da Lui, per Lui e in Lui sono tutte le cose. A Lui la gloria nei secoli". Vale a dire: Da Lui (dal Padre), per Lui (per il Figlio), in Lui (nello Spirito Santo). Ma si conclude: "A Lui" gloria, e non "a loro". Tutte le cose procedono dunque dai Tre come da un unico principio.La nostra indagine su Dio deve prendere senz'altro le mosse dal prologo di Giovanni, dove emergono con chiarezza, dentro il mistero di Dio, due proprietà eterne: l'unità e la differenza.Gv 1,1-14 è l'inno alla divinità di Cristo e alla sua preesistenza. Con il termine "Verbo" si intende il Figlio, dal momento che al v. 14 l'evangelista dice che "il Verbo si è fatto carne". Questo Verbo che è nato come Uomo, prima di nascere "era presso Dio" e al tempo stesso "era Dio". Qui si coglie già l'unità e la differenza che caratterizzano il mistero di Dio. Il Verbo è Dio ma distinto da Dio. La divinità del Verbo è sottolineata dalla sua azione creativa, citata ai vv. 2-3 del prologo. Tutte le cose che esistono sono state fatte per mezzo del Verbo, e fuori di Lui non esiste niente. Se tutto esiste per mezzo di Lui, solo Lui non è creato, anche se apparso in forma umana. Se non è creato, è della stessa sostanza del Padre. L'operare del Figlio è inseparabile dall'operare del Padre, come insegna lo stesso Cristo: "Il Padre mio opera sempre e io pure opero" (Gv 5,17). Il Padre e il Figlio operano dunque insieme. Tuttavia, all'interno della natura divina, il Padre ha fatto il Figlio, ma il Figlio non ha fatto il Padre. Quando la Scrittura dice che "tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui", bisogna quindi intendere che Egli le ha fatte insieme al Padre. La divinità di Cristo è infatti identica a quella del Padre, perché l'Apostolo Paolo parla di "uguaglianza" di Cristo con Dio: infatti "non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio" (Fil 2,6). L'uguaglianza con Dio è l'identità di sostanza che fa del Padre e del Figlio un essere solo; in forza di questa identità essi operano sempre simultaneamente, perché vivono eternamente l'uno nell'altro: "Io sono nel Padre e il Padre è in Me" (Gv 14,10).Per comprendere la complessità della relazione tra il Padre e il Figlio, occorre interpretare esattamente taluni passi della Scrittura che presentano il Figlio come fosse inferiore al Padre. Possiamo ricordare, ad esempio, Gv 14,28: "Il Padre è più grande di Me"; oppure 1 Cor 15,28: "Allora il Figlio stesso si sottometterà a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa"; o ancora: "Quanto poi a quel giorno e a quell'ora, nessuno ne sa nulla, neppure gli angeli in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre" (Mc 13,32). Questi passi, e altri ancora, sembrerebbero negare l'uguaglianza del Figlio col Padre, presupponendo che il secondo sia maggiore del primo. Come intendere questa apparente contraddizione?Cominciamo col dire che il Figlio è uguale al Padre in virtù della propria divinità. Il Figlio è però, al tempo stesso, anche vero Uomo. In questa veste creata, che è l'umanità, avendo assunto la natura di servo, Egli è certamente inferiore al Padre. Significa allora che il Padre è superiore solo alla natura che il Figlio ha ricevuto dalla Vergine. Ma se si prescinde dalla natura umana, il Figlio condivide col Padre la medesima gloria e la medesima maestà. E' peraltro inequivocabile questa identità nelle parole che Gesù pronuncia con le sue labbra umane, ma che si riferiscono alla propria divinità e non all'umanità assunta: "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gv 10,30). Il Cristo storico talvolta si esprime mettendosi dal punto di vista della sua uguaglianza col Padre e talaltra, mettendosi dal punto di vista della sua uguaglianza con noi. Nel primo caso, parla come Dio, nel secondo parla come uomo. E come uomo Egli è inferiore al Padre, mentre non lo è come Verbo intemporale. Possiamo allora capire molto meglio i suoi enunciati. Quando dice: "Io pregherò il Padre mio che vi darà un altro consolatore" (Gv 14,16), non intende dire che lo pregherà come Figlio; Cristo non può pregare il Padre in quanto Dio, ma può pregarlo solo in quanto uomo. E solo in quanto uomo, il Cristo risorto è intercessore dei suoi fratelli che sono nella prova. Ancora in quanto uomo Egli prega il Padre per ottenere alla Chiesa l'effusione dello Spirito, mentre in quanto Verbo manda