Il buon samaritano
§ 438. Durante questo peregrinare nella Giudea, probabilmente poco dopo il ritorno dei settantadue discepoli, Gesù fu avvicinato da un dottore della Legge che voleva farsi un'idea chiara del pensiero di Gesù su alcuni punti fondamentali: se ne dicevano tante sul conto di quel Rabbi galileo, che il dottore volle rendersi conto della realtà e metterlo alla prova. Lo interrogò quindi con semplicità: Maestro, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna? Gesù gradì l'interrogazione, e volle con opportune sollecitazioni far rispondere allo stesso interrogante, come già aveva usato far Socrate. Gli chiese quindi: Nella Legge che cosa sta scritto? Come (vi) leggi?Quello rispose che vi stava scritto d'amare Iddio con tutte le proprie forze e il prossimo come se stesso. L'amor di Dio era appunto il primo e più solenne precetto che ogni fedele Israelita ricordava a se stesso recitando quotidianamente lo She’ma (§ 66), e Gesù, da fedele israelita, approvò pienamente la risposta: Rispondesti rettamente. Fa' ciò, e vivrai! enonché in nessun passo della Legge si trovano uniti insieme i due precetti dell'amore di Dio e del prossimo, e sembra che anche i rabbini di quel tempo non usassero unirli insieme; ad ogni modo restava l'incertezza del terrnine prossimo, che non si sapeva bene a chi doveva riferirsi, se ai soli parenti o amici, oppure anche a tutti i connazionali e correligionari, ovvero nella più esorbitante delle ipotesi perfino ai nemici, agli alienigeni, agli incirconcisi, agli idolatri (§ 327, nota seconda). Di tutta questa gente chi era il vero prossimo per un Israelita? Possibile che fosse un reca ognuno di essi senza discriminazione? Il dottore volle mostrare di non aver parlato alla leggiera, giacché aveva mirato appunto all'ultima questione; perciò egli, volendo giustificare se stesso, disse a Gesu': E chi e' il mio prossimo? Gesu' gli rispose con una parabola. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico; e s'imbatté in ladroni i quali spogliatolo e carica to(lo) di percosse se n'andarono, lasciandolo mezzo morto. L'odierna strada da Gerusalemme a Gerico è di 37 chilometri, ma anticamente era un poco piu' breve perché l'ultimo suo tratto oggi è stato allungato per comodità del traffico; quell'uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, perché la strada è quasi tutta in discesa essendovi fra le due città un dislivello di circa 1000 metri. Circa dall'80 chilometro fin quasi alle porte di Gerico la strada si svolge in luoghi assolutamente deserti, montagnosi, e spesso impervii; perciò in tutti i tempi è stata infestata da ladroni, essendo praticamente impossibile snidarli dai rifugi segreti disseminati ai fianchi della strada ed avendo essi ogni comodità di allontanarsi e scomparire dopo qualche misfatto. Oggi sono stati moltiplicati lungo la strada i corpi di guardia della polizia; ai tempi dei Bizantini e dei Crociati serviva da corpo di guardia il Khan Hathrur, massiccia costruzione situata al 19° chilometro, che mentre proteggeva da rapine i viandanti poteva offrir loro anche un ricovero per la notte. La strada infatti, benché cosi malsicura, era frequentatissima, essendo l'unica che metteva la capitale Gerusalemme e buona parte della Giudea in comunicazione con l'ubertosa e popolosa pianura di Gerico e più in là ancora con la Transgiordania.
§ 439. Il malcapitato, dunque, giace sulla strada ammaccato di percosse, stordito, e non può in nessun modo tirarsi fuori da quelle condizioni se qualche pietoso non viene in suo soccorso. Ora per caso un sacerdote scendeva per quella strada, e veduto quello passò di lungo. Similmente poi anche un Levita, venuto sul posto e veduto (quello), passò di lungo. La parabola evidentemente suppone che ambedue, il sacerdote e il Levita, avessero terminato la loro muta di servizio al Tempio (§ 54), e quindi tornassero alle loro case situate a Gerico o giù di lì. Dopo questi due, passa un terzo viandante. Ma un Samaritano, essendo in viaggio, venne presso di quello, e veduto (lo) si commosse; e avvicinatosi lasciò le ferite di lui versandovi sopra olio e vino; fattolo poi salire sul giumento (suo) proprio, lo condusse alla locanda ed ebbe cura di lui. E la dimane, messi fuori due denari, (li) dette al locandiere e disse: “Abbi cura di lui) e ciò che (tu) abbia speso in più io al mio ritorno ti renderò”. Il Samaritano era forse un mercante che andava per acquisti nel distretto di Gerico, e di li a poco sarebbe ritornato facendo il cammino inverso; era anche benestante, perché viaggiava su un giumento suo proprio. La pietà ch'egli senti subito per l'infelice l'indusse a curano come meglio poteva in quella solitudine: applicò quindi alle ferite i medicinali del tempo, ossia l'olio emolliente e il vino disinfettante, e le fasciò con bende improvvisate; caricò poi di peso sul giumento quell'uomo inerte e imbambolato, e sostenendolo di fianco come meglio poteva lungo il tragitto lo portò fino alla locanda. Questo ricovero era certamente il caravanserraglio (§ 242) di quella strada; forse era situato sul posto dell'odierno Khan Hathrur, che una vecchia denominazione chiama anche « Castel del sangue », dal color rosso che le rocce ferrigne hanno in quel luogo, ma che spontaneamente fu applicato al sangue abitualmente sparso lungo la strada: di qui anche l'altra denominazione usuale di “Albergo del buon Samaritano”. I due denari d'argento, equivalenti a un po più di due lire in oro, erano una scorta sufficiente per provvedere a vari giorni di cura: del resto, se la scorta non fosse bastata, il Samaritano aveva promesso al locandiere di rimborsarlo del di più.
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