Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

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sabato 31 agosto 2013

2559 - Commento al Vangelo del 31/8/2013

+ Dal Vangelo secondo Matteo (25,14-30)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele -gli disse il suo padrone-, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele -gli disse il suo padrone-, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Oggi mi sono arrivati numerosi sms preoccupati e animati dall'ansia di recitare una Corona del Santo Rosario per fermare la guerra in Siria. Sembrerebbe una richiesta come tante altre che circolano spesso, invece questa volta è stata la Madonna a Medjugorje a parlare della gravità del conflitto in Siria, ha detto che questo scatenerà un conflitto mondiale. Pochi giorni fa ho accennato in una newsletter che alcuni potenti hanno trovato una giustificazione per dare inizio ad un conflitto per poi cercare una falsa pace e così arrivare alla creazione di un Nuovo Ordine Mondiale.
La preoccupazione della Madonna è immensa, oggi ci invita a recitare la Corona del Santo Rosario per fermare la guerra in Siria.
Ha detto espressamente che l’inizio del bombardamento in Siria scatenerà un conflitto mondiale e nessuno può prevederne le tremende conseguenze. Gli Stati Uniti vogliono sfruttare il petrolio, si era associata l’Inghilterra ma gli inglesi hanno fortemente protestato e il governo è stato costretto a rinunciare anche per paura delle ripercussioni dei terroristi siriani e di altri loro complici.
Preghiamo secondo l’intenzione della Madonna, aiutiamola con molte preghiere nel fermare uno scontro armato agghiacciante.
Sono pochi nel mondo i cristiani che pregano veramente Gesù, il resto dell’umanità è convinta di risolvere in questa vita la vicenda esistenziale ed agisce di conseguenza, senza limiti alle trasgressioni e con molto egoismo. I potenti del mondo sono bramosi di potere, infatti sono potenti, ma non sono mai appagati e cercano di sconfiggere altri popoli e Nazioni per dominare e usurpare le ricchezze.
Sono potenti che non concepiscono un Dio che li ha creati e che potrebbe annientarli in un millesimo di secondo. Non possono capire.
La parabola dei talenti ci rivela in modo esplicito il significato della nostra vita terrena. Ad ogni creatura umana il Signore dà delle capacità perché le metta a frutto. Il nostro vivere sulla terra non è fine a se stesso: ha un grande valore agli occhi di Dio. Ed è per questo che ci mette alla prova.
Dobbiamo far fruttare i doni che Egli ci dà, di qualunque genere essi siano: uno può avere forza fisica, può avere capacità di studio, capacità artistiche, capacità organizzative, dono di parola, attitudine ad assistere i malati, i poveri. Deve quindi impiegare queste capacità per quanto gli è possibile.
Nulla deve essere sprecato dei doni di Dio. Se meditiamo attentamente, ci accorgiamo che la sorte del servo fannullone di questa parabola è uguale a quella delle cinque vergini stolte, dell’invitato senza l’abito di nozze, dei peccatori ostinati. Per tutti questi, “sarà pianto e stridore di denti”.
“Il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre… così le cinque vergini stolte… l’invitato senza l’abito di nozze… i peccatori ostinati…”.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2558 - San Paolino di Treviri, Vescovo

Nato da una nobile famiglia dell'Aquitania, venne a Treviri ai tempi del vescovo Agrizio; ordinato sacerdote dal vescovo Massimino, lottò coraggiosamente con s. Anastasio contro gli ariani. Diventato vescovo di Treviri verso il 346, prese una parte ancora più attiva in questa lotta e fu il solo vescovo che si rifiutò di condannare Atanasio nel sinodo di Arles (353). Perciò l'imperatore ariano Costanzo II lo mandò in esilio nella Frigia dove sopportò lunghe sofferenze e morì dopo cinque anni, il 31 agosto 358. Il vescovo Felice ne riportò le spoglie a Treviri circa trent'anni più tardi.
Il suo sarcofago, con simboli paleocristiani e iscrizione, venne ritrovato nel 1072 nella cripta della chiesa, costruita verso il 400, presso la quale sorse piú tardi la canonica di S. Paolino. La festa di Paolino ricorre il 31 agosto.

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venerdì 30 agosto 2013

2557 - Commento al Vangelo del 30/8/2013

+ Dal Vangelo secondo Matteo (25,1-13)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il Regno dei Cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
La parabola l’ho già spiegata alcune volte e chi l’ha meditata attentamente la comprende adesso con facilità. Sono pure i dettagli a darci una spiegazione più appropriata e ci fanno capire l’importanza della vigilanza, della costanza nella preghiera, dell’accuratezza nel tenere l’olio nelle lampade che devono sempre ardere di Fede.
L’olio delle lampade è la Grazia di Dio nelle anime.
Trascurare di mettersi in Grazia di Dio è pericoloso. Il Signore può richiederci in ogni momento conto della nostra vita e quando Egli dice: “Il Regno dei Cieli è simile a dieci vergini”, vuol dire ancora una volta che nel Regno dei Cieli le cose vanno così.
Tutti siamo invitati alla festa con lo Sposo che è Gesù Cristo, non tutti i cristiani sono attenti e vigilanti, infatti sono pochi quelli che attendono il suo arrivo. Pochi quelli che Lo cercano nella preghiera e conducono una vita rispettosa del Vangelo.
L’umanità è chiamata ad attendere l’arrivo dello Sposo ma la maggior parte ignora Dio e vive senza vita soprannaturale. Secondo la parabola tra i cristiani c’è una divisione: metà sono savi e metà sono stolti. In realtà non si presenta così oggi il Cristianesimo, ma per rispettare questa parabola divido a metà quelli che sono chiamati ad aspettare Gesù proprio perché cristiani.
Tutti questi cristiani potrebbero vivere in Grazia di Dio, ma non tutti lo desiderano, non attendono quindi nella preghiera lo Spirito di Dio, lasciano consumare l’olio e non provvedono a procurare olio di scorta. Non pregano e non seguono un buon cammino spirituale.
Inevitabilmente l’olio si consuma nell'attesa dello Sposo, così le vergini stolte rimangono senza l’olio della Grazia, a rappresentare i cristiani che perdono la Grazia a causa della vita peccaminosa.
Le trascuratezze, le negligenze, la superficialità nel pensare e nell'agire, che Gesù definisce stoltezza possono essere fatali.
Solo i cristiani savi mantengono le lampade sempre accese con la Fede viva, procurano l’olio della Grazia che arriva da Gesù.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2556 - Santi Felice e Adautto, martiri

La storia dei santi Felice e Adautto sembra interessi più l'archeologia che la devozione. Dopo il loro martirio, avvenuto probabilmente durante la persecuzione di Diocleziano agli inizi del IV secolo, vennero sepolti in una cripta del cimitero di Commodilla, sulla via delle Sette Chiese, poco lontano dalla basilica di S. Paolo fuori le mura. La cripta venne trasformata da papa Siricio in basilica, successivamente ampliata e decorata di affreschi dai papi Giovanni I e Leone III. Divenne così meta di pellegrini e di devoti fino al medioevo inoltrato, quando catacombe e santuari sotterranei caddero in oblio o furono devastati. Il cimitero di Commodilla e la tomba di Felice e Adautto furono scoperti nel 1720, ma la soddisfazione del ritrovamento durò poco, perchè alcuni giorni dopo la volta della piccola basilica sotterranea crollò. Sui ruderi caddero nuovamente l'oblio e l'incuria fino al 1903, quando la basilica venne definitivamente restaurata. Si riscoprì uno dei più antichi affreschi paleocristiani, nel quale è raffigurato S. Pietro che riceve le chiavi alla presenza dei Ss. Stefano, Paolo, Felice e Adautto.
Secondo l'autore di una leggendaria Passio scritta nel secolo VII, quando il loro culto era in piena fioritura, Felice era un presbitero romano, condannato a morte durante la persecuzione di Diocleziano. Mentre veniva condotto al luogo dell'esecuzione, sulla via che porta a Ostia, dalla folla dei curiosi e dei compagni di fede si staccò uno sconosciuto, che andò incontro al condannato. Giunto a un passo dai soldati incaricati dell'esecuzione, proclamò a voce ferma di essere cristiano e di voler condividere la stessa sorte del presbitero Felice. Venne esaudito senza troppi indugi. Dopo aver spiccato la testa di Felice, con la stessa spada decapitarono l'audace, che aveva osato sfidare le leggi dell'imperatore. Ma chi era costui? Nessuno dei presenti ne conosceva l'identità e fu chiamato semplicemente "adauctus", aggiunto, da cui il nome Adautto, "eo quod sancto Felici auctus sit ad coronam martyrii".
L'episodio restò vivo nella memoria della Chiesa romana, che associò i due martiri in un'unica commemorazione, al punto che alcune fonti li definiscono fratelli. La notizia più antica sui due martiri ci è fornita da un carme di papa Damaso, in cui viene elogiato il presbitero Vero per averne decorato il sepolcro. La diffusione del loro culto nell'Europa settentrionale ebbe origine dal dono di alcuni frammenti prelevati dalle loro reliquie e donati da papa Leone IV alla moglie di Lotario, Ermengarda.

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giovedì 29 agosto 2013

2555 - Commento al Vangelo del 29/8/2013

+ Dal Vangelo secondo Marco (6,17-29)
In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro. 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
La figura di Giovanni Battista rimane quella più forte tra tutti i seguaci di Gesù ma è pure quella meno meditata. I grandi Santi hanno avuto una grande devozione per il Precursore, ma non bisogna essere Santi per venerarlo. San Francesco d’Assisi faceva ogni anno una Quaresima di digiuno e preghiere in onore di Giovanni Battista, forse anche perché il nome dato dalla mamma era Giovanni, mentre il padre lo chiamava Francesco perché faceva affari in Francia.
La lode più grande su Giovanni Battista l’ha data Gesù, in alcuni versetti lo presenta come un gigante di santità, con parole che non dirà per nessun altro, lo considera un uomo più importante di tutti i Profeti dell’Antico Testamento. È facile fare il confronto tra Giovanni Battista e gli Apostoli terrorizzati e pronti a scappare non appena arrestarono Gesù. Il Battista invece non ebbe paura della morte pur di attestare sempre la verità.
Tra gli Apostoli, uno tradì il Maestro e si impiccò, gli altri undici prima scapparono e poi si nascosero, pieni di paura e sconvolti. Con la Pentecoste gli Apostoli diventarono eroici e valorosi, ma essi erano rimasti tre lunghi anni accanto a Gesù, condividendo opere e sacrifici, mentre Giovanni Battista non aveva avuto il dono di restare vicino a Gesù. Rileggiamo l’elogio che fece Gesù del Precursore.
«Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te.
In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel Regno dei Cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il Regno dei Cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono.
La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni. E se lo volete accettare, egli è quell'Elia che deve venire. Chi ha orecchi intenda.
Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell'Uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere» (Mt 11,7-19). 
Queste poche parole di Gesù su Giovanni Battista valgono molte enciclopedie di commenti scritti dagli uomini, ed è bene soffermarci e capire perché è stato innalzato ad una santità eccelsa. È stata la Grazia di Dio a plasmare questo uomo straordinario, l’iniziativa parte sempre da Dio ma Giovanni Battista ha corrisposto forse come nessun altro seguace di Gesù. “Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista”.
Egli si è preoccupato esclusivamente della volontà di Dio, non ha cercato divagazioni, non si è lasciato tentare dalla vita mondana.
Per questo dobbiamo conoscere meglio questo Santo, per amare Gesù come ha fatto lui, per vivere la volontà di Dio senza tentennamenti e con un amore totale. Giovanni Battista ci indica la Via giusta, ci protegge e non permette che deviamo dalla Verità. Nelle sofferenze e nelle prove della vita ricordatevi della fortezza di Giovanni Battista, resistete ad ogni tentazione e all’abbattimento, non lasciatevi vincere dal male.
“Sì, vi dico, anche più di un profeta”.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2554 - Sant' Alberico Eremita Camaldolese

Il suo nome si perpetua soprattutto per l’esistenza del suo antico eremo, ancora oggi funzionante, che prese appunto il nome di Sant'Alberico. Pochissimo sappiamo della sua vita, vissuto nella prima metà del sec. XI, secondo la tradizione Alberico appartenne ad una nobile e ricca famiglia di Ravenna. 
Da giovane si votò ad una vita eremitica fatta di rigorosa penitenza, preghiera e contemplazione, dimorando a Valle Sant'Anastasio presso San Marino; in questo luogo, si racconta, che fece scaturire una fonte di acque salutari, tuttora esistente. 
Poi abitò per qualche tempo nell'eremo di Ocri in diocesi di Sarsina (Forlì), eretto da s. Pier Damiani (1007-1072); da qui passò a condurre sempre una vita eremitica, in una località detta Balze, situata in una profonda gola a m. 1147 sul Monte Fumaiolo, che dipendeva dal monastero di S. Giovanni Battista, sempre nella diocesi di Sarsina; appartenente all'Ordine Camaldolese, fondato da s. Romualdo (952-1027). 
Qui visse in perfetta solitudine per molti anni, finché lo colse la morte verso il 1050; l’eremo che poi prese il nome di “Celle di s. Alberico”, dopo la sua morte fu abitato da più eremiti dell’Ordine Camaldolese, sotto la giurisdizione del già citato monastero, che ne tenne la proprietà fino al 1821; fu poi venduto a dei privati e dopo nel 1872, fu ceduto alla Diocesi di Sarsina. 
La prima memoria certa del suo culto risale al 1300, quando nel timore che i Fiorentini potessero impossessarsi del corpo, questo fu trasferito di nascosto nella chiesa dell’abbazia benedettina di Valle Sant'Anastasio e tumulato in una parete. 
Casualmente fu ritrovato nel 1640 dal vescovo Consalvo Durante ed esposto alla venerazione dei fedeli nell’altare della Madonna del Rosario. 
Un altro vescovo Bernardino Bellucci, nel 1698 lo fece collocare in un nuovo altare dedicato appunto a S. Alberico, dov’è tuttora. 
Il santo eremita, che già in vita operava molti prodigi, è invocato dai pellegrini che salgono all’Eremo, contro le malattie addominali e le ernie dei bambini. In questi secoli è continuato l’avvicendarsi degli eremiti, che sia pure a fasi alterne, hanno fatto funzionare l’eremo e la chiesetta annessa, accogliendo ed assistendo i pellegrini devoti del santo. 
Fra le figure più operose di questi eremiti, troviamo negli anni dal 1954 al 1968, il servo di Dio sacerdote Quintino Sicuro, ex vicebrigadiere della Guardia di Finanza, che operò una ristrutturazione e restauro completo della residenza e della chiesa. 
S. Alberico è celebrato il 29 agosto, come data probabile della sua morte.

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mercoledì 28 agosto 2013

2553 - Commento al Vangelo del 28/8/2013

+ Dal Vangelo secondo Matteo (23,27-32)
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all'esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all'esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Tre enormi navi si trovano nel Mediterraneo per bombardare da domani e per tre giorni la Siria, un Paese che è una polveriera, quindi si prevedono purtroppo spaventosi fuochi d’artificio. Non saranno quelli che conosciamo nelle feste paesane, quelli normalmente producono quattro “effetti primari”: luce, rumore, fumo, materiale solido in combustione che cade lentamente (striscioline, coriandoli, etc.).
Quanto si sta preparando in Siria è preoccupante, e non crediamo che sia stato l’uso del gas a far muovere le Nazioni occidentali, invece il gas è il pretesto per uccidere, fare rumore e spaventare soprattutto i governi per poi chiedere a tutte le Nazioni la necessità di formare il Nuovo Ordine Mondiale e così controllare tutto e tutti noi. Gli Stati Uniti e l’Inghilterra non vogliono la guerra per difendere i siriani, non ne hanno alcun pensiero.
Questi avvenimenti ci fanno sentire umanamente inermi ma fortissimi nella preghiera, perché recitiamo molte Corone del Santo Rosario.
Questi potenti del mondo sono insignificanti davanti a Dio, ma li lascia muovere senza impedimenti per il libero arbitrio che ha donato e che non viola mai. I potenti si illudono di gestire tutto e di raggiungere la creazione del governo mondiale ingannando l’umanità, essi non si rendono conto di essere più piccoli dei moscerini e che un solo soffio del più piccolo Angelo Custode li getterà dove tutto è da tempo preparato.
Noi non vogliamo la perdizione dei potenti, infatti preghiamo ogni giorno per la conversione di tutti i peccatori e la pace nel mondo.
guai” che continua a lanciare Gesù come atto di misericordia sono innumerevoli, lo mostra anche con la presenza costante della Regina del mondo venuta a richiamare tutti all’amore e al perdono, ma pochissimi ascoltano. L’umanità è nei “guai”, per capirlo si deve possedere un briciolo di saggezza, non basta la logica umana che capisce ma non cerca i rimedi per evitare conseguenze tremende per miliardi di persone.
Quanti “guai” nel mondo, nelle città e nei piccoli paesi, nelle famiglie e negli ambienti lavorativi, sono “guai” molto seri considerando che un enorme “guai” Gesù lo ha lanciato a quei Consacrati che hanno smarrito la Via della Verità. È venuta meno una virtù importante, la virtù della giustizia e si segue la logica del tornaconto personale. L’uomo ha perduto molto in questi ultimi decenni, non si cura più della sua dignità e vive fuori di sé pur di appagare ogni piacere.
Il sesto “guai” manifesta tutto lo sdegno di Gesù verso l’ipocrisia di coloro che agiscono subdolamente, essi pensano qualcosa e poi manifestano il contrario, non hanno verità nel cuore, nella mente, sulle labbra. Pensano solo all’esteriorità, ad apparire non autenticamente e con quella maschera indossata nella circostanza.
Nessuno deve abbattersi se qualche volta ha agito così, deve rimediare e non ripetere più questa finzione. Mostrate l’autenticità.
È importante la parte interiore della persona, quella che non si vede perché spirituale ma che si manifesta nel modo di parlare, nelle scelte, nelle opere, in tutta la vita. Da come si parla e si agisce gli altri percepiscono la vera identità di una persona. È vero che nessuno deve giudicare gli altri, però è prudente cercare di capire con chi si ha a che fare.
Non è gran cosa avere per amici quanti curano l’esteriorità e ignorano l’interno, la vita spirituale. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità”.
Il settimo “guai” Gesù lo lancia contro i capi e i responsabili giudei, essi costruiscono e restaurano i monumenti funebri dei martiri del passato e si dissociano a parole dalle cattive opere dei loro padri, ma nella vita si mostrano consenzienti con quella storia, e la prova arriva dalla persecuzione che attuano nei confronti degli inviati di Gesù: profeti, sapienti e scribi.
È un “guai” che Gesù estende a quanti nella Chiesa a parole affermano di seguire Lui ma nei fatti perseguitano i suoi inviati!