lo Spirito insieme al Padre. Così va intesa anche la parola già citata di Paolo: il Figlio stesso si sottometterà; è chiaro che il Figlio si sottometterà al Padre insieme a noi come nostro capo e sommo sacerdote, ma in quanto Dio noi tutti siamo sottomessi a Lui come lo siamo al Padre. Il suo regno siamo noi, i discepoli da Lui redenti col suo sangue. In quanto uomo Egli prega il Padre insieme con noi, ma in quanto Dio ci esaudisce insieme al Padre. Allora, la regola per capire bene le parole del Cristo storico su Se Stesso e sul Padre consiste nel distinguere bene le sue due nature: nella sua natura divina Cristo è uguale al Padre, mentre nella sua natura umana è uguale a noi, e di conseguenza inferiore al Padre. Alcune cose Egli le dice come Dio, altre come uomo. Come uomo Cristo è inferiore anche allo Spirito; infatti è lo Spirito che lo unge come uomo e lo mette in grado di compiere il suo ministero messianico (cfr. p. es. Lc 4,18-19 e 11,20); inoltre, qualunque peccato contro il Figlio dell'uomo può essere perdonato, ma non può essere perdonato il peccato contro lo Spirito (cfr. Mt 12,32). Lo Spirito è dunque maggiore del Figlio fatto uomo. In quanto Dio, tutte le cose sono state fatte per Cristo (cfr. Col 1,16); in quanto uomo, Egli stesso è nato da donna, sotto la Legge (cfr. Gal 4,4). In quanto Dio ha tutto in comune col Padre: "Tutte le cose mie sono tue, e tutte le cose tue sono mie" (Gv 17,10); in quanto uomo, si è fatto "obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8). Così quando in risposta ai figli di Zebedeo dice: "Sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a Me concederlo, ma è per quelli ai quali è stato preparato dal Padre mio" (Mt 20,23), Cristo parla come uomo e non come Dio. Come Dio, infatti, quei posti di gloria celeste li prepara proprio Lui insieme al Padre. Per questo, quando parla dal punto di vista della sua divinità, Egli dice ai suoi discepoli: "Io vado a prepararvi un posto" (Gv 14,2). E' fuori discussione che il Padre lo prepara insieme a Lui. Nella stessa maniera, Cristo parla dal punto di vista della sua umanità, quando dice: "Chi crede in Me, crede non in Me ma in Colui che mi ha mandato" (Gv 12,44), mentre parla dal punto di vista della sua divinità, quando dice: "Credete in Dio e crederete anche in Me" (Gv 14,1). Come uomo, Egli riferisce a Dio tutto ciò che fa o dice, e non dirige verso Se Stesso il cuore dei suoi contemporanei, ma come Dio esige di essere oggetto della fede teologale così come lo è il Padre. Per questa ragione, a chi lo chiamava "Maestro buono", Gesù rispose: "Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non Dio solo" (Lc 18,19). Non c'è alcun dubbio che qui il Maestro parli dal punto di vista della sua natura umana, in modo da non renderla oggetto di una lode che deve essere rivolta a Dio in quanto Dio. In sostanza, rispetto alla sua natura umana, il Cristo storico non accetta di ricevere quegli onori che gli spettano in quanto Dio, e che gli si possono giustamente tributare dopo la sua risurrezione dai morti, quando viene costituito Signore e Giudice nella potenza dello Spirito (cfr. Rm 1,4). Così anche gli enunciati sul Giudizio vanno intesi distinguendo il punto di vista del Gesù storico, che talvolta parla come uomo talaltra come Dio. Ad esempio, in Gv 8,15 Gesù dice: "Io non giudico nessuno"; ma in Gv 5,22 lo stesso Cristo dice: "Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio". Sembrerebbe una contraddizione, se Cristo fosse solo uomo; ma poiché Egli è simultaneamente Dio e uomo, in quanto uomo non giudica nessuno, piuttosto è giudicato; in quanto Dio, Egli ha l'autorità piena del giudizio, che gli deriva dal Padre. Nell'ultimo giorno, infatti, non sarà il Padre a pronunciare il Giudizio finale sull'umanità, anzi, in quel giorno il Padre non sarà visto, perché sarà visibile solo il Figlio nel suo corpo risorto. In quel momento Egli si rivelerà totalmente all'universo come Giudice dei vivi e dei morti (cfr. Mt 25,31). E ciò lo comprendiamo bene: nel Giudizio finale il Padre non potrà essere visto, perché la visione del Padre è la beatitudine riservata ai santi, mentre il Giudizio è compiuto anche sugli empi, i quali vedranno "Colui che hanno trafitto" (Zc 12,10), senza tuttavia poter vedere il Padre.
(continua)
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