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mercoledì 19 settembre 2012

1812 - Vita di Gesù (paragrafi 523-525)


Il discorso escatologico

§ 523. La giornata volgeva oramai al tramonto; Gesù s'avviò per uscire dal Tempio e passar la notte fuori della città, come soleva fare in quella settimana (§ 510). Attraversato l'atrio dei gentili, egli fiancheggiò le sottocostruzioni che s'elevavano lungo la valle del Cedron ed offrivano uno spettacolo di vera potenza e magnificenza. A quella vista tornarono spontaneamente alla memoria dei discepoli che lo seguivano le ultime parole di lui, pronunziate poco prima con­tro i Farisei e ch'erano balenate come tetra minaccia:Ecco, e' lasciata a voi la vostra casa deserta. La prima e più amata casa di ogni buon Israelita era la casa del Dio Jahvè, il Tempio della città santa e unico di tutto il mondo; quel Tempio non poteva non essere eterno come era richiesto dalla fede comune e anche dimostrato dalla gran­diosità delle sue costruzioni. In che senso, dunque, aveva Gesù potuto dire che quella casa sarebbe rimasta deserta? Si ricollegava forse questa predizione con le altre angosciose predizioni fatte nel passato dal maestro? Ci fu qualche discepolo che volle scandagliare il pensiero di Gesù: senza darsene l'aria, gli si avvicinò mentre la comitiva sfilava lungo le sottocostruzioni del Tempio e cominciò ad esaltare quell'edificio gigantesco con termini entusiastici, non dissimili certamente da quelli che si ritrovano nelle ampie descrizioni di Flavio Giuseppe (Antichità giud., xv, 380-425; Guerra giud., v, 184-226). Le lodi del resto non erano esagerate, perché stando a questo testimonio oculare appunto quelle sottocostruzioni e le parti del Tempio rivolte verso il Cedron presentavano il seguente aspetto: Il tempio inferiore, nella parte piu' bassa, fu dovuto tener su con muri di 300 cubiti (circa 150 metri) e in certi posti anche piu': tuttavia l'intera profondità delle fondamenta non appariva, perchè (i costruttori) colmarono buona parte dei bur­roni volendo livellare le stradicciuole della città. Nella costruzione (delle fondamenta) furono (impiegate) pietre di 40 cubiti di gran­dezza (20 metri)... Di tali fondamenta erano degne anche le fabbriche sovrastanti. Doppi erano infatti tutti i portici, e sostenuti da colon­ne di 25 cubiti d'altezza (metri 12,50),ch'erano monoliti di marmo bianchissimo ricoperti con impalcature di cedro; la loro magnificenza aturale, la levigatura e l'aggiustamento offrivano uno spettacolo am­mirevole... (Guerra giud., v, 188-191). Senonché le parole entusiastiche dei discepoli non riuscirono a scuo­tere la pensierosità di Gesù; solo dopo qualche tempo egli, rialzando il capo e dando uno sguardo fugace alle decantate costruzioni, rispo­se gravemente: Non vedete tutte queste cose? In verità vi dico non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta. E subito si chiuse nel suo silenzio. I discepoli rimasero come fulminati da quelle parole; la pensierosità del maestro si diffuse sui discepoli, e la comitiva proseguì oramai muta il cammino, attraversando il Cedron e poi risalendo sull'opposto pendìo del monte degli Olivi. Quando fu sulla cima del mon­te, Gesù si sedette di fronte al Tempio (Marco, 13, 3) e rimase lì muto a guardare: lo si sarebbe detto un pilota che dalla riva ri­guardi accoratamente la sua amata nave su cui ha navigato lunghi anni, ma che ha dovuto abbandonare perché sa che di lì a pochi mo­menti sprofonderà per sempre. Gli sgomentati discepoli approfittarono di quella sosta per tornare sul­l'argomento di prima e domandare al maestro qualche schiarimen­to sulla sua nerissima predizione. Lo interrogavano privatamente Pietro e Giacomo e Giovanni Andrea; e Gesù rispose con quello che comunemente è designato come il “discorso escatologico”.