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2552 - Sant' Alessandro I di Costantinopoli Vescovo

Succeduto a Metrofane poco dopo il concilio di Nicea, Alessandro occupò la sede bizantina per circa undici anni, dal momento che Paolo fu eletto nel 336, e durante il suo episcopato lottò strenuamente per la difesa dell'ortodossia nicena contro gli intrighi degli ariani . Il nome di Alessandro è particolarmente legato al tentativo che Ario, favorito dal partito ariano della corte e forte dell'autorità di Costantino, fece per essere ammesso alla comunione nella Chiesa di Costantinopoli. S. Atanasio, da cui dipendono altri autori, quali Socrate e Sozomeno, nella lettera a Serapione del 358 parla diffusamente di questo tentativo, menzionato anche nei sinassari e negli altri scritti biografici.
Secondo il racconto di s. Atanasio, che si vale della testimonianza oculare del prete Macario, Ario, dopo una subdola professione di ortodossia, fu riabilitato da Costantino e pretese quindi di essere ammesso alla comunione dal vescovo A. Questi naturalmente si oppose, ma, prevedendo di non poter resistere alla prepotenza del partito ariano, che faceva capo a Eusebio vescovo di Nicomedia, si rivolse a Dio invocando da Lui la morte piuttosto che vedere un eretico entrare nel tempio. L'improvvisa morte di Ario tra atroci dolori mentre si avviava alla sua pubblica riabilitazione, fu il segno del giudizio di Dio "che si era assiso qual giudice tra le minacce dei partigiani di Eusebio e la preghiera di Alessandro".
Alessandro morì probabilmente nel 336 o nel 340. Nel Martirologio Romano e nel Geronimiano è ricordato il 28 agosto, mentre presso i Greei la memoria è al 30 e 31 agosto. Il Sinassario Costantinopolitano, celebrando Alessandro il 2 giugno, commette l'errore storico-cronologico di collocare la morte di Ario sotto l'imperatore Costanzo.

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martedì 27 agosto 2013

2551 - Commento al Vangelo del 27/8/2013

+ Dal Vangelo secondo Matteo (23,23-26)
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull'anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all'interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Riprendiamo il Vangelo di ieri e approfondiamo la gravità delle accuse lanciate da Gesù a scribi e farisei. Il genere letterario dei “guai” è un genere profetico. Non si identifica con la maledizione, ed avveniva sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento. Gesù non maledisse neanche il fico sterile: «Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: “Non nasca mai più frutto da te”.  E subito quel fico si seccò» (Mt 21,19).
Il genere letterario dei “guai” è un metodo usato per denunciare il peccato, un avviso del tremendo giudizio di Dio ancora evitabile. Gli antichi Profeti molto spesso annunciavano “guai” imminenti alle popolazioni infedeli. Dobbiamo inquadrare in questa analisi il lancio dei “guai” che troviamo in questi giorni, Gesù non solamente rivela la corruzione dei farisei o neomodernisti di oggi, afferma anche che per le loro colpe subiranno conseguenze tremende.
“guai” lanciati da Gesù sono atti di misericordia a persone che non meritano nulla, colpevoli di avere quasi infinitamente abusato della misericordia di Dio, calpestano senza freno le Sacre Scritture, esercitano un potere oppressivo ed ingiusto sulla popolazione. Gesù denuncia pubblicamente questi corrotti, svela i loro crimini, presagisce la loro perdizione.
Gesù trova piena ipocrisia nella classe dirigente giudaica, i 7 “guai” sono rivolti solo ai suoi capi e non a tutto Israele.
Gesù denuncia apertamente gli ipocriti ed avvisa i futuri cristiani a non cadere nell’ipocrisia, perché la loro fine sarà simile a quella di scribi e farisei. La deformazione religiosa può infiltrarsi ovunque all’interno della Chiesa per l’agire subdolo dei neomodernisti, e oggi non sono più sufficienti i 7 “guai” lanciati da Gesù…
È facile scoprire questa deformazione religiosa in tutta la sua mostruosità, valutando l’ipocrisia tra quello che dicono e ciò che vivono; l’esteriorità, quindi la ricerca dell’apparenza e non dell’essenza; la vanità della vita; la simulazione di pietà quando si esibisce un fervore inesistente e bocciato dalle stesse opere inique; la miopia nel non vedere più la Verità del Vangelo storico.
Il primo “guai” riguarda il “vietare l’accesso al Regno di Dio”. Chi entra in questo Regno manifesta l’adesione al Vangelo, Gesù denuncia l’osteggiamento verso il suo Vangelo. Oltre a non aderire al messaggio di Gesù, i neomodernisti con in testa i teologi, con la loro influenza impediscono di fatto ai credenti di immettersi nella strada o la porta della vita spirituale. Indicano una via sbagliata anche se piacevole ai sensi esterni…
Il secondo “guai” riguarda il proselitismo. Il proselito passava dal paganesimo all’ebraismo attraverso il battesimo e la circoncisione. Gesù denuncia un comportamento aggressivo di chi si convertiva e diventava ancora più intransigente di quanti erano nati nell’ebraismo, questo convertito arrivava a diventare doppiamente nemico di Gesù.
Il terzo “guai” riguarda il giuramento. Erano bravi ad evitare il Nome di Dio attraverso un giro di parole ambigue. Utilizzavano il tempio, l’altare o il cielo nei formulari del giuramento per sostituire il Nome di Dio e questa era una doppia falsità. Gesù condanna la pratica del giuramento, utilizzato per coprire i loro misfatti ed affermare falsità.
Il quarto “guai” riguarda le decime. Gesù osserva che scribi e farisei oltre a seguire la prescrizione della Torà di dare la decima sul frumento, sul vino, sull'olio e sul gregge, hanno aggiunto a questa tassa religiosa anche tre tipi di erbe. Tutto sommato non è uno scandalo, ma c’è una grande contraddizione nel pretendere l’osservanza di queste tasse, trascurando di osservare i doveri etici fondamentali, come la giustizia, la misericordia e la fedeltà.
Il quinto e il sesto “guai” sono associati, Gesù trova pienamente ipocrita l’osservanza esteriore per poi marcire interiormente. La vera purità non sta nel bicchiere o nel piatto pulito se poi i cuori sono covi di odio, malizia e intemperanza. Non bisogna pulire solo l’esterno del bicchiere, è più importante l’interno, và pulito prima ancora dell’esterno.  
Questi avvisi Gesù li ripete anche oggi ed invita tutti a preoccuparci della vita spirituale interiore, non tanto dell’apparenza!

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2550 - San Cesario di Arles Vescovo

"E' un monaco esemplare", dicono certi confratelli. «Troppo esemplare», mormorano certi altri, meno spirituali. Infatti nel monastero gli fanno amministrare la mensa, e lui raziona severamente cibo e bevande a tutti, cominciando da sé stesso. Nato da una famiglia gallo-romana di limitate risorse, sui vent’anni si è fatto monaco a Lérins, nel minuscolo arcipelago al largo di Cannes, presso il monastero che è già un illustre centro di studi e spiritualità.
A Lérins, Cesario rimane per sette anni e poi il vescovo Eonio di Arles lo chiama presso di sé, gli conferisce il sacerdozio e lo manda in un altro monastero a riportare la disciplina. È un po’ la sua specialità: «Uso severità perché dovrò renderne conto al Giudice eterno». Intorno ai 33 anni, morto Eonio, eccolo vescovo di Arles, l’antica città sul Rodano, capitale della Gallia romana dal 395 fino alla caduta dell’Impero d’Occidente.
Ora la Gallia è un enorme condominio di Ostrogoti, Visigoti, Burgundi, ai quali si aggiungono dal Nord i Franchi, futuri padroni di tutto. Cesario è vescovo dei cattolici in una terra dove comandano i Visigoti ariani, con le campagne ancora scarsamente e irregolarmente evangelizzate. Lui però si considera debitore di tutti, chiamato a offrire aiuto in un tempo disgraziato, con tanti prigionieri di guerra, tanta gente deportata altrove, famiglie smembrate... In questa situazione, Cesario si realizza come il tipico vescovo dei “tempi di ferro”, difensore di tutti gli indifesi, che cresce in autorità per la sua dedizione alle popolazioni che nessun altro aiuta. Vende gli oggetti preziosi delle chiese per pagare i riscatti, si rivolge ai governanti e ai sovrani visigoti e burgundi; si ritrova pure accusato di congiura (ma dimostra poi la sua innocenza). E costruisce ad Arles l’ospedale più importante di tutta la Gallia.
Nei suoi quarant’anni da vescovo, Cesario promuove concili locali e sinodi per affrontare problemi di dottrina, di organizzazione e disciplina ecclesiastica. Ma è soprattutto un grande predicatore. Col suo consueto rigore, ammonisce i preti: «Chi non predica la parola di Dio dovrà renderne conto al Giudice». Dà al suo clero anche indicazioni pratiche sul modo di parlare, specialmente alla gente di campagna; e a quei preti che proprio non se la cavano, manda copia delle sue prediche. Molte di esse sono giunte fino a noi grazie alle ricerche del benedettino francese padre Leopoldo Germano Morin. Cesario predica per lo più ricorrendo al metodo delle domande e risposte, presentando i suoi concetti attraverso immagini familiari ai fedeli: e poi le sue prediche sono brevi; una ventina di minuti. Si può dire che Cesario abbia continuato a predicare anche dopo la morte, perché i suoi sermoni hanno avuto un’ampia diffusione nell’Alto Medioevo, e sono stati utilizzati da generazioni di predicatori.
Il vescovo-monaco è anche autore della Regola per un monastero femminile (fondato da sua sorella Cesaria), poi accolta anche da comunità maschili. Morto già in fama di santità, Cesario viene sepolto nella basilica di Santa Maria, devastata durante l’invasione saracena dell’VIII secolo. Ad Arles si conserva il coperchio del suo sarcofago.

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lunedì 26 agosto 2013

2549 - Commento al Vangelo del 26/8/2013

+ Dal Vangelo secondo Matteo (23,13-22)
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il Regno dei Cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato”. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato”. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il Cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Ogni pagina del Vangelo entusiasma il lettore interessato per la profondità spirituale e le perfette argomentazioni. Nessun uomo è in grado di mettere assieme parole non comuni e soprannaturali, solo Dio può darci questo alimento indispensabile per conoscere la Verità e diventare migliori.
Questa pagina del Vangelo di oggi mette ben in mostra lo sdegno di Gesù, condito da parole pesanti e inequivocabili. La prima cosa che appare certa è che Gesù non maledice i farisei ingannatori, Egli svela tutta la loro corruzione e lo fa con parole chiare. Gesù può farlo perché Dio e non aspetta alcuna ricompensa da nessuno, Lui semmai dona ricompense e benedizioni. Il suo parlare esplicito, rivelatore e pieno di coraggio dicono che solo chi è nella Verità parla così.
Gesù parla con questo eroismo perché è la Verità.
I suoi seguaci sono chiamati a parlare con coraggio ma difficilmente questo avviene per varie circostanze. Innanzitutto il coraggio spesso non è adeguato, ci sono troppi ragionamenti e la giustificazione sempre presente, inoltre manca la spinta interiore che deve essere azionata dallo Spirito Santo. Non sempre bisogna esternare o parlare con coraggio, la prudenza è più importante del coraggio, se la prudenza è consistente si comprende che bisogna parlare solo quando è volontà di Dio.
È sempre volontà di Dio difendere il Vangelo e la Chiesa, sono situazioni in cui bisogna difendere in  quel momento la Veritàdi Dio senza preoccuparsi del giudizio degli altri. Chi ha rispetto umano e quindi teme il giudizio degli altri, non è vero seguace di Gesù.
La prudenza però non è mai troppa, non si deve mai parlare avventatamente nella foga di difendere la Verità di Dio. Con serenità si possono spiegare tante cose, si possono anche scrivere le eresie degli ingannatori, ma bisogna comprenderlo nella preghiera prolungata e nell’adorazione costante dell’Eucaristia.
L’azione di Gesù è delicata, opposta a quella più agitata dei diavoli, sempre martellanti nel voler far compiere azioni sbagliate.
Chi è intimo con Gesù si sente sempre spinto a difendere con coraggio Lui e la Chiesa, ma alle volte non è opportuno anticipare una difesa che non funziona in quel momento, così con intelligenza si rimanda al tempo che deciderà Gesù. Ed è qui che si prova il cristiano che segue Gesù da chi invece segue se stesso!
Con gioia e nella pace profonda chi è vicino a Gesù è sempre pronto a fare silenzio anche per anni e a parlare o scrivere quando Lui vorrà, infatti anche il coraggio sovrabbonda in chi vive in totale dipendenza da Dio.
Chi è intimo con Gesù non ha paura dei nuovi farisei presenti nella Chiesa e sono i neomodernisti, quelli che stanno distruggendo la sana dottrina cattolica, dopo avere inventato un falso vangelo. Sono loro ad avere terrore di chi grida con coraggio la piena Verità del Vangelo storico e svela la loro doppiezza nell’agire.
Guai a voi”. È il grido di Gesù a quanti Lo tradiscono e conducono milioni di persone all’inferno. È l’avvertimento finale!
Oggi, domani e mercoledì ci troviamo a meditare il capitolo 23, precisamente le tre parti che contengono i 7 “guai” lanciati dal Signore ai falsi devoti. Oggi meditiamo Mt 23,13-22, domani Mt 23,23-26 mentre mercoledì Mt 23,27-32. Sono tre meditazioni che meritano una particolare considerazione soprattutto da parte dei Consacrati e dei teologi. Sono 7 “guai” divisi in tre meditazioni, oggi 3, domani 2 e dopodomani altri 2.
Adesso mi ritrovo ad avere poco tempo, dopo gli impegni che si susseguono nella giornata ma che lasciano sempre il tempo prolungato per la preghiera. Non voglio liquidare in poco tempo i primi 3 “guai” di oggi e rimando al commento di domani l’inclusione di questi e la meditazione dei 2 del Vangelo di martedì. Domani, se Dio vorrà, mediteremo 5 “guai” dei 7 che ci presenta San Matteo. È una meditazione molto bella e che preparerò anche di notte, se sarà necessario.
Oggi voglio riportare alcune terribili parole di Gesù pronunciate poco prima di lanciare i 7 “guai”, i destinatari sono sempre tutti gli ipocriti che Lo oltraggiano e diffamano senza vergogna. “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23,2-4).

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2548 - Sant'Alessandro di Bergamo, martire

Alessandro, Patrono della città di Bergamo, è raffigurato, tradizionalmente, in veste di soldato romano con un vessillo recante un giglio bianco. Il vessillo sarebbe stato quello della Legione Tebea comandata da S. Maurizio (legione romana composta secondo la leggenda da soldati egiziani della Tebaide) nella quale Alessandro sarebbe stato, secondo gli Atti del martirio, comandante di centuria.
Questa centuria fu spostata intorno all'anno 301 dalla Mesopotamia alle regioni occidentali, prima a Colonia, poi a Brindisi, sino a giungere in Africa. Durante il lungo viaggio dei legionari, diverse persecuzioni contro i cristiani furono ordinate dall'imperatore Agrippina, ma molti soldati si rifiutarono di eseguire gli ordini pagando con la decimazione, avvenuta ad Agaunum, nell'odierna Saint Maurice-en-Valais che si trova nel cantone Vallese, in Svizzera.
Tra gli scampati al massacro, Alessandro riparò con alcuni suoi compagni in Italia, ma fu imprigionato a Milano (nel luogo dove oggi sorge la basilica di S. Alessandro in Zebedia) e qui si rifiutò di abiurare alla fede cristiana come ordinatogli dall'imperatore Massimiano.
Fuggito dalla prigione, grazie all'aiuto di S. Fedele e del vescovo S. Materno, sulla strada verso Como, secondo la leggenda, compì il miracolo di risuscitare un defunto.
Dopo essere stato riconosciuto, catturato e riportato davanti a Massimiano, Alessandro abbatté l'ara preparata per il sacrificio agli dei romani, facendo infuriare l'imperatore che lo condannò a morte per decapitazione. La leggenda vuole che il carnefice non osasse colpirlo poiché Alessandro gli appariva come un monte e, per lo spavento, gli si sarebbero irrigidite le braccia: la stessa sorte sarebbe toccata ad altri soldati chiamati ad eseguire la condanna; pertanto fu rimesso in carcere, a morire di stenti, ma riuscì nuovamente a fuggire.
Alessandro passò l'Adda all'asciutto e si nascose in un bosco vicino a Bergamo, presso il Ponte della Morla (luogo dove sorge oggi la Chiesa di S. Alessandro alla Morla) presso un patrizio locale, Crotacio. A Bergamo Alessandro iniziò un'opera di conversione alla fede cristiana degli abitanti della città, tra cui i futuri martiri Fermo e Rustico, parenti di Crotacio. Fu presto scoperto da alcuni soldati romani che lo condussero in catene a Bergamo, dove fu condannato alla decapitazione; questa volta fu eseguita senza intoppi il 26 agosto 303 nel luogo dove ancora sorge la Chiesa di S. Alessandro in Colonna.
Grazie alla nobildonna Santa Grata, il corpo del martire fu trafugato e trasportato nel podere della famiglia di lei, dove fu inumato. La santa, alcuni giorni dopo l'esecuzione, avrebbe trovato le spoglie di S. Alessandro, la cui presenza era segnalata da gigli, cresciuti in corrispondenza di alcune gocce del sangue del martire, le avrebbe raccolte e fatte seppellire in un orto della sua famiglia, fuori della città, là dove sarebbe sorta la grande basilica di S. Alessandro, poi abbattuta durante la costruzione delle mura venete di Bergamo.
Il corpo di S. Alessandro si venera nella cappella gentilizia del castello ducale di Pescolanciano (Isernia - Molise).
 
Significato del nome Alessandro: “protettore di uomini” (greco).
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domenica 25 agosto 2013

2547 - Messaggio di Medjugorje a Marja del 25 agosto 2013

Cari figli! 
Anche oggi l’Altissimo mi dona la grazia di essere con voi e di guidarvi verso la conversione. 
Giorno dopo giorno Io semino e vi invito alla conversione perché siate preghiera, pace, amore e grano che morendo genera il centuplo. 
Non desidero che voi, cari figli, abbiate a pentirvi per tutto ciò che potevate fare e che non l’avete voluto. 
Perciò, figlioli, di nuovo con entusiasmo dite: «Desidero essere segno per gli altri». 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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2546 - Commento al Vangelo del 25/8/2013, domenica 21^ t.ord.

21ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

+ Dal Vangelo secondo Luca (13,22-30)
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Ieri nello scambio tra Gesù e Bartolomeo abbiamo incontrato l’affermazione del Signore che ha sconvolto l’Apostolo: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Sentire questo complimento da Gesù è senz'altro l’approvazione più importante e consolante per un cristiano. Pochi cristiani però si pongono questa domanda: “Gesù è contento di me? Mi considera un buon cristiano?”.
I cristiani hanno un modello da imitare, uno stile di vita da osservare, i valori morali da conoscere e vivere.
In mezzo a un turbinio e sconvolgimenti sempre più travolgenti presenti nella società, anche i cristiani vengono inghiottiti nel vortice dell’indifferenza e spesso diventano incoerenti e sconvolti. A molti viene a mancare la riflessione sul senso della loro vita, sulle vicende che vivono giornalmente e sul fine dell’esistenza.
“Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Quando si pongono questa fondamentale domanda i cristiani che pregano poco?
Salvarsi l’anima eternamente è una motivazione straordinaria che fa prendere alla vita una direzione autentica, che regola l’istinto e arreca una pace meravigliosa, ineffabile. Senza questa riflessione la vita sfugge di vista, si segue ciò che alletta i sensi e non ciò che gradisce l’anima, in cerca sempre di relazionarsi con il suo Creatore.
Il mondo oggi è come una porta spalancata che introduce nei vizi più immondi, però Gesù parla di una porta stretta per salvarsi eternamente ed entrare in Paradiso, non viene citata da San Luca la porta larga, lo fa San Matteo nel suo Vangelo: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa” (Mt 7,13).
La porta stretta indicata da Gesù esprime la piccolezza spirituale che bisogna raggiungere per avere accesso alla porta, è lo stesso Signore la Porta per cui si entra nella vita nuova e si comincia la trasformazione interiore. Nel Vangelo di oggi non si parla di porta larga, c’è la via larga e che conduce dove in realtà non si vuole andare. Per trovare il Paradiso si deve prima cercare la Porta dell’eterna salvezza ed è Gesù Cristo.
Quando ci si mette in viaggio si compiono molte verifiche, non solo del mezzo utilizzato, anche quanto riguarda l’aspetto personale, i soldi, indumenti e tutto il resto. Solitamente si conosce la destinazione, non si viaggia senza una meta. Tutti noi siamo viandanti in questa vita e dobbiamo conoscere la meta, oltre quanto necessita di indispensabile per raggiungerla.
È necessario scoprire la bellezza della vita spirituale e praticare il rinnegamento per vivere la piccolezza evangelica. Si diventa piccoli quando inizialmente i pensieri si formano seguendo il Vangelo, quando si desidera dare gloria a Dio a costo di rinnegare l’istinto passionale. Il modo migliore per minimizzare l’istinto dipende dagli insegnamenti che si acquisiscono nella meditazione.
Ognuno raccoglie quello che semina, da millenni avviene sempre la conferma di questa regola e non potrà cambiare mai.
È un buon esercizio domandarci cosa seminiamo nella nostra vita, buone opere o zizzania. Se agiamo spinti dall'amore disinteressato o per danneggiare gli altri oppure se portiamo rispetto ed apprezziamo gli altri o li offendiamo per invidia.
Il problema vero è rappresentato da una grave mancanza di conoscenza, ed è anche volontaria. Pochi si chiedono qual è il modo per salvarsi l’anima. Non basta provare un desiderio indefinito della salvezza eterna, occorre anche conoscere il modo e praticarlo con amore e impegno.
La porta stretta rappresenta la scelta delle persone sagge, quelle che sanno pesare bene il valore del Vangelo da vivere e la nullità della vita buttata al vento, degli anni passati senza gioia e pace. È la porta degli ultimi, di quanti agli occhi del mondo valgono poco o pur essendo qualificate sono considerati insignificanti perché pregano ogni giorno… seguono Gesù e la Madonna… osservano i dieci Comandamenti su cui batteranno la testa i superbi del mondo.
“Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2545 - San Ludovico (Luigi IX) Re di Francia

Il re santo
Luigi, secondo figlio conosciuto di Luigi, figlio primogenito ed erede del re di Francia Filippo II Augusto, e della moglie di Luigi, Bianca di Castiglia, nasce molto probabilmente nel 1214 a Poissy il 25 del mese di aprile. Ed ecco che già da questa semplice nota biografica possiamo cogliere un indizio della personalità del futuro santo, egli, infatti, amava farsi chiamare “Luigi di Poissy”, non tanto perché era abitudine dei grandi personaggi dell’epoca aggiungere al proprio nome il luogo di nascita, ma perché, da buon cristiano, riteneva che la sua vera nascita fosse avvenuta il giorno del suo Battesimo a Poissy.
Se l’anno di nascita non fu ritenuto dai biografi contemporanei degno di particolare nota, lo fu, invece, il giorno come attesta il carissimo amico di san Luigi, Joinville, in piena conformità con l’abitudine medievale di ricavare presagi per la vita dalle caratteristiche del giorno della nascita di una persona: “Secondo che gli ho inteso dire, nacque egli il giorno di San Marco Evangelista, dopo la Pasqua. In questo giorno si portano croci in processione in molti luoghi e in Francia sono chiamate croci nere. E ciò fu quasi una profezia della gran copia di persone che morirono in quelle due crociate, cioè in quella d’Egitto e nell'altra in cui egli stesso morì a Cartagine; chè molti grandi lutti vi furono in questo mondo, e molte grandi gioie vi sono ora in paradiso, per coloro che in quei due pellegrinaggi morirono da veri crociati” (Joinville, Histoire de Saint Louis).
Nonostante Luigi, a soli quattro anni, sia divenuto erede al trono subentrando alla morte del fratello maggiore Filippo, non ci sono notizie di lui fino almeno al 1226; certamente è stato educato in modo particolarmente accurato inizialmente da parte della madre e poi, in età militare, dal padre (secondo la massima enunciata da Giovanni di Salisbury nel suo Policraticus: “Rex illitteratus quasi asinus coronatus” cioè: un re illetterato non è che un asino coronato). È certo anche che di una parte considerevole della sua educazione si sia occupato il nonno Filippo Augusto, il quale, dopo la prestigiosa vittoria di Bouvines, si era ritirato dalla pratica dell’arte della guerra. Luigi può, quindi, fregiarsi anche di un piccolo primato: quello di essere il primo re di Francia ad aver conosciuto il proprio nonno, cosa che avrà un alto valore per il senso dinastico del futuro re. Una particolare attenzione nel panorama educativo del futuro re è stata certamente riservata all'educazione religiosa e morale al fine di esercitare la funzione regia, proteggere la Chiesa e seguirne i consigli. L’ambiente che circondava il giovane Luigi svolge una funzione determinante per la fioritura della sua esemplare vita cristiana, non bisogna, infatti, dimenticare che la madre, Bianca di Castiglia, sarà anch'essa proclamata santa e la sorella, Isabella di Francia, beata.
Alla morte di Filippo Augusto, molti contemporanei tentano di riconoscere nella sua persona un santo grazie ai racconti orali dei prodigi che avevano accompagnato tanto la sua nascita (tra cui la comparsa di una cometa) quanto la sua morte (per lo più guarigioni). Ma nel Duecento avviene, in seno alla Chiesa, un cambiamento radicale nella concezione della santità e il papa Innocenzo III ne prende atto formalmente regolarizzando i processi di canonizzazione, in particolare, stabilendo che i miracoli da considerare in tale processo sono solo quelli avvenuti post mortem e dichiarando la santità della vita quotidiana quale nuovo imprescindibile criterio. Per questo motivo, Luigi riuscirà dove il nonno fallì a causa della sua vita coniugale ritenuta scandalosa da Roma e può essere a buon diritto definito un santo moderno.

Il re cristiano
Del mondo di San Luigi, è importante tenerlo presente, fa parte, insieme alla Francia, la “Christianitas”: egli governa da sovrano la prima ed è una delle teste della seconda che ingloba anche il suo regno. La Cristianità si riferisce essenzialmente all'Europa che nel XIII secolo stava vivendo un particolare momento di sviluppo economico: san Luigi sarà anche il primo re di Francia a battere una moneta d’oro, lo Scudo, nel 1226, pratica cessata da Carlo Magno in poi.
All'epoca di san Luigi, la Cristianità è ancora turbata dalle lotte tra papato e impero, ma il vero interesse politico è tutto rivolto all'irresistibile ascesa delle monarchie nazionali. Anche in questo campo san Luigi sarà in grado di far compiere all'amministrazione dello stato alcuni decisivi passi verso il consolidamento della monarchia francese: essa diventerà uno stato moderno unito attorno alla persona del suo re. L’eredità che il nonno Filippo Augusto lascia al giovane san Luigi è notevole sotto ogni aspetto, vale la pena, però, di approfondire quello dell’eredità morale fondata sullo sviluppo della “religione regia”. Attraverso la consacrazione, il deposito dei regalia nell'abbazia di Saint Denis e i nuovi riti funebri la monarchia e la persona del monarca vanno assumendo un carattere spiccatamente sacro. Lo stesso papa Innocenzo III nel 1202 con la decretale Per venerabilem dichiara che il re di Francia non riconosce alcun superiore nella sfera temporale e con Luigi IX si definisce che il re di Francia deriva il suo potere “solo da Dio e da se stesso”.
La storia della Cristianità del XIII secolo è caratterizzata dalle numerose eresie pauperiste di cui la più pervasiva è l’eresia catara, nota in Francia con il nome di “eresia degli aubigeois (albigesi)”. Il grande fermento religioso di questo secolo è, però, ben più allargato e comprende almeno altre due manifestazioni importantissime rimaste, tuttavia, nell'ortodossia. La prima è la nascita di nuovi ordini religiosi che rispondono ai nuovi bisogni spirituali dei fedeli e tentano di reagire alla decadenza del monachesimo: sono i nuovi Ordini Mendicanti che intendono portare la pratica della vita cristiana nella vita quotidiana degli uomini delle città e fanno della predicazione la loro arma. Il maggior impulso a questa nascita avviene per opera dei due santi Domenico di Calaruega, fondatore dei frati Predicatori, e Francesco d’Assisi, fondatore dei frati Minori. Determinante nella vita di san Luigi sarà la presenza degli Ordini Mendicanti, tanto che sarà non senza malizia definito “il re degli Ordini Mendicanti” e in qualcuno nascerà il sincero sospetto che voglia egli stesso farsi frate mendicante. L’altra manifestazione del grande movimento religioso del XIII secolo è l’ascesa dei laici all'interno della Chiesa, soprattutto attraverso la fondazione dei cosiddetti “Terz'ordini laicali” degli Ordini Mendicanti. Di conseguenza, anche la santità, che precedentemente pareva essere monopolio di chierici e monaci, si estende anche ai laici, uomini e donne. Se sant'Omobono, un mercante di Cremona, è il primo laico canonizzato nel 1199 da Innocenzo III solo due anni dopo la morte, san Luigi è sicuramente il più famoso.

Il re fanciullo
Il 3 novembre 1226, durante la crociata contro il conte di Tolosa, protettore degli eretici, Luigi VIII muore a Montpensier lasciando un primogenito la cui tenera età pone immediatamente dei seri problemi dinastici, soprattutto considerando che Luigi VIII ha un fratellastro venticinquenne alleato con gli immancabili baroni poco sottomessi all'autorità regia. Ma Bianca di Castiglia, la cui reggenza è confermata da un documento firmato dai vescovi più importanti del regno e depositato nel “Tresor des charter” (l’archivio regio), una volta sepolto Luigi VIII si dedica interamente alla difesa e all'affermazione di suo figlio, il re fanciullo, al mantenimento e al rafforzamento della potenza della monarchia francese.
Alla guida della Francia c’è, come non accadeva da un secolo e mezzo, un dodicenne e un sentimento d’angoscia si diffonde in tutto il regno. Bisogna, infatti, considerare che la funzione principale di un re medievale è quella di mettere in rapporto con la divinità la società di cui è capo. Ora, un fanciullo, per quanto re legittimo e unto, è un fragile intermediario, tanto più che l’infanzia nel Medioevo è concepita soltanto come un non-valore; l’infanzia dell’uomo modello del Medioevo, il santo, viene negata: un futuro santo manifesta la sua santità mostrandosi precocemente adulto. Né la legge dello stato né il diritto canonico stabilivano leggi riguardo alla maggiore età e la consuetudine la fissava a ventuno anni, eccezion fatta proprio per i sovrani che la raggiungevano a quattordici. Nel caso di san Luigi, la forza e il desiderio di governare di Bianca di Castiglia è molto probabile che lo abbiano fatto attendere, inoltre c’è un periodo di passaggio in cui è chiaro dagli atti che entrambi siano sullo stesso piano. Ma alla fine del 1226, Luigi è, per quanto precipitosamente, consacrato re.
L’attività di governo per Luigi inizia subito con alcune questioni della massima urgenza ma ben presto tutto barcolla: il sovrano è un fanciullo e sua madre una donna straniera, così un numero importante di baroni si riunisce a Corbeil e decide di impadronirsi del giovane re, non per detronizzarlo ma per governare in suo nome al posto di sua madre e dei suoi consiglieri aggiudicandosi, inoltre, terre e ricchezze. Ma ecco che per la prima volta il popolo di Parigi si stringe attorno al suo re scortandolo e proteggendolo dai suoi attentatori. Un secondo tentativo di impadronirsi della mente del re avviene in modo più sottile allorché gli stessi baroni iniziano a diffondere false dicerie sui presunti cattivi costumi morali di Bianca di Castiglia. I primi anni di regno di Luigi, che gli storici si limitano a presentare come anni di rischi e difficoltà, sono anche per il giovane re anni di progressi decisivi del potere regio e del suo prestigio personale grazie, soprattutto, alla sapiente presenza del re in molte operazioni militari vincenti.
Nel 1234, ottavo anno di regno, Luigi sposa, in seguito ad un accordo tra i genitori, Margherita, figlia primogenita di Raimondo Breringhieri V conte di Provenza. Luigi e Margherita sono parenti di quarto grado, ma il papa Gregorio IX concede loro la dispensa a causa della “urgente ed evidente utilità” di un unione che contribuirà a riportare la pace in una terra sconvolta dalle eresie e dalla guerra contro gli eretici. Il matrimonio viene celebrato dal vescovo di Valence e zio di Margherita Guglielmo di Savoia a Sens, facilmente raggiungibile da Parigi e dalla Provenza, il 27 maggio, vigilia della domenica che precede l’Ascensione.
Sappiamo, da una confidenza fatta molto tempo dopo dalla regina Margherita, che il giovane sposo regale non toccò sua moglie nella prima notte di nozze, rispettando, come gli sposi cristiani molto pii, le “tre notti di Tobia” raccomandate dalla Chiesa sulla scorta dell’esempio di Tobia nell'Antico Testamento. I figli iniziano a coronare il matrimonio solo sei anni dopo, saranno undici di cui, però, solo sette sopravvivranno al padre.

Il re devoto
Molti sono gli aspetti per cui san Luigi si è facilmente prestato ad essere definito “il re devoto”, di seguito ne analizzerò solo alcuni tra i più significativi.
Già Filippo Augusto e ancor più san Luigi intuiscono l’importanza per la monarchia francese di avere a Parigi, nonostante non sia ancora una vera capitale, un focolaio di studi superiori che sia in grado di apportare gloria, sapere e alti funzionari chierici e laici alla regalità. I re di Francia non hanno ancora in quell'epoca una vera e propria politica universitaria, tuttavia, capiscono che, come Roma era la capitale politica della Cristianità, così Parigi poteva esserne la capitale intellettuale in quanto sede della facoltà di teologia.
Moderno e tradizionale allo stesso tempo si presenta l’atteggiamento di san Luigi nei confronti dell’Impero: pur nel solco della tradizione capetingia, ormai affrancata dalla giurisdizione imperiale, san Luigi manterrà sempre un devoto rispetto per la figura dell’Imperatore, all'epoca Federico II, perché da buon medievale si sente membro di un corpo, la Cristianità, che ha due teste: il Papa e l’Imperatore. La possibilità di mantenere questo equilibrio reverenziale nei confronti dell’assodata bicefalia della Cristianità è permessa anche dal fatto che da tempo, ormai, tanto l’Impero quanto la Chiesa non possono più vantare diritti o poteri giuridici nel regno di Francia, come già descritto. Inoltre, Luigi IX mette in atto per molto tempo e in molti modi diversi una grande opera di pacificazione nei confronti delle due massime autorità della Cristianità.
I dissidi che san Luigi si trova ad affrontare con i vescovi di Reims e, soprattutto, di Beauvais, ci mostrano un re che, pur nella sua personale religiosità e sottomissione alla Chiesa, tanto da essere chiamato dai contemporanei “il re devoto”, nelle questioni temporali che riguardano lo Stato è inflessibile sostenitore dei diritti e doveri di quest’ultimo, fulgido esempio sempre attuale di quanto sia possibile mantenere il giusto equilibrio tra la religione e la politica.
E proprio l’aspetto della devozione che preannuncia il futuro san Luigi si rivela non solo nel suo personale interessamento, riferito esplicitamente dall'amico Joinville, nella costruzione dell’abbazia di Royaumont, dando compimento ad una delle ultime volontà del defunto Luigi VIII che aveva lasciato un’ingente somma a tal fine, ma anche nel lavoro manuale che, come alcune biografie riferiscono, il re prodigò in tale iniziativa coinvolgendo anche i fratelli e alcuni cavalieri del suo seguito. In realtà, il padre aveva indicato anche quale avrebbe dovuto essere l’Ordine religioso affidatario della struttura, ma l’attrazione che il monachesimo riformato cistercense esercita su Luigi e che tornerà altre volte nella sua vita sarà più forte.
È innegabile che nella Cristianità del XIII secolo una grande manifestazione di devozione e, pari tempo, fonte di grande prestigio è il possesso di insigni reliquie e anche per san Luigi si presenta ben presto la possibilità di ottenerne alcune davvero molto preziose allorché, nel 1237, Baldovino, il giovane imperatore dell’Impero Latino di Costantinopoli viene in Francia per cercare aiuto contro i greci che volevano riprendersi la loro capitale. Egli, proprio mentre si trova presso la corte francese, viene raggiunto dalla notizia che i baroni dell’Impero Latino, in preda alla necessità di denaro, hanno deciso di vendere la più preziosa reliquia conservata a Costantinopoli: la Corona di spine di Gesù. Il re di Francia e sua madre si infiammano subito si santo zelo per ottenerla: emblema di umiltà, la Corona di spine è, nonostante tutto, una corona, cioè una reliquia con una forte caratterizzazione regale. Essa incarna quella regalità sofferente e umile che è diventata l’immagine di Cristo nella devozione del XIII secolo e che l’immaginario collettivo trasferisce sul capo del re, immagine di Gesù sulla terra. Tra molti perigli e trattative la sacra Reliquia giunge nei pressi della Francia e, come cinque anni prima era corso incontro alla fidanzata, Luigi ora corre a ricevere il sacro acquisto; egli porta con sé la madre, i fratelli, molti vescovi e cavalieri; l’incontro avviene a Villeneuve-l'Archeveque: i testimoni oculari spenderanno in seguito pagine e pagine per descrivere l’intensa emozione dimostrata dai reali. Segue poi la processione penitenziale che accompagna la Reliquia nella cattedrale di Sens: sono il re e suo fratello Roberto, a piedi nudi e con una sola tunica, a trasportare la cassa. Di là, dopo la rituale esposizione, riprende il viaggio verso Parigi dove viene esposta nella cattedrale di Notre Dame e poi definitivamente deposta nella cappella palatina di Saint Nicolas.Poiché il bisogno di denaro da parte dell’imperatore di Costantinopoli continua, Luigi ben presto completa, non senza grandi spese, la sua collezione di reliquie della Beata Passione (parti della Croce, la sacra Spugna, il ferro della Lancia di Longino). La cappella del palazzo reale si dimostra ben presto indegna di accogliere e custodire simili tesori, Luigi si rende conto che occorre una chiesa che possa essere essa stessa un reliquario glorioso e, a questo scopo, inizia la costruzione della Sainte Chapelle. Già nel 1243 papa Innocenzo IV concede alcuni privilegi alla futura cappella, nel 1246 Luigi fonda un collegio di canonici che ne assicurino l'officiatura e nel 1248 alcune risorse dello Stato vengono destinate alla sua manutenzione. La consacrazione solenne, alla presenza del re, avviene il 26 aprile 1248, due mesi prima che Luigi parta per la crociata. Fin dall'epoca di Luigi IX la cappella era considerata un capolavoro dell’arte gotica.
Un altro evento devozionale del regno di san Luigi degno di una speciale nota è il famoso smarrimento e ritrovamento dell’insigne reliquia del Santo Chiodo presso Saint Denis: durante una solenne ostensione, tale reliquia va misteriosamente perduta e le cronache si prodigano a descrivere tanto la disperazione di san Luigi, manifestata anche dalla sua personale ricerca, quanto la sua somma gioia dopo il casuale rinvenimento. Va, anzitutto, ricordato che nel Medioevo nell'animo dei più semplici come in quello dei più saggi e potenti esiste, incrollabile, la credenza nella virtù sacra di taluni oggetti che garantiscono la prosperità di un regno e la cui perdita occasionale può presagirne inequivocabilmente la rovina: il giovane Luigi condivide e stimola la religiosità più profonda del suo popolo e comincia a costruire la sua immagine e la sua politica sull'espressione pubblica e intensa di questi sentimenti. Nel suo entourage, tuttavia, quelle manifestazioni di devozione sono ritenute eccessive e indegne di un re che deve sempre dimostrare un grande senso della misura e dare esempio di ragionevolezza. Ma per Luigi non c’è alcun problema intimo: egli vuol essere, al tempo stesso e senza contraddizione, re di Francia cosciente dei suoi doveri, compresi quelli che concernono apparenza e simbologia, e buon cristiano, il quale, per essere di buon esempio e assicurare la salvezza sua e del suo popolo, deve manifestare la sua fede secondo le antiche e nuove pratiche con un comportamento sensibile.
Un episodio apparentemente irrilevante della vita di san Luigi ma che risulta importante per capire la sua spiritualità di re santo si verifica nel momento in cui i mongoli sembrano invadere l’Europa da est. Dalle lettere che invia alla madre, emerge un santo escatologico che vede in essi l’invasione dei popoli di Gog e Magog annunciati dall'Apocalisse come preludio alla fine del mondo. San Luigi aspira a due possibili destini: il martirio o la fine del mondo, egli si affida confidente a Dio ed è pronto ad abbracciare entrambi.
Tutto il regno di san Luigi sarà segnato da una forte discordanza tra la sua personale pietà e l’opinione pubblica; forse anche il re stesso avrà qualche periodo di dubbio, in particolare dopo il fallimento della crociata, ma ne uscirà sempre più convinto di trovarsi sulla retta via nella necessaria fusione delle sue due principali occupazioni: il bene del regno e del popolo e la sua salvezza personale, che in quanto re, coinvolge inevitabilmente quella di tutto il popolo. In un’epoca in cui non occupare il proprio posto secondo lo status dato da Dio a ciascuno è cosa assolutamente scandalosa, è percepito come problematico un re a più riprese definito re-monaco o re-frate, ma, alla fine, la soluzione giusta sarà trovata dalla maggioranza dell’opinione pubblica e sancita dalla Chiesa: egli sarà un re-santo, un re laico e santo.

Il re crociato
Nel 1244, san Luigi cade in un forte attacco di una malattia che già lo perseguitava da tempo ed arriva a perdere conoscenza tanto che molti lo credono morto e la regina madre invia a Pontoise, dove egli si trova, le Reliquie reali affinché il re le possa toccare. Appena ripreso da quello stato e appena è in grado di parlare, racconta sempre l’amico Joinville, chiede soltanto di diventare crociato. Le reazioni all'annuncio di questo voto sono di diversa natura, come, del resto, in quel secolo era in fase di mutamento lo spirito stesso con cui si affrontava l’argomento delle crociate dopo che i numerosi fallimenti avevano portato ad un forte scoraggiamento nella classe politica. Un trovatore, invece, interpreta l’entusiasmo popolare per un san Luigi crociato e, nei testi della sua propaganda si meraviglia che un uomo “leale e integro, esempio di saggezza e di rettitudine” che conduce “una vita santa, linda, pura, senza peccato e senza macchia” si sia fatto crociato quando i più intraprendevano le crociate per fare penitenza. Ma per Luigi, che spinge all'estremo la fede che gli è stata inculcata, la crociata non è che il coronamento della retta condotta di un principe cristiano. Così, il 12 giugno 1248, Luigi va a Saint Denis a prendere l’orifiamma, la tracolla e il bordone dalle mani del cardinale legato, segni della sua intima convinzione dell’identità tra crociata e pellegrinaggio. Poi si reca a piedi nudi e seguito da una grande processione di popolo all'abbazia reale di Saint Antoin de Champs e, prima di partire, nomina sua madre reggente del regno. Da notare il lavoro silenzioso e paziente di questa santa regina che per tutta la vita ha degnamente preparato e sostituito nelle necessità il figlio al timone del regno di Francia. La partenza da Parigi segna anche, nella vita di san Luigi, una svolta che colpisce molto gli appartenenti al suo entourage. Le norme regolatrici della crociata ingiungono ai crociati la modestia nel vestire; si può facilmente immaginare che il rigoroso Luigi rispettò e fece rispettare quelle prescrizioni, ma Luigi, per quanto riguarda la sua persona, non si accontenta di applicare rigorosamente le prescrizioni della Chiesa e, secondo la sua abitudine, va molto oltre conservando tale austerità anche al ritorno dalla crociata fino alla morte. Questa rinuncia è il segno di una svolta nella vita di san Luigi, il passaggio da un genere di vita e di governo semplicemente conformi alle raccomandazioni della Chiesa a una condotta personale e politica autenticamente religiosa, da un semplice conformismo ad un vero ordine morale.
La crociata si apre in Egitto con alcune piccole vittorie ma ben presto sopraggiungono le sconfitte e Luigi stesso viene fatto prigioniero dai musulmani e questa è la disgrazia peggiore per un re, ancor più lo è per un re cristiano essere fatto prigioniero dagli infedeli. Alla liberazione, avvenuta un mese dopo la cattura, il cappellano reale racconta la dignità e il coraggio dimostrati dal re durante la prigionia: Luigi pensa anzitutto agli altri crociati prigionieri, rifiuta qualsiasi dichiarazione contraria alla propria fede cristiana e sfida perciò la tortura e la morte. Anche quando viene a sapere che i suoi sono riusciti a frodare i musulmani versando un cifra inferiore rispetto a quella pattuita per il suo riscatto, si infuria, convinto che la sua parola debba essere sempre mantenuta e onorata anche se prestata a dei miscredenti.La crociata termina con un nulla di fatto e, mentre si trova in Terra Santa, Luigi vede svanire anche un altro dei suoi più grandi sogni: la conversione dei mongoli. Infatti, i missionari da lui inviati al gran Khan ritornano sconfitti. Infine, è un terribile evento a mettere fine alla sua permanenza in Terrasanta: nella primavera del 1253, Luigi riceve la notizia della morte dell’amata madre che era deceduta il 27 novembre del 1252. L’amico Joinville racconta le scomposte manifestazioni di dolore che accompagnano l’apprensione della notizia da parte di san Luigi e i rimproveri da parte dei contemporanei per l’esagerata reazione.
Ma qualche cosa, sebbene a livello spirituale, san Luigi la sa guadagnare da queste dolorose sconfitte. Infatti, discutendo con i suoi interlocutori musulmani, pur continuando a detestare la loro falsa religione, si rende conto che il dialogo con questi ultimi è possibile; inoltre, è in grado di imparare qualcosa di utile dai musulmani, infatti, tornato in patria, è il primo re che costruisce una biblioteca di manoscritti di opere religiose sul modello di quella del sultano.

Il re escatologico
Premeditato o improvvisato, l’incontro tra Ugo di Digne, appartenente alla corrente rigorista degli Spirituali francescani, e il re santo avrà grande importanza nella vita di quest’ultimo. In preda allo sconforto per gli eventi appena elencati, san Luigi ne ricerca le cause e si domanda cosa debba fare per piacere a Dio, assicurare la propria salvezza e quella del suo popolo e servire la Chiesa, Ugo gli mostrerà la via: far regnare sulla terra la giustizia nella prospettiva del momento in cui “i tempi saranno compiuti”, promuovere una città terrestre evangelica, in breve, diventare un re escatologico. Questa proposta, che probabilmente interpretava i desideri profondi di Luigi, diventerà il programma dell’ultimo periodo del suo regno.
Joinville testimonia il passaggio dalla semplicità all'austerità che contrassegna la vita di san Luigi dopo il ritorno dalla Terrasanta e il suo confessore, consigliere e primo biografo, Goffredo di Beaulieu, ne racconta i sentimenti in modo mirabile: “Dopo il suo felice ritorno in Francia, i testimoni della sua vita e i confidenti della sua coscienza videro fino a qual punto egli cercò di essere devoto verso Dio, giusto verso i suoi sudditi, misericordioso verso gli infelici, umile verso se stesso e come fece ogni sforzo per progredire in tutte le virtù. Come l’oro è superiore in valore all'argento, così il suo nuovo modo di vivere, portato con sé dalla Terrasanta, superava in santità la sua vita precedente; eppure in gioventù, egli era sempre stato buono, innocente ed esemplare”.
Tutto questo fervore si riflette nelle sue decisioni politiche e in ogni ordinanza regia non trascura di aggiungere provvedimenti riguardanti la moralità, tra cui misure repressive della bestemmia, del gioco, della prostituzione, della frequentazione delle taverne, prescrizioni contro gli ebrei e la propagazione del principio della presunzione d’innocenza per gli imputati richiamando i giudici all'esempio del Giudice supremo, Dio di giustizia e di misericordia. Oltre alla giustizia, l’altro dovere che si impone ad un re cristiano è la pace e Luigi saprà essere arbitro oltre i confini del suo regno dando l’esempio a molti, tanto da arrivare ad essere definito “arbitro e pacificatore della Cristianità”.
Nel 1267, Luigi decide di intraprendere una nuova crociata e da inizio ad un nuovo periodo di preparazione e purificazione emanando nuove leggi contro la bestemmie, reato equiparato alla lesa maestà, e gli ebrei e facendo intensificare la predicazione. Partito come nel 1248, il 14 marzo 1270, l’esercito sbarca a Tunisi per raggiungere l’Egitto, ma la via di Tunisi si rivela ben presto una vera e propria Via Crucis. Sfumata la possibilità di convertire l’Emiro musulmano che si rivela immediatamente illusoria ancorché san Luigi non vi voglia rinunciare e, di nuovo, il flagello del Mediterraneo, l’epidemia di tifo, si abbatte sull'esercito regio. Dopo suo figlio Giovanni Tristano, anche san Luigi muore il 25 agosto assistito dal suo inseparabile confessore. È lui che racconta che sul letto di morte, pur sentendo la fine avvicinarsi, san Luigi non ha altra preoccupazione che le cose di Dio e l’esaltazione della fede cristiana. Così, a fatica e a bassa voce, proferisce le sue ultime parole: “Cerchiamo, per l’amor di Dio, di far predicare e di introdurre la fede cattolica a Tunisi”. Benché la forza del suo corpo e della sua voce si affievoliscano a poco a poco, egli non cessa di chiedere i suffragi dei Santi a cui era più devoto, in particolare san Dionigi patrono del suo regno. Più volte mormora le ultime parole della preghiera a san Dionigi: “Noi ti preghiamo, Signore, per l’amore che abbiamo per te, di darci la grazia di disprezzare i beni terreni e di non temere le avversità”. Poi ripete l’inizio della preghiera a san Giacomo: “Sii, o Signore, il santificatore e il custode del tuo popolo”. Ancora il Beaulieu riferisce che Luigi muore all'ora stessa della morte del Signore su un letto “di ceneri sparse in forma di croce”. Così il re-Cristo muore nell'eterno presente della morte salvatrice di Gesù. Secondo una certa tradizione, egli avrebbe mormorato nella notte precedente alla sua morte: “Andremo a Gerusalemme”.
La bara con le ossa di Luigi IX, debitamente trattate, viene portata ed esposta a Parigi nella chiesa di Notre Dame e i funerali hanno luogo a Saint Denis il 22 maggio, quasi nove mesi dopo la morte del re. Attorno ai sacri resti, i visceri in Sicilia e lo scheletro a Saint Denis, si verificano numerosi miracoli sin da subito, ma ormai la fama non è più sufficiente per creare dei santi, la curia romana si è riservata tale diritto ed inizia il processo di canonizzazione la cui prima iniziativa risale a papa Gregorio X. Sarà però papa Bonifacio VIII con la bolla Gloria  laus a pronunciare la canonizzazione solenne di Luigi IX e a fissarne la festa nel giorno della sua morte, il 25 agosto.
Ed è così che il re, nato sotto il segno del lutto e morto in terra straniera e infedele, fa il suo ingresso nella gloria eterna.

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Medaglia di San Benedetto