§ 566. Senonché la doppia testimonianza riguardo al Tempio era troppo opportuna perché quei giudici, in difetto d'altri capi d'accusa, se la lasciassero sfuggire: essa poteva valere almeno come prova che Gesù aveva ritenuto possibile o aveva profetizzato la distruzione del Tempio. Ora, quando si trattava di quel cumulo di sassi e di travi che costituivano il Tempio materiale, i Giudei dei tempi di Gesù perdevano immediatamente il lume degli occhi, come l'avevano perso sei secoli prima i Giudei dei tempi di Geremia. L'antico profeta era stato giudicato degno di morte perché aveva predetto da parte di Dio che il Tempio sarebbe stato distrutto (Geremia, 7, 4 segg.; 26, 6 segg.); e le scritture di lui, nelle quali si narrava questa predizione insieme col suo puntuale avveramento e con l'empio trattamento fatto al profeta, erano tuttora venerate come sacre da coloro che stavano là assisi a giudicare Gesù: ma l'insegnamento che essi ne trassero fu di ripetere in maniera peggiorativa quanto i loro antenati avevano fatto al profeta del Dio d'Israele. Vedendo infatti che pure quest'ultima testimonianza stava per sfumare, il sommo sacerdote prese una risoluzione decisiva. Levatosi in piedi, Caifa tentò di ottenere da Gesù qualcosa che in apparenza fosse una sua giustificazione di fronte all'accusa dei testimoni, ma che in realtà avrebbe implicato l'imputato nella discussione inducendolo a confessioni; gli disse perciò: Non rispondi nulla? Che cosa testificano costoro di te? Ma la desiderata risposta non venne, e Gesù serbò un silenzio assoluto. Allora il sommo sacerdote, assumendo un atteggiamento ispirato e solenne, insistette: Ti scongiuro per il Dio vivente affinché ci dica se tu sei il Cristo (Messia), il Figlio d'iddio. L'atteggiamento del sommo sacerdote sembrava quello di un uomo che, tutto preso dal desiderio della verità, aspettasse soltanto una parola d'assicurazione per affidarsi e rendersi totalmente ad essa; udendolo si sarebbe detto che, a una risposta affermativa di Gesù, egli si sarebbe prostrato riverente davanti a lui riconoscendolo come il Messia d'Israele. Si noti inoltre, accuratamente, che Caifa ha scongiurato Gesù a dichiarare se egli sia il Cristo, il Figlio d'iddio. Cosicché i termini dell'interrogazione sono due; Gesù potrà affermare o negare di essere il Cristo, ossia il Messia, e oltre a ciò di essere il Figlio d'iddio. E’ probabile che Caifa, in questo scongiuro, usasse i due termini come praticamente sinonimi; tuttavia egli stesso e gli altri membri del Sinedrio mostreranno in seguito di saper ben distinguere il preciso significato dei due termini, e attribuiranno al termine il Figlio d'iddio un significato distinto e assai più alto che quello di Messia.
§ 567. Il momento era davvero solenne. Tutta l'operosità, tutta la missione di Gesù apparivano quasi riassunte nella risposta che egli avrebbe data allo scongiuro del sommo sacerdote. Chi interrogava era rivestito dell'autorità somma e ufficiale in Israele; chi rispondeva era colui che nella sua vita aveva serbato quasi costantemente occulta la sua qualità di Messia per ragioni d'oculata prudenza, confidandola soltanto negli ultimi tempi e soltanto a persone opportune e predisposte. a allora le ragioni di prudenza avevano cessato di esistere: pericoloso che fosse, era ben giunto il momento di dichiarare apertamente la propria qualità davanti all'intero Israele, rappresentato dal sommo sacerdote e dal Sinedrio. uttavia la risposta, che Gesù aveva già pronta, sarebbe stata certamente oggetto di scandalo per coloro a cui era diretta, a causa delle loro particolari condizioni di spirito: inoltre sarebbe stato necessario dapprima mettere bene in chiaro taluni principii sui quali essi potevano equivocare. Gesù quindi prudentemente ammoni: Se io ve (lo) dico, non (mi) crederete; se poi (vi) interrogherò, non (mi) risponderete (Luca, 22, 67-68). Questa ammonizione deluse per un momento l'ansiosa aspettativa dell'intera assemblea, i cui membri perciò dovettero esortare l'imputato a rispondere, ripetendogli alla rinfusa la domanda del sommo sacerdote per ottenere la dichiarazione che essi si aspettavano. Gesù allora, indirizzandosi al sommo sacerdote rispose: Tu (l')hai detto; il che significava: “Io sono ciò che tu hai detto” (§ 543). A questa schematica affermazione l'imputato aggiunse una dichiarazione rivolta all'intera assemblea:Senonché vi dico, da adesso vedrete il figlio dell'uomo seduto a destra della “Potenza” e veniente sulle nubi del cielo. Questa aggiunta adduce, fondendoli insieme, due celebri passi messianici (Daniele, 7, 9. 13; Salmo 110 ebr., 1); essa infatti vuole precisare il senso della schematica affermazione di Gesù ricollegandola con le sacre Scritture ebraiche, e nello stesso tempo appellarsi ad una futura prova di quella affermazione due al ritorno glorioso del Messia sulle nubi del cielo, predetto dalle Scritture.
§ 568. Appena udite le parole di Gesù tutti i Sinedristi insorsero protesi e vibranti, e a gara domandarono all'imputato: Tu dunque sei il Figho d'Iddio? (Luca, 22, 70). Dalla precedente risposta di Gesù essi già avevano ottenuto la preziosa confessione che egli si reputava Messia: poteva tuttavia rimanere un dubbio, cioè se egli si reputasse bensì Messia ma non già “Figho d'iddio” nel senso ontologico dell'appellativo. In realtà, le allusioni fatte da Gesù ai due passi messianici mettevano sufficientemente in chiaro anche questo punto; tuttavia i Sinedristi, ansiosi di ottenere una piena dichiarazione dall'imputato, gliene rivolsero formale domanda: Tu dunque sei oltreché il Messia anche il Figlio d'Iddio? Più precisi ed esatti di così, quei giudici non potevano essere. Più precisa ed esatta non poté essere la risposta di Gesù, la quale nel silenzio palpitante del tribunale risonò: Voi dite che io sono; il che significava: “Io sono ciò che voi dite” cioè il Figlio d'iddio. Ottenuta questa nettissima affermazione, il sommo sacerdote gridò esterrefatto: Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, adesso avete udito la bestemmia! Che ve (ne) pare? Tutti a gran voce risposero: E’ reo di morte! Per rendere più visivo e più impressionante il suo sdegno, il sommo sacerdote mentre aveva lanciato il primo grido si era anche strappato l'orlo superiore della tunica, com'era usanza di fare quando si assisteva ad una scena di sommo cordoglio; ma in realtà se quell'uomo avesse mostrato palesemente sul volto i veri sentimenti che aveva nel cuore, il suo aspetto sarebbe apparso illuminato di profonda e sincera gioia. Egli infatti credeva d'esser riuscito a far bestemmiare Gesù, e con ciò ad implicano nella sua propria condanna.
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