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giovedì 14 giugno 2012

1585 - Vita di Gesù (paragrafi 402-404)


La trasfigurazione

§ 402. Com'era da aspettarsi, le energiche rettificazioni messianiche depressero l'animo dei discepoli; quei focosi Galilei di pretto sangue giudaico ne rimasero sconcertati e abbattuti. La medicina per ria­nimarli fu somministrata da Gesù mediante la sua trasfigurazione, avvenuta sei giorni (circa otto giorni, secondo Luca) dopola mani­festazione messianica. La scena è collocata dagli evangelisti su un monte eccelso, di cui però non ci è trasmesso il nome. Molti studiosi moderni pensano che fosse l'Hermon, la cui cima più elevata raggiunge i 2759 metri sul Mediterraneo, e che offrirebbe la congruenza di stare immedia­tamente sopra Cesarea di Filippo dove era avvenuta la manifesta­zione messianica. Ma, oltreché l'ascesa del monte è faticosa e richiede tra andare e tornare una buona giornata, sta il fatto che si tratta di una conget­tura del tutto recente: l'antichità invece non ha ricollegato la tra­sfigurazione con l'Hermon, sebbene una provocazione a tale ricolle­gamento fosse offerta a menti mistiche dal passo del Salmo 89, 13 (ebr.): Il Tabor e l'Hermon nel nome tuo esulteranno. Al contrario, sul primo di questi due monti si è accentrata una tradizione che risale al secolo IV. Il Tabor non è per noi moderni un monte eccelso, essendo alto 562 metri dal Mediterraneo e 600-620 metri dalle valli circostanti (che sono più basse del Mediterraneo); ma per gli anti­chi poteva ben passare per un monte assai alto, essendo totalmente isolato e scorgendosi dalla sua cima buona parte della Galilea. Un'al­tra difficoltà è che la sua cima era forse abitata, e perciò non offri­va quella solitudine che sembra richiesta dalla scena della trasfigu­razione; ma anche questa difficoltà non è insormontabile: la cima doveva essere abitata in occasioni di torbidi e di guerre, riducendosi facilmente a fortezza come avvenne verso il 218 av. Cr. sotto An­tioco III il Grande (cfr. Polibio, v, 70) e al tempo della guerra di Vespasiano quando fu fortificata da Flavio Giuseppe che ne parla a lungo(Guerra giud., IV 54-61); fuor di questi tempi la cima do­veva essere in istato d'abbandono, soprattutto perché l'intero monte oltre ad essere scosceso e sassoso è assolutamente privo di acqua. Quanto alla distanza del Tabor da Cesarea di Filippo, poteva esser superata senza difficoltà nei 6 (o 8) giorni indicati. - Ovunque poi avvenisse il fatto, esso si svolse in questo modo.

§ 403. Fra i disanimati discepoli Gesù prese con sé i tre prediletti, ossia Pietro e i fratelli Giacomo e Giovanni, e li condusse sul monte. La strada lunga, la salita faticosa, la stagione estiva contribuirono a far si che i viandanti giungessero sul posto assai stanchi: proba­bilmente giunsero di sera, cosicché i tre discepoli preparatosi alla meglio un giaciglio si misero a dormire (Luca, 9, 32): Gesù invece, com'era solito di notte, si mise a pregare (ivi, 29) a breve distanza da loro. A un tratto i visi dei dormienti sono inondati d'una luce vivissima: aprono essi gli occhi, e scorgono Gesù in aspetto tutto diverso dal solito. Stava egli là trasfigurato davanti a loro, e lam­pante era il suo viso come il sole, e le sue vesti divenute bianche come la luce (Matteo, 17, 2). Quando i risvegliati, che erano aggra­vati di sonno (Luca, 9, 32), ebbero adattato alla meglio la vista e l'animo alla folgoreggiante visione, riconobbero presso il trasfigurato anche Mosè ed Elia, i quali parlavano con lui della sua dipartitache stava per compiere in Gerusalemme (Lu­ca, 9, 31). Il discorso fra i tre dura più o meno tempo, e a un certo punto Mosè ed Elia fanno come atto di allontanarsi. Allora il solito Pietro crede opportuno intervenire e dice a Gesu': Rabbi! Noi stiamo bene qui! E possiamo fare tre tende, una a te, una a Mose' e una a Elia! Il bravo Pietro ripensa forse con rammarico di aver prov­veduto soltanto al suo proprio giaciglio dopo il faticoso cammino, trascurando quello per Gesù che adesso si mostra in quell'aspetto e in compagnia di quegli insigni visitatori; ma l'evangelista interprete di Pietro ha aggiunto subito appresso la vera spiegazione, udita cer­tamente più volte dalla bocca di Pietro: Non sapeva infatti che cosa dicesse; giacchè erano sgomentati (Marco, 9, 6). Pietro non riceve risposta, perché una luminosa nube li avvolge tutti e nella nube risuona una voce: Questo è il figlio mio diletto, in cui mi compiaccio qui. Ascoltatelo! I tre discepoli, ancor più sgomentati, si prosternano con la faccia a terra, ma poco dopo Gesù va verso di loro, li tocca e dice: Alzatevi, e non temete! Guardando attorno, essi non vedono più nessuno, salvo Gesù nel suo aspetto abituale. Il giorno appresso scendendo dal monte, Gesù ordina loro: Non dite a nes­suno la visione, fino a che il figlio dell'uomo sia risuscitato dai morti!

§ 404. E’ inutile ricordare che per i razionalisti il racconto della trasfigurazione non ha nulla di storico, ed è o una allucinazione, o una elaborazione mitica, o un simbolo, e simili. Tuttavia un rap­presentativo razionalista ne ha esattamente riconosciuto il valore concettuale, affermando che la trasfigurazione del Cristo si ricollega strettamente, nel quadro sinottico, con l'annunzio della sua passione e della sua resurrezione gloriosa. Essa corregge la prospettiva dei do­lori, e prelude al trionfo (Loisy). E’ esatto, sebbene non del tutto completo: infatti anche la presenza di Mosè ed Elia, rappresen­tanti rispettivamente della Legge e dei Profeti, ha un suo partico­lare valore, volendo dimostrare che la Legge e i Profeti dell'Antico Testamento hanno per loro ultima mira il Messia Gesù: e ciò cor­risponde a quanto Gesù aveva detto nel Discorso della montagna, di non essere venuto ad abolire la Legge o i Profeti... bensì a com­piere (§ 323). Sotto un certo aspetto, la trasfigurazione di Gesù è anche un contrapposto alla sua tentazione (§ 271 segg.). Più direttamente, è un correttivo all'effetto deprimente che le rettificazioni messianiche avevano prodotto sui discepoli, ma nello stesso tempo è una conferma di quelle rettificazioni. Gesù Messia, anche sfolgorante di luce, parla con Mosè ed Elia della sua dipartita, ossia morte, che sta per oc­corrergli a Gerusalemme, come se quella morte sia per lui il pas­saggio necessario onde entrare nella sua gloria manifesta. Quando egli avrà superato quel passaggio e sarà già entrato nella sua gloria, rimprovererà a certi suoi tardi discepoli: O stolti e lenti di cuore a credere...; non doveva forse patire tali cose il Cristo (Messia), e (così) entrare nella sua gloria? (§ 630). In tal modo la medicina somministrata fece senza dubbio il suo ef­fetto, rianimando i discepoli, ma insieme moltiplicò in essi talune ansie ed incertezze. Perché quella proibizione di parlare ad altri della visione? E il permesso di parlarne solo dopo che il figlio del­l'uomo fosserisuscitato dai morti, a quale avvenimento futuro si ri­feriva? Si era dunque veramente alla vigilia della pafingenesi co­smica e della resurrezione dei morti accennate dalle antiche profezie (Isaia, 26, 19; Ezechiele, 37; Daniele, 12, 1-3)? Ma allora perchè Elia non compariva stabilmente - e non fugacemente come nella visione - per disporre i preparativi della grande palingenesi? Con quest'ultima questione cominciarono i discepoli, e chiesero a Gesù: Perché dunque gli Scribi dicono che Elia deve venire dapprima? (Matteo, 17, 10). Gesù rispose confermando ma insieme schiarendo: Elia, si, deve venire a predisporre tutto; ma esso è già venuto, e gli hanno fatto tutto il male che hanno voluto: così anche il figlio dell'uomo dovrà soffrire e ricevere il male da quelli. Allora i di­scepoli capirono che di Giovanni il Battista parlò ad essi (ivi, 13).
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