§ 524. Il discorso escatologico è riferito dai soli Sinottici (Matteo, cap. 24; Marco, cap. 13; Luca, 21, 5-36) ma con le solite divergenze che si riscontrano anche altrove fra loro; inoltre Luca ha già antici­pato al cap. 17 vari elementi di questo discorso (§ 474 segg.), e lo stesso in minor parte sembra aver fatto anche Matteo (10, 17-23). E’ dunque palese anche qui l'intervento redazionale dei singoli evan­gelisti, del quale il lettore odierno deve tener conto per una retta esegesi del discorso. Ma bisogna aver presente anche un altro fatto importante. Le tre re­dazioni del discorso presso i Sinottici dipendono come al solito dalle rispettive catechesi ch'essi rappresentano (§ 110 segg.), e rispecchiano perciòl'animus Ecclesia; ora tale animus, nel presente caso, si tro­vava in condizioni di delicatezza estrema essendo pervaso da quella perplessità e ansia dubbiosa che molti punti del discorso avevano su­scitata nella mente dei primitivi cristiani, non esclusi gli evangelisti. Si confronti infatti l'impressione che il discorso fa in un lettore odier­no con l'impressione ch'esso faceva nei fedeli della prima generazione cristiana, e si ammetterà senza esitazione che la giusta interpretazio­ne del discorso è oggi assai più facile di allora. In realtà il tempo è spesso un ottimo coefficiente per una retta esegesi; e il lettore odier­no, che ha a sua disposizione venti secoli di storia, può oggi comprendere bene almeno alcuni punti del discorso escatologico, mentre quei primitivi cristiani non avevano questo prezioso aiuto. Il discorso, infatti, tratta di due grandi avvenimenti, ambedue futuri in un tempo più o meno remoto, ma idealmente ricollegati in qual­che maniera fra loro. Come futuri, questi avvenimenti erano ambe­due velati di mistero per chi aveva ascoltato il discorso dalla bocca di Gesù o degli Apostoli; poco più tardi, durante la stessa prima ge­nerazione cristiana, il meno remoto dei due avvenimenti accadde di fatto e allora una parte del mistero fu svelata tuttavia, per contrac­colpo, l'altra parte s'avvolse in un'oscurità più ansiosa e palpitante. Se si era avverata cosi puntualmente la prima predizione che appari­va idealmente ricollegata con la seconda, non si avvererebbe presto anche la seconda? Il primo avvenimento non era come l'immediato precursore del secondo? E su queste domande i primi cristiani riflet­terono trepidanti per molti anni. Oggi si riconosce concordemente che il primo dei due fatti si è av­verato durante la prima generazione cristiana, ma non sorgono piu' le ansie di quella generazione riguardo al susseguirsi immediato del secondo fatto: i venti secoli di storia hanno attribuito il loro giusto valore alle parole di Gesù che ponevano tra i due fatti un interstizio di tempo incommensurabile. Fatta però la luce sul primo fatto e sull'interstizio, l'oscurità si è raccolta oggi tutta sul secondo fatto, ri­guardo al quale il lettore odierno è non meno dubbioso della pri­ma generazione cristiana, sebbene non ansioso come quella. Confrontando poi accuratamente fra loro le tre recensioni del di­scorso, e anche i tratti paralleli solitari, appare molto probabile che la sua forma più antica e meno sottoposta a redazione sia quella tra­smessaci da Marco, ossia la forma della catechesi di Pietro (§ 128 segg.): prendendo questa per guida, senza perder d'occhio le altre testimonianze, possiamo riassumere la sostanza del discorso nella ma­niera seguente.

§ 525. La domanda rivolta a Gesù dai quattro discepoli sulla cima del monte era consistita in queste parole: Dicci, quando saranno queste cose, e quale (sarà) il segno allorché stiano per conterminarsi tutte queste cose? (Marco, 13, 4). L'espressione queste cose si riferisce la prima volta alla distruzione del tempio, di cui Gesù aveva predetto che non sarebbe rimasto pietra sopra pietra; ma la seconda volta ha certamente un significato più ampio, e si ri­porta alla catastrofe addirittura universale in cui dovevano aver ter­mine tutte queste cose, cioè il “secolo” o mondo presente, come sug­gerisce anche il termine conterminarsi che è tipico per designare la fine del mondo (§ 638). Ciò del resto è messo fuor d'ogni dubbio dal parallelo Matteo (24, 3), ove la domanda dei discepoli suona: Dicci,quando saranno queste cose, e quale (sarà) il segno della tua “pa­rusia” e della conterminazione del “secolo”? I discepoli dunque, al sentire annunziata da Gesù la distruzione del Tem­pio, avevano ripensato alle varie promesse da lui fatte che il regno d'iddio sarebbe venuto in possanza (§ 401) e che nella rigenerazione si sarebbe assiso il figlio dell'uomo sul suo trono di gloria (§ 486), non­ché ai vari accenni delle parabole, e spontaneamente avevano fuso tutto insieme, contemplando o simultanei o almeno in una immedia­ta concatenazione di tempo ambedue gli avvenimenti, sia quello del­la distruzione del Tempio sia quello dellaparusia e della fine del “secolo”. Gesù pertanto dovrà rispondere ad ambedue i punti della domanda, quando sarà la distruzione del Tempio e quando la fine del mondo; inoltre dovrà descrivere i segni precursori dell'uno e del­l'altro avvenimento. Egli infatti comincia col mettere in guardia i suoi discepoli contro insidie ingannevoli, e perciò nella prima sezione della sua risposta descrive i segni che precederanno la distruzione del Tempio (Marco, 13, 5-23). - Si faranno avanti molti predicatori menzogneri spaccian­dosi per il Messia e attireranno in errore molti, così pure avverran­no guerre, sedizioni, terremoti e carestie in luoghi diversi: ma tutto ciò non (e') ancora la fine, bensì soltanto l'inizio delle doglie la grande tribolazione infatti si scaricherà diretta­mente sui discepoli di Gesù, che saranno deferiti a sinedri, sinagoghe e governatori, saranno battuti e imprigionati, saranno traditi dai più stretti parenti, e odiati universalmente a causa della loro fede: ma ciò nonostante e appunto durante questo tempo in tutte le genti dap­prima dev'esser predicata la «buona novella ». Infine la “grande tribolazione” entrerà nella sua stretta finale: l'abominio della desola­zione predetto da Daniele (9, 27) sarà stabilito nel Tempio, e Geru­salemme sarà circondata da armate; allora i discepoli rimasti fedeli a Gesù si diano immediatamente alla fuga per salvare le loro vite. Quelli saranno giorni di vendetta afinché siano adempiute tutte le cose scritte nei libri sacri (Luca, 21, 22), e sarà tribolazione quale non e' stata siffatta, dal principio della creazione che creò Iddio, fino ades­so e non sarà (cfr. Daniele, 12, 1), sebbene la sua durata sarà abbre­viata per far sì che ne scampino gli eletti (Marco, 13,19-20). Fin qui, come si sarà notato, il discorso non ha fatto alcun accenno al tempo ma solo ai segni della “grande tribolazione”. Che poi que­sta si riferisca alla distruzione del Tempio e di Gerusalemme è dimo­strato dai termini impiegati, ed è inoltre confermato dall'importante rilievo che pure Flavio Giuseppe, accingendosi a narrare lo stesso fatto, impiega espressioni somigliantissime, dicendo: In realtà le sven­ture di tutti i secoli mi sembrano restare al di sotto con frontate con quelle dei Giudei (Guerra giud., I, 12), e definisce anche la guerra tra Roma e la Giudea la più grande non solo di quelle del nostro tempo ma quasi anche di quelle che udimmo per fama esser scop­piate fra città e città o fra nazioni e nazioni (ivi, 1, 1). Né fa ostacolo la condizione che, alla distruzione del Tempio, in tutte le genti dap­prima dev'essere predicata la “buona novella”; altrettanto afferma­va, come di cosa fatta, S. Paolo egualmente prima che Gerusalemme fosse distrutta (§ 401). Ora, la distruzione di Gerusalemme avvenne nel quarantennio successivo al discorso, ossia nello spazio di tempo computato dai Giudei come una “generazione”. Troviamo infatti che Gesù in seguito - quando ha finito di descrivere i segni e passa a parlare dei tempi - afferma: In verità vi dico che non passerà questa generazione fino a che tutte queste cose avvengano (Marco, 13, 30).
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