§ 586. Appena fatta questa concessione, Pilato di rincalzo offrì agli accusatori un altro motivo per calmarsi. Era consuetudine, in occasione della Pasqua, che il procuratore liberasse un carcerato scelto dalla folla; parve pertanto a Pilato che questa volta sarebbe stata cosa equa e insieme opportuna far cadere la grazia su Gesù, cosicché la giustizia sarebbe rimasta salva (almeno in parte) e sarebbero anche rimasti appagati gli accusatori. Ora, in quei giorni era detenuto un famigerato malfattore chiamato Barabba (“figlio del padre”), nome abbastanza comune negli scritti rabbinici: secondo poi alcuni codici evangelici, scarsi tuttavia di numero e d'autorità, il nome intero di quest'uomo sarebbe stato Gesù Barabba, in cui Barabba sarebbe piuttosto un epiteto e Gesù il vero nome. Costui in una sedizione popolare, suscitata forse da lui stesso, aveva commesso un omicidio: abitualmente, poi era un ladro. Arrestato, stava in prigione attendendo la sentenza del procuratore. Pilato pertanto previde che, se avesse proposto agli accusatori la grazia o di Gesù o di Barabba, la scelta sarebbe certamente caduta su Gesù a causa del carattere palesemente infame di Barabba. Si presentò quindi sul limitare del pretorio e fece la proposta: Chi volete che vi dimetta, Barabba oppure Gesù, quello chiamato Cristo? e per meglio specificare aggiunse il re dei Giudei? La previsione di Pilato, che la scelta sarebbe caduta su Gesù, dimostra ch'egli aveva una conoscenza assai difettosa, non tanto della nazione da lui governata, quanto delle guide spirituali di quella nazione. La proposta infatti a bella prima fece impressione sulla folla degli accusatori, i quali stavano là davanti al pretorio a gridare ciò ch'era suggerito loro dai sommi sacerdoti e dagli anziani, loro guide spirituali; a quel gregge di servitori Gesù era certamente sgradito perché era sgradito ai loro padroni, ma anche per essi Barabba era tale furfante da meritarsi invece della grazia la più severa delle condanne. Ci fu una breve sosta fatta di perplessità, in cui il servitorame vociante non riusciva a decidersi tra la richiesta del fondo onesto della sua coscienza e la richiesta dei suoi inflessibili padroni.
§ 587. Durante questa sosta avvenne un incidente curioso. Mentre Pilato credeva d'aver trovato la buona via d'uscita, ricevette privatamente un avviso di sua moglie, formulato in questi termini: Non aver nulla (da fare) con quel giusto, poiché molti sogni ho avuti oggi a cagione di lui. La notizia è data soltanto da Matteo, l'accurato segnalatore di comunicazioni divine avvenute per mezzo di sogni (§ 239). Storicamente, poi, risulta che solo da poco tempo era stato permesso ai magistrati dell'Impero romano di recar seco le proprie mogli quando andavano a governare il territorio loro assegnato, mentre ai tempi della Repubblica la moglie non poteva seguire il marito. A Pilato l'avviso della moglie dovette far molta impressione. Scettico riguardo a teorie filosofiche e a disquisizioni sulla verità e sull'errore, era certamente assai sensibile a quegli arcani segni che riscotevano tanto credito presso i Romani del suo tempo. Tutta Roma sapeva benissimo che Giulio Cesare avrebbe evitato le 23 pugnalate delle fatali Idi di marzo se avesse dato ascolto alla moglie Calpurnia che lo aveva pregato di non recarsi quel giorno nella curia, perché essa nella notte precedente lo aveva visto in sogno trafitto da molte ferite. Il caso di Calpurnia poté benissimo venire in mente a Pilato; ad ogni modo egli, oramai implicato nel processo di quel giusto, ricevette certamente dall'avviso della moglie una nuova conferma ad adoperarsi per quanto poteva in favore dell'imputato.
§ 588. Nel frattempo la sosta di perplessità era cessata, perché il servitorame vociante era stato ammaestrato dai suoi padroni e si era deciso ad obbedire ad essi più che al fondo onesto della sua coscienza a sommi sacerdoti e gli anziani persuasero le folle che chiedessero Barabba e mandassero in rovina Gesù (Matteo, 27, 20). Ricominciava per tanto la battaglia, dopoché ambedue i combattenti avevano ricevuto rinforzi: il procuratore dal messaggio della moglie, la folla dalle istigazioni dei Sinedristi. Rivolgendosi di nuovo agli accusatori, Pilato ripeté la domanda: Chi volete che vi rimetta dei due? Tutti risposero concordi: Barabba! Meravigliato della scelta, Pilato non si preoccupò del delinquente prescelto ma dell'innocente scartato, e istintivamente richiese: Che farò dunque di Gesù, quello chiamato Cristo? GIi istigatori fecero gridare dalla folla: Sia crocifisso! Il procuratore insisté: Ma che cosa ha fatto di male? Evidentemente la sua mentalità giuridica esigeva una giustificazione alla gravissima pena richiesta; la giustificazione fu data, e consistette nel grido rinnovato più e più volte: Sia crocifisso! (Matteo, 27, 22-23). Da questo modo di ragionare Pilato rimase, non propriamente addolorato, ma piuttosto interdetto, sconcertato, nauseato. Con quegli schiamazzanti egli non riusciva a discutere: l'uomo di legge parlava una lingua che quelli non capivano. Ma anche materialmente sarebbe stato difficile farsi intendere, perché le alte e continue grida avrebbero ricoperto la voce dell'oratore. Pilato tuttavia volle egualmente far conoscere ch'egli non condivideva affatto i propositi sanguinari manifestati da loro, e a tale scopo sostituì la comunicazione orale con un'azione rappresentativa percettibile con lo sguardo: fattosi portare un catino d'acqua si lavò le mani li in presenza della folla, mentre questa chiedeva a gran voce la morte dell'imputato. L'azione di lavarsi le mani assumeva spontaneamente un senso simbolico sia presso gli Ebrei (Deuteronomio, 21, 6-7) sia presso altri popoli antichi (Erodoto, 1, 35; Eneide, Il, 719; ecc.); in quel caso essa mostrava che il procuratore respingeva ogni responsabilità della domanda rivoltagli, qualunque fosse stato l'esito di tutto l'affare. In un momento poi in cui il clamore diminuì alquanto, egli per spiegare anche meglio il senso simbolico gridò: Sono innocente di questo sangue! Voi (ve la) vedrete! Le sue parole furono udite da parecchi, e la risposta fu data con prontezza e con sicurezza assolute: Il sangue di lui (sia) sopra noi e sopra i nostri figli!
§ 589. Questo augurio, o voto che fosse, invita ad una breve ed elementare riflessione, che del resto non è estranea al processo di Gesù. L'augurio fu espresso concordemente sia dalle guide spirituali del giudaismo sia da una larga rappresentanza del popolo di Gerusalemme: era dunque veramente una rappresentativa vox populi, un voto strettamente ufficiale che riassumeva i desideri sia del capo che delle membra, sia del Sinedrio che del popolo. L'augurio o voto fu indirizzato certamente non al procuratore romano ma ad un giudice ben più alto, ossia a quel giudice tante volte invocato nelle sacre Scritture d'Israele il quale solo poteva far si che quel discusso sangue ricadesse anche sulle teste dei lontani figli. Solo quel sovreminente giudice poteva mutare la vox populi in una vox Dei, accogliendo quel voto e mostrandolo avverato nella storia. Ora, se tutto ciò sia realmente avvenuto, lo storico odierno riscontrerà per conto suo rivolgendosi appunto alla storia, e non soltanto a quella antica ma anche a quella odierna. E ciò anche perché ai nostri giorni la questione è stata ripresa, e precisamente da quei figli di cui parla il voto. Non esistendo più oggi il Sinedrio che 19 secoli fa condannò Gesù ed espresse il voto che il sangue di lui ricadesse sui più lontani figli d'Israele, questi figli nel 1933 istituirono a Gerusalemme un tribunale ufficioso, composto di cinque insigni Israeliti, affinché riprendesse in esame l'antica sentenza del Sinedrio. Il verdetto pronùnziato da questo tribunale, con quattro voti favorevoli e uno contrario, fu che l'antica sentenza del Sinedrio doveva essere ritrattata, perché l'innocenza dell'imputato era dimostrata, la sua condanna era stata uno dei più terribili errori che gli uomini abbiano commesso, riparando il quale la razza ebraica ne sarebbe onorata.
§ 590. A questo punto del processo Pilato si ritrovò in condizioni di spirito assai contrastanti fra loro. Convintissimo personalmente dell'innocenza di Gesù, egli era stato rafforzato in questa sua convinzione dal misterioso messaggio della moglie; di più, la puntigliosità e scontrosità del governatore trovava qui un'opportuna occasione per fare ai suoi governati uno di quei dispetti di cui egli tanto si compiaceva, e che questa volta sarebbe stato giustificato dalla legge e dall'equità. Ma, d'altra parte, la pertinacia degli accusatori invece di scemare era andata sempre crescendo, e se fosse stata contraddetta in maniera totale e definitiva poteva facilissimamente accendere uno di quegli incendi popolari ch'erano il sommo spavento d'ogni governatore romano della Giudea: la previsione di siffatta conseguenza, nonché la paura di ricorsi inviati a Roma contro di lui, inducevano Pilato a riflettere con massima accortezza sulla decisione da prendere, e mentre annebbiavano sempre più ai suoi occhi l'austera visione della giustizia la sostituivano man mano con le lusinghiere fattezze del tornaconto politico. Egli quindi cercò di aggirare l'ostacolo, ricorrendo a ripieghi e cercando quasi d'illudere gli avversari mediante concessioni minori In primo luogo, accolse la domanda della folla e graziò Barabba; inoltre, sempre con la speranza di rendere gli accusatori più remissivi, fece eseguire la precedente promessa di sottoporre Gesù alla flagellazione.
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