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martedì 18 dicembre 2012

2017 - Vita di Gesù (paragrafi 616-619)


§ 616. Quasi insieme giunsero gli altri Sinedristi, e Pilato accogliendo anche la loro richiesta inviò altri soldati, diversi da quelli che stavano tuttora di guardia alle croci, affinché praticassero sui crocifissi il “crurifragio” e quindi li deponessero dalle croci. Chi era presente all'arrivo dei soldati narra cosi: Vennero pertanto i soldati, e spezza­rono le gambe del primo e dell'altro crocifisso insieme con lui; venuti poi presso Gesu', come lo videro già morto, non gli spezzarono le gam­be, ma uno dei soldati con la lancia gli ferì il costato ed uscì subito sangue ed acqua (Giov., 19, 32-34). I due ladroni dunque sopravvis­sero a Gesù e furono spacciati dal “crurifragio”; questo invece non fu praticato a Gesù perché era con tutta evidenza già morto, e così i soldati risparmiarono anche a se stessi una certa fatica: tuttavia uno gli dette un colpo di lancia in direzione del cuore, giusto per non lasciare alcun dubbio sulla morte di lui. La ferita prodotta dalla lan­cia fu molto larga, un vero squarcio in cui poteva quasi entrare una mano (cfr. Giovanni, 20, 25.27), e dallo squarcio uscì sangue ed acqua. Dotti fisiologi inglesi credettero spiegare la fuoruscita di sangue ed acqua supponendo una rottura del cuore anteriore al colpo di lancia: nei casi di tale rottura si produrrebbe un'emorragia al pericardio e una successiva decomposizione del sangue, i cui globuli rossi fanno deposito in basso mentre il siero acquoso resta sospeso in alto; cosic­ché, quando il pericardio è aperto poco dopo la morte, l'elemento sanguigno e quello acquoso ne escono separati fra loro. Perciò la ra­pida morte di Gesù si spiegava - nel pensiero di questi fisiologi - con una rottura del cuore prodotta da cause morali. Gesù sarebbe morto col cuore spezzato, in senso vero, dal dolore. Checché sia di questa spiegazione, l'evangelista testimonio scorge ragioni arcane più profonde in ambedue gli eventi: Avvennero in­fatti queste cose affinché s'adempisse la Scrittura (che dice): “Osso non sarà spezzato di lui”; e nuovamente un'altra Scrittura (che) dice: “Rimireranno in chi trafissero”. La prima citazione è da Eso­do, 12, 46 (Numeri, 9, 12), e si riferisce all'agnello pasquale di cui gli Ebrei non dovevano spezzare alcun osso, quando lo mangiavano nella cena di Pasqua: l'evangelista vede in questa prescrizione una confer­ma che Gesù fu la vera vittima redentrice adombrata dall'antico agnello pasquale. La seconda citazione è da Zacharia, 12, 10, il quale scorge nel futuro la nazione giudaica far cordoglio su un trafitto come si fa cordoglio per la morte dell'unigenito. L'evangelista infine non dice il nome del soldato che trafisse il petto di Gesù, ma la leggenda cristiana gli ha dato il nome inconfondi­bile, chiamandolo Lanciere. In greco infatti lancia si dice lonche; perciò il soldato fu chiamato Longino.

§ 617. Il lugubre lavoro dei soldati dovette svolgersi quando Giuseppe di Arimatea era già sul posto, pronto a servirsi del permesso con­cessogli da Pilato. La richiesta della salma di Gesù era stata motiva­ta dal desiderio, di Giuseppe e di quanti lo avevano spinto ad agire, che la venerata salma non fosse gettata nella fossa comune dei giusti­ziati insieme con i cadaveri dei due ladroni; ottenuta quindi la salma, Giuseppe si dette subito a prepararle un sollecito e decoroso seppelli­mento, che doveva esser terminato prima del tramonto perché allora cominciava il riposo legale (§ 537). Nel suo lavoro Giuseppe fu coadiuvato da altri: è ricordato nomina­tamente il suo fratello spirituale Nicodemo, che venne... portando una mescolanza di mirra ed abe, circa cento libbre (Giov., 19, 39); è facile immaginare che nella pietosa cura i due uomini fossero assistiti anche dalle pie donne presenti alla morte di Gesù, e in primo luogo dalla madre di lui che certamente non rinunziò alla dolorosa gioia di accogliere fra le sue braccia la salma appena fu calata dalla croce. Come Nicodemo aveva portato gli aromi da spargere sulla salma, così per involgerla Giuseppe aveva comprato una sindone (§ 561); il quale termine deve avere qui non il suo senso tecnico di leggiera veste notturna ma quello più generico di ampio ammanto, quasi di lenzuolo, tessuto di fine lino. A causa della ristrettezza di tempo la preparazione della salma fu sommaria: presero dunque il corpo di Gesu' e lo rilegarono con fasce insieme con gli aromi, com'è costume ai Giudei di seppellire (Giov., 19, 40), e come infatti era stato praticato anche con la salma di La­zaro (§ 491); infine la salma, così composta, fu avvolta nella sindone. Egualmente per la ristrettezza di tempo non si poteva trasportare la salma in qualche tomba lontana, per il pericolo di essere sorpresi durante il trasporto dal tramonto del sole e dal riposo legale. Ma questa difficoltà fu superata facilmente grazie alla generosità di Giu­seppe, che cedette a tale scopo la sua propria tomba. Egli se l'era preparata appunto nel luogo del Cranio: ivi era un giardino, e nel giardino un sepolcro nuovo in cui nessuno ancora era stato posta (ivi, 41). Il giardino si stendeva ai piedi del Cranio, e il sepolcro era stato scavato dalla roccia (Marco, 15, 46), la quale era un prolungamento della roccia che costituiva il piccolo rialzo del Cranio. Pro­babilmente, come Giuseppe si era preparata colà la propria tomba, anche se l'erano preparata nella stessa zona altri facoltosi abitanti di Gerusalemme: e ciò s'accorda ottimamente con la norma di sce­gliere i luoghi di crocifissione a preferenza presso tombe (§ 599).

§ 618. La tomba ceduta da Giuseppe per la salma di Gesù aveva la solita disposizione interna delle tombe giudaiche (§ 491). Penetran­dovi dall'esterno, si trovava prima l'atrio e poi la camera funeraria con il loculo per la salma; atrio e camera comunicavano fra loro mediante un piccolo uscio sempre aperto, mentre l'atriocomunicava con l'esterno attraverso una porta che veniva sbarrata applicandovi una grossa pietra circolare simile a un'enorme macina da molino. Questa pietra poggiava sull'apertura impedendone l'accesso; ma quando si voleva entrare, bastava far rotolare non senza considere­vole sforzo - la pesante pietra o verso destra o verso sinistra, ed essa si spostava scorrendo su un canaletto scavato nella roccia a destra o a sinistra dell'apertura. Giuseppe, assistito dagli altri, portò a termine il seppellimento di Ge­sù prima del tramonto. Essendo avvenuta la morte verso le ore tre pomeridiane, tutto era compiuto verso le ore sei, allorché Giuseppe rotolata una grande pietra alla porta del sepolcro andò via (Mat­teo, 27, 60). Ma la tomba non rimase subito solitaria: era poi cola' Maria la Mag­dalena e l’altra Maria (la madre di Giacomo e Giuseppe) sedute di­rimpetto alla tomba (ivi, 61). Anche le altre pie donne s'avvicinarono a vedere il sepolcro e come fosse stata deposta la venerata salma; poi tornate in città, approfittarono dell'ultimo scorcio della giornata la­vorativa e prepararono aromi e unguenti (§ 537): evidentemente alla loro devozione non bastava l'abbondante provvista di aromi portata da Nicodemo, e si ripromettevano di curare meglio l'affrettata com­posizione della salma e di tornare perciò al sepolcro quando fosse trascorso il sabbato col suo riposo legale (Luca, 23, 55-56). Fra tutte queste pietose cure non è nominato alcuno degli Apostoli: il solo Giovanni, nel riserbo del suo scritto, s'intravede facilmente mentre assiste la madre di Gesù e la conduce alla sua propria abita­zione per curarla da figlio adottivo. Colà ambedue aspettavano.

§ 619. Quella notte fra il venerdì e il sabbato fu una gran bella nottata per i Sinedristi trionfatori. Celebrarono essi la cena pasquale non solo con la tradizionale giocondità esteriore ma anche con una particolare soddisfazione interiore, sebbene questa non avesse - o al­meno alle apparenze sembrasse di non avere - nulla da fare con la solennità pasquale. Quel Galileo se n'era proprio andato: era morto, sicuramente morto! Non c'era più pericolo di sentir di nuovo le sue invettive, e di rimanere ancora screditati da lui presso il popolo! Quei quattro di­scepoli ch'egli s'era portato appresso, si sarebbero senz'altro dispersi alla morte del loro maestro, e nessuno ne avrebbe parlato più. Tutto era riuscito bene, grazie all'assistenza non tanto di Mosè o di Elia, quanto di quell'incirconciso di Pilato: ad ogni modo, circon­cisione o no, era stato un bel successo e il ripensarvi sembrava dav­vero accrescere il sapore della cena pasquale. Eppure, a forza di ripensarvi, quei sagaci uomini s’avvidero che nel rilucente cristallo del loro trionfo appariva una piccola incrinatura. Cosa da poco, certamente, ma che non doveva esser trascurata. Si ricordarono essi che Gesù, quand'era ancora in vita, aveva predetto che tre giorni dopo la sua morte sarebbe risuscitato (§ 446). Ora, è vero che quest'annunzio era una pura millanteria, anche perché essi erano in gran parte Sadducei convinti, e perciò giudicavano impos­sibile la resurrezione dei morti (§ 515); tuttavia quella falsa predi­zione poteva dare occasioni ad imposture, a dicerie e ad altre noiose conseguenze. Era quindi opportuno prevenire il male, saldando quel­la piccola incrinatura riscontrata. Perciò alcuni di essi il giorno se­guente, sebbene fosse per loro il giorno di Pasqua, fecero una piccola e lecita passeggiata per recarsi da Pilato a fornirgli un consiglio uti­lissimo: Signore, ci ricordammo che quell'imbroglione disse essendo ancora vivo “Dopo tre giorni risorgo”. Comanda dunque che la tomba sia assicurata fino al terzo giorno, ché per caso venuti i discepoli non lo rapiscano e dicano al popolo “Risorse dai morti”, e (cosi) l'ultimo imbroglio sara' peggiore del primo. Pilato ri­spose rudemente: Avete un (corpo di) guardia: andatevene, e assicurate come sapete. La rudezza del procuratore era soltanto apparente e niente affatto reale, servendo soltanto a dissimulare a se stesso una nuova conces­sione ch'egli faceva. Egli cedette in realtà alla nuova richiesta, e per­mise anche questa volta ai Sinedristi di servirsi del (corpo di) guar­diache egli era solito mettere a loro disposizione e ch'era formato da soldati romani (Matteo, 28, 14; cfr. Giov., 18, 12): insomma il procuratore, mentre parlava con la faccia ringhiosa, diceva poi sem­pre di si ai Sinedristi. Costoro non chiesero altro, e in quello stesso sabbato condussero i soldati sul posto. Ma nessuno avrebbe potuto superare per accortezza quegli insigni Giudei, cosicché essi si premunirono anche contro un caso a cui altri difficilmente avrebbe pensato: previdero cioè che i soldati, pur ri­manendo di guardia al sepolcro, potevano lasciarsi corrompere per denaro dai discepoli di Gesù permettendo loro l'ingresso nella tom­ba. Non si sapeva mai quel che poteva succedere: adesso che due loro colleghi del Sinedrio, Giuseppe e Nicodemo, avevano spinto la audacia fino a curare il seppellimento del crocifisso c'era da aspettarsi che i due imitassero il Sinedrio comperando a suon di sicli i soldati di guardia, come il Sinedrio aveva comperato Giuda. Perciò essi apposero i loro sigilli sulla pietra circolare che rotolava davanti all'ingresso della tomba, e l'assicurarono alla viva roccia. Con questa saggia precauzione nessuno sarebbe potuto entrare senza rompere i sigilli, di cui erano responsabili i soldati, e il morto non sarebbe risorto giammai.
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