Dio si affida a uomini deboli per rendersi presente nell'umanità
Servirsi di un uomo, nonostante le sue debolezze, per rendere presente Dio a tutti gli uomini, in ogni tempo: sta in questo la grandezza del sacerdozio. E’ il pensiero, che Benedetto XVI ha posto al cuore della celebrazione eucaristica di chiusura dell’Anno Sacerdotale. In una Piazza San Pietro nuovamente gremita da oltre15 mila sacerdoti concelebranti di 97 nazioni, e a poche ore dall’analoga scena di ieri sera durante la veglia, il Papa ha toccato i punti nevralgici della vocazione al sacerdozio soffermandosi ancora una volta con parole di grande umiltà sulla ferita provocata della pedofilia all’interno della Chiesa: “Chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte” affinché “un tale abuso non possa succedere mai più”.
La grande audacia di Dio all’inizio della storia della Chiesa, un’audacia spiazzante: ritenere che un “povero uomo” – limitato, finito – fosse capace di comunicare l’infinito Amore. Come in un grande affresco, e in un’omelia quasi senza eguali per ampiezza, densità di contenuti, intensità emotiva, Benedetto XVI ha dipinto la straordinarietà della vocazione al sacerdozio in tutte le sue sfumature. Lo ha fatto dando pennellate di luce alla radice divina di questa chiamata, ma senza nascondere le ombre che i limiti umani proiettano, talvolta in modo indegno, su di essa:
“Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola ‘sacerdozio’. Che Dio ci ritenga capaci di questo; che Egli in tal modo chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad essi”.
Ecco il senso dell’Anno Sacerdotale, ha ripetuto il Papa alla distesa di presbiteri in talare bianca, che hanno trasformato Piazza San Pietro in un immenso altare a cielo aperto, di fronte al grane arazzo del Santo Curato d’Ars: “Volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza”. E dire “nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del nostro ‘sì’”. Dunque, ha constatato il Pontefice:
“Era da aspettarsi che al ‘nemico’ questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo. (applausi) E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario”.
“Se l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende”, ha osservato il Papa. Invece, “consideriamo quanto avvenuto” come “compito di purificazione che ci accompagna verso il futuro”. Mentre al presente, una volta ancora, le parole di Benedetto XVI hanno rivelato la consapevolezza di un male che esige una profondissima solidarietà:
“Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più”.
E poco dopo, commentando un passo del Salmo 23 della liturgia, dove si parla del bastone col quale il pastore difende il gregge “dalle bestie selvatiche” e del vincastro al quale si appoggia per “attraversare i passaggi difficili”, ha aggiunto:
“Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia (...) Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore – vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore”.
Nel Salmo 23, Benedetto XVI aveva individuato la risposta umana di “gioia e gratitudine” a Dio che, ha detto, attraverso Cristo ha aperto il suo cuore “per noi”:
“Dio si prende personalmente cura di me, di noi, dell’umanità. Non sono lasciato solo, smarrito nell’universo ed in una società davanti a cui si rimane sempre più disorientati. Egli si prende cura di me. Non è un Dio lontano, per il quale la mia vita conterebbe troppo poco”.
Un Dio “unico e buono, ma lontano”, ha proseguito, è invece quello considerato dalle religioni del mondo, mentre in passato l’Illuminismo lo aveva ritenuto creatore e poi però disinteressato alla sua stessa creatura e alla sua storia, nella quale, ha affermato, “Dio non interveniva, non poteva intervenire”:
“Molti forse non desideravano neppure che Dio si prendesse cura di loro. Non volevano essere disturbati da Dio. Ma laddove la premura e l’amore di Dio vengono percepiti come disturbo, lì l’essere umano è stravolto. È bello e consolante sapere che c’è una persona che mi vuol bene e si prende cura di me. Ma è molto più decisivo che esista quel Dio che mi conosce, mi ama e si preoccupa di me".
“Questo pensiero – ha insistito – dovrebbe renderci veramente gioiosi”. Dio “vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini”:
“Conoscere”, nel significato della Sacra Scrittura, non è mai soltanto un sapere esteriore così come si conosce il numero telefonico di una persona. “Conoscere” significa essere interiormente vicino all’altro. Volergli bene. Noi dovremmo cercare di ‘conoscere’ gli uomini da parte di Dio e in vista di Dio; dovremmo cercare di camminare con loro sulla via dell’amicizia con Dio”.
E se anche è inevitabile che nel corso della vita si debbano percorrere le “valli oscure della tentazione, dello scoraggiamento, della prova, che ogni persona umana deve attraversare”:
“Anche in queste valli tenebrose della vita Egli è là. Sì, Signore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, affinché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché possiamo mostrare loro la tua luce”.
Un auspicio che al termine della Messa, Benedetto XVI ha affidato con una preghiera di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, e dall’invito solenne, espresso in sette lingue e rivolto ai 400 mila presbiteri del mondo, a “essere fedeli alle promesse” sacerdotali, nelle Chiese di Oriente e di Occidente, e a “proseguire con rinnovato slancio il cammino di santificazione in questo sacro ministero”.
Santa Sede
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