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lunedì 24 settembre 2012

1824 - Vita di Gesù (paragrafi 526-529)


§ 526. Passando ora ai riscontri storici noi troviamo che, sullo scor­cio del previsto quarantennio, si svolge un periodo il quale fu defi­nito, da uno storico romano che lo conosceva assai bene. Dal canto suo Flavio Giuseppe, occupandosi par­ticolarmente della Palestina, ci fornisce quelle notizie sulle agitazioni interne e soprattutto sul ribollimento del messianismo politico che ricordammo occasionalmente più volte. La conclusione di tutto fu la catastrofe del 70, ove perirono Tempio, capitale e nazione. Quanto ai discepoli di Gesù, durante questa “grande tribolazione” essi su­birono quelle persecuzioni dentro e fuori la Palestina che sono attestate sia dagliAtti e altri scritti del Nuovo Testamento, sia dagli storici romani, e che erano mosse tanto da connazionali e da con­giunti quanto da estranei e da pagani; ma coloro che ressero alle lusinghe dei falsi profeti e alle violenze dei persecutori, allorché vide­ro il Tempio di Gerusalemme profanato dai sanguinari Zeloti (Guer­ra giud., iv, 151 segg., 305 segg., 381 segg.), si attennero all'ammoni­zione del discorso escatologico e fuggendo dalla città si ritirarono a Pella in Transgiordania, come narra Eusebio(Hist. eccì., nì, 5, 3).

§ 527. Fin qui Gesù ha risposto soltanto al primo punto della domanda rivoltagli dai discepoli, descrivendo i segni che precederanno la distruzione del Tempio; un netto e preciso distacco, a guisa di con­clusione, si ritrova infatti al termine di questa sezione ove Gesù fini­sce ammonendo: Voi quindi guardate: (io) vi ho predetto tutte le cose (Marco, 13, 23). Adesso manca che Gesù risponda al secondo punto della domanda, comunicando i segni della fine del mondo. La nuova sezione (Marco, 13, 24 segg.) comincia con le parole Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole s'oscurerà, ecc. Qui l'espressione in quei giorni è la solita formula, impiegata frequentis­simamente nell'Antico e nel Nuovo Testamento, per introdurre un nuovo argomento ma senza un preciso valore temporale, significan­do tutt'al più in un certo tempo..., a suo tempo..., in una data epo­ca. In questa epoca imprecisata, che si svolgerà dopo la “grande tribolazione”; avverranno insieme la fine del mondo e la parusia, che sono descritte con termini presi in gran parte dall'Antico Testamento e comuni alla letteratura apocalittica (§ 84 segg.): il sole e la luna s'oscureranno, le stelle cadranno, le potenze dei cieli saranno scosse, e allora comparirà sulle nubi il figlio dell'uomo che verrà con possanza e gloria e invierà i suoi angeli ai quattro venti a ra­dunare gli eletti; con ciò il “secolo” presente è chiuso e il “secolo” futuro è inaugurato. Questa descrizione dei segni della parusia è più breve, in tutti e tre i Sinottici, della descrizione dei segni della “grande tribolazione”. Quanto poi all'indicazione del tempo in cui avverrà la parusia, la troviamo subito appresso all'indicazione del tempo assegnato alla “grande tribolazione”; ma, mentre per quest'ultima l'indicazione è stata precisa e netta - ossia la presente generazione - per l'altra è talmente negativa: Circa poi a quel giorno o all'ora nessuno sa (alcunché) né gli angeli. Nei secoli iv e v, ai tempi delle focose dispute ariane e cristologiche si usò ed abusò largamente di questo passo per misurare la scienza del Figlio divino confrontata con quella del Padre, e per attribuirgli una certa ignoranza. Ma appunto la difficoltà della frase, che sem­bra affermare questa ignoranza nel Figlio, è una ragione di più per considerarla autentica frase di Gesù pervenutaci nella forma più precisa e genuina: come pure la stessa difficoltà fu probabilmente la ragione per cui tutta la frase fu omessa da Luca nel suo van­gelo, e per cui l'allusione al Figlio scomparve anche nel passo cor­rispondente di Matteo (24, 36) da vari codici greci e dalla Vulgata latina, volendosi evitare una spiacevole sorpresa nei rispettivi lettori. Ma, superate le controversie ariane e cristologiche, si convenne gene­ralmente nell'interpretare la frase come una fin de non recevoir da parte di Gesù, che non vuol essere interrogato su questo punto per­ché il rispondervi non entra nella sua missione: Gesù, che già aveva risposto ai figli di Zebedeo non esser còmpito suo ma del Padre as­segnare i seggi nel glorioso regno messianico (§ 496), in questa oc­casione dixit nescire illum diem quia in magisterio eius non erat ut per eum sciretur a nobis, mentre invece entrava nella sua missione appunto il tener nascosto quel giorno; tamquam enim magister scie­bat et docere quod proderat et non docere quod oberat (S. Agosti­no,Enarration. in Psalm. xxxvi, sermo i, 1). Ai nostri giorni la dif­ficoltà è stata ripresa in pieno dalla scuola escatologica (§ 209 segg.), secondo cui Gesù era sicuro che laparusia sarebbe avvenuta nel cor­so della generazione contemporanea, sebbene confessasse di non co­noscere il preciso giorno e la precisa ora (§ 529).

§ 528. Presentato in questa maniera il discorso escatologico è chiaro, in quella misura che può essere concessa dal suo argomento. La sua prima sezione tratta dei segni della “grande tribolazione”, cioè de­gli avvenimenti che precedettero ed accompagnarono la distruzione di Gerusalemme, la seconda sezione tratta dei segni della parusia e della fine del mondo. Dopo le trattazioni dei segni vengono le fissazioni dei rispettivi tempi: per la “grande tribolazione” è fis­sata la generazionecontemporanea, mentre per la parusia è riserbato un arcano silenzio. Ma la difficoltà sta in questo, che la fissazione di ciascun tempo non è soggiunta immediatamente appresso alla rispettiva trattazione dei segni cioè la presente generazione appresso alla “grande tribola­zione”, e il silenzio appresso alla parusia - bensì ambedue le fissa­zioni dei tempi sono relegate assieme in fondo, dopo ambedue le trattazioni dei segni. Perché mai questa collocazione che sembra vio­lenta e tale da provocare equivoci? Appunto qui è da scorgere l'ope­ra redazionale degli evangelisti e l'influenza delle circostanze in cui si svolgeva - come accennammo (§ 524) - la primitiva catechesi della Chiesa. Questa collocazione simultanea in fondo, che a noi oggi sembra violenta e tale da provocare equivoci, era invece pru­dentissima quando scrivevano i Sinottici, quando cioè non si sapeva nulla non solo del tempo della parusia ma neppure del preciso tem­po della « grande tribolazione »: Gerusalemme infatti ancora era in­colume e prospera, e nulla faceva umanamente sospettare che dopo pochi anni essa sarebbe ridotta a un ammasso di macerie. Neppure risultava chiaramente in quale relazione stessero fra loro la « gran­de tribolazione » e la parusia, che almeno idealmente apparivano ri­collegate fra loro la prima non sarebbe forse la preparazione imme­diata della seconda, e la venuta del Messia glorioso non sarebbe l'immediato premio a chi aveva superato la grande prova? Molti cri­stiani infatti ritenevano imminente la parusia, e la risposta di Gesù in proposito, se non implicava necessariamente tale opinione, nep­pure la escludeva con evidente chiarezza: il figlio dell'uomo poteva comparire inatteso in ogni momento, come ladro notturno. Ma an­che se fra la « grande tribolazione » e la parusiadoveva cadere un interstizio, chi poteva dire se questo interstizio sarebbe stato breve o mediocre o lungo o lunghissimo? Di tutto ciò nessuno sapeva alcunché con certezza, prima di quel tragico anno 70; oggi invece, edotti da venti secoli di storia, noi sia­mo perfettamente informati della “grande tribolazione” che cuI­minò nel 70 e dell'interstizio ch'è di una durata incalcolabile, men­tre ci è rimasto impenetrabilmente occulto il tempo della parusia. Per queste ragioni gli evangelisti sinottici, nell'oscurità che li avvol­geva, divisero il discorso escatologico secondo la materia in esso trat­tata, collocando prima i segni e poi i tempi, e lasciando alle opinioni dei lettori il ricollegamento delle singole parti fra loro: tanto più che, su questa palpitante questione della parusia le singole comu­nità ricevevano particolari ammaestramenti dai loro direttori, come per la comunità dei Tessalonicesi apprendiamo occasionalmente da Paolo (II Tessal., 2, 5) e per le comunità dell'Asia Minore da Pietro (II Pietro, 3, 1 segg.); e quindi i lettori dei vangeli potevano e forse dovevano rivolgersi per schiarimenti a tali autentici interpreti, sem­pre in virtù del principio che la catechesi scritta non pretendeva mai di sostituire la catechesi orale, bensì la presupponeva in più mo­di (§107).

§ 529. La moderna scuola escatologica desume i suoi principali ar­gomenti da questo discorso, ma appunto confondendo dati e referen­ze, e attribuendo all'unico avvenimento della parusia ambedue le fissazioni cronologiche, sia quella della presente generazione sia quella del giorno e dell'ora. Già rilevammo che siffatta teoria è in contrad­dizione con le testimonianze storiche pervenuteci da quell'epoca (§ 212); qui sarà opportuno spendere appena una parola sull'attribu­zione del giorno dell'ora. I suddetti studiosi sono costretti a interpretarli in senso rigoroso, ossia giorno per 24 ore e ora per 60 minuti: cosicché Gesù avrebbe confessato di non conoscere in quale gruppo di 24 ore e in quale gruppo di 60 minuti sarebbe avvenuto il cataclisma universale, pur essendo certo che sarebbe avvenuto nellagenerazione a lui contemporanea. E serio tutto ciò? E’ serio che un presunto “visionario”, tutto vibran­te nell'aspettativa che entro breve tempo il mondo intero vada in pezzi, si rammarichi di non sapere il preciso momento in cui avverrà la conflagrazione? I veri visionari, appunto perché tali, non sono calcolatori cosi sottili, ritrovandosi totalmente assorbiti dalla visione principale: un visionario di questo genere è come un uomo che abbia sotto i piedi una mina con la sua miccia accesa, e non possa in alcun modo fuggire; la certezza assoluta dell'imminente scoppio gli fa totalmente dimenticare l'incertezza del preciso momento in cui lo scoppio avverrà. Gesù invece è un calcolatore sottile, e distin­gue nettamente le sue due fissazioni di tempi in rapporto alle due precedenti descrizioni dei segni. Ecco pertanto nella sua integrità il passo relativo ai tempi, nel quale ognuno può riconoscere il netto distacco che riporta ciascuna fissazione di tempo alla rispettiva descri­zione dei segni: ìn verità vi dico che non passerà questa generazione fino a che tutte queste cose avvengano. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Circa poi a quel giorno o all'ora nessuno sa (alcunche'), né gli angeli in cielo né il Figlio, se non il Padre (Marco, 13, 30-32; cfr. Matteo, 24, 34-36).
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