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mercoledì 4 aprile 2012

1426 - Udienza di Benedetto XVI del 4/4/2012


Il Triduo Pasquale
Cari fratelli e sorelle,
sono ancora vive in me le emozioni suscitate dal recente Viaggio apostolico in Messico e a Cuba, sul quale vorrei soffermarmi quest’oggi. Sorge spontaneo dal mio animo il rendimento di grazie al Signore: nella sua provvidenza, Egli ha voluto che mi recassi per la prima volta come Successore di Pietro in questi due Paesi, che conservano indelebile memoria delle visite compiute dal Beato Giovanni Paolo II
Il bicentenario dell’Indipendenza del Messico e di altri Paesi Latinoamericani, il ventennio dei rapporti diplomatici tra Messico e Santa Sede e il quarto centenario del rinvenimento dell’immagine della Vergine della Carità del Cobre nella Repubblica di Cuba sono state le occasioni del mio pellegrinaggio. Con esso ho voluto abbracciare idealmente l’intero Continente, invitando tutti a vivere insieme nella speranza e nell’impegno concreto di camminare uniti verso un futuro migliore. Sono grato ai Signori Presidenti del Messico e di Cuba, che con deferenza e cortesia mi hanno dato il loro benvenuto, come pure alle altre Autorità. Ringrazio di cuore gli Arcivescovi di León, di Santiago de Cuba e di La Habana e gli altri venerati Fratelli nell’episcopato, che mi hanno accolto con grande affetto, come pure ai loro collaboratori e a quanti si sono generosamente prodigati per questa mia visita pastorale. Sono stati giorni indimenticabili di gioia e di speranza, che rimarranno impressi nel mio cuore!
La prima tappa è stata León, nello Stato del Guanajuato, centro geografico del Messico. Qui una grande folla festante mi ha riservato una straordinaria e vivace accoglienza, come segno dell’abbraccio caloroso di un intero popolo. Fin dalla cerimonia di benvenuto ho potuto cogliere la fede e il calore dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei fedeli laici. Alla presenza degli esponenti delle Istituzioni, di numerosi Vescovi e di rappresentanze della società, ho richiamato la necessità del riconoscimento e della tutela dei diritti fondamentali della persona umana, tra i quali spicca la libertà religiosa, assicurando la mia vicinanza a quanti soffrono a causa di piaghe sociali, di antichi e nuovi conflitti, della corruzione e della violenza. Ripenso con profonda gratitudine alla fila interminabile di gente lungo le strade, che mi ha accompagnato con entusiasmo. In quelle mani protese in segno di saluto e di affetto, in quei volti lieti, in quelle grida di gioia ho colto la tenace speranza dei cristiani messicani, speranza rimasta accesa nei cuori nonostante i momenti difficili delle violenze, che non ho mancato di deplorare e alle cui vittime ho rivolto un accorato pensiero, potendone confortare personalmente alcune. Nella stessa giornata ho incontrato tantissimi bambini e adolescenti, che sono il futuro della Nazione e della Chiesa. La loro inesauribile allegria, espressa con fragorosi canti e musiche, come pure i loro sguardi e i loro gesti, esprimevano il forte desiderio di tutti i ragazzi del Messico, dell’America Latina e dei Caraibi di poter vivere in pace, in serenità e armonia, in una società più giusta e riconciliata.
I discepoli del Signore devono far crescere la gioia di essere cristiani, la gioia di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono anche le energie per servire Cristo nelle situazioni difficili e di sofferenza. Ho ricordato questa verità all'immensa folla convenuta per la celebrazione eucaristica domenicale nel Parco del Bicentenario di León. Ho esortato tutti a confidare nella bontà di Dio onnipotente che può cambiare dal di dentro, dal cuore, le situazioni insopportabili e oscure. I messicani hanno risposto con la loro fede ardente e, nella loro adesione convinta al Vangelo, ho riconosciuto ancora una volta segni consolanti di speranza per il Continente. L’ultimo evento della mia Visita in Messico è stato, sempre a León, la celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Nostra Signora della Luce, con i Vescovi messicani e i rappresentanti degli Episcopati d’America. Ho manifestato la mia vicinanza al loro impegno di fronte alle varie sfide e difficoltà, e la mia gratitudine per quanti seminano il Vangelo in situazioni complesse e spesso non prive di limitazioni. Li ho incoraggiati ad essere Pastori zelanti e guide sicure, suscitando ovunque comunione sincera e adesione cordiale all’insegnamento della Chiesa. Ho lasciato quindi l’amata terra messicana dove ho sperimentato una devozione e un affetto speciali al Vicario di Cristo. Prima di partire, ho spronato il popolo messicano a rimanere fedele al Signore e alla sua Chiesa, ben ancorato alle proprie radici cristiane.
Il giorno seguente è iniziata la seconda parte del mio Viaggio apostolico con l’arrivo a Cuba, dove mi sono recato anzitutto per sostenere la missione della Chiesa cattolica, impegnata ad annunciare con gioia il Vangelo, nonostante la povertà di mezzi e le difficoltà ancora da superare perché la religione possa svolgere il proprio servizio spirituale e formativo nell’ambito pubblico della società. Questo ho voluto sottolineare giungendo a Santiago de Cuba, seconda città dell’Isola, non mancando di evidenziare le buone relazioni esistenti tra Stato e Santa Sede, finalizzate al servizio della presenza viva e costruttiva della Chiesa locale. Ho assicurato altresì che il Papa porta nel cuore le preoccupazioni e le aspirazioni di tutti i cubani, specialmente di quelli che soffrono per la limitazione della libertà.
La prima Santa Messa che ho avuto la gioia di celebrare in terra cubana si collocava nel contesto del IV centenario della scoperta dell’immagine della Vergine della Carità di El Cobre, patrona di Cuba. Si è trattato di un momento di forte intensità spirituale, con la partecipazione attenta e orante di migliaia di persone, segno di una Chiesa che viene da situazioni non facili, ma con una testimonianza vivace di carità e di presenza attiva nella vita della gente. Ai cattolici cubani che, insieme all’intera popolazione, sperano in un futuro sempre migliore, ho rivolto l’invito a dare nuovo vigore alla loro fede e a contribuire, con il coraggio del perdono e della comprensione, alla costruzione di una società aperta e rinnovata, dove vi sia sempre più spazio per Dio, perché quando Dio è estromesso, il mondo si trasforma in un luogo inospitale per l’uomo. Prima di lasciare Santiago de Cuba mi sono recato al Santuario di Nostra Signora della Carità in El Cobre, tanto cara al popolo cubano. Il pellegrinaggio dell’immagine della Madonna della Carità nelle famiglie dell’Isola ha suscitato grande entusiasmo spirituale, rappresentando un significativo evento di nuova evangelizzazione e un’occasione di riscoperta della fede. Alla Vergine Santa ho raccomandato soprattutto le persone che soffrono e i giovani cubani.
La seconda tappa cubana è stata L’Avana, capitale dell’Isola. I giovani, in particolare, sono stati i principali protagonisti dell’esuberante accoglienza nel percorso verso la Nunziatura, dove ho avuto l’opportunità di intrattenermi con i Vescovi del Paese per parlare delle sfide che la Chiesa cubana è chiamata ad affrontare, nella consapevolezza che la gente guarda ad essa con crescente fiducia. Il giorno seguente ho presieduto la Santa Messa nella Piazza principale de L’Avana, gremita di gente. A tutti ho ricordato che Cuba e il mondo hanno bisogno di cambiamenti, ma questi ci saranno solo se ognuno si apre alla verità integrale sull’uomo, presupposto imprescindibile per raggiungere la libertà, