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domenica 10 maggio 2009

206 - Io sono la vite, voi i tralci

Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Commento sul vangelo di Giovanni, 80, 1; 81, 1.3-4; CCL 36, 527-531

In questo passo del Vangelo in cui il Signore dice che lui è la vite e i suoi discepoli i tralci, lo dice in quanto egli, l'uomo Cristo Gesù, «mediatore tra Dio e gli uomini» (1 Tim 2, 5), è Capo della Chiesa e noi membra di lui (Ef 5,25).
La vite e i tralci, infatti, sono della medesima natura; perciò, essendo egli Dio, della cui natura noi non siamo, si fece uomo affinché in lui l'umana natura diventasse la vite, di cui noi uomini potessimo essere i tralci...
Ai discepoli, il Signore dice: «Rimanete in me e io rimarrò in voi» (Gv 15, 4). Essi però sono in lui non allo stesso modo in cui egli è in loro.
L'una e l'altra presenza non giova a lui, ma a loro. Sì, perché i tralci sono nella vite in modo tale che, senza giovare alla vite, ricevono da essa la linfa che li fa vivere; a sua volta la vite si trova nei tralci per far scorrere in essi la linfa vitale e non per riceverne da essi.
Così, il rimanere di Cristo nei discepoli e dei discepoli in Cristo...
Il Cristo non potrebbe essere la vite se non fosse uomo, tuttavia non potrebbe comunicare ai tralci questa fecondità se non fosse anche Dio. Siccome però senza la grazia è impossibile la vita, in potere del libero arbitrio non rimane che la morte.
«Chi non rimane in me è buttato via, come il tralcio, e si dissecca; poi i tralci secchi li raccolgono e li buttano nel fuoco, e bruciano» (Gv 15, 6).
I tralci della vite infatti tanto sono preziosi se restano uniti alla vite, altrettanto sono spregevoli se vengono recisi.

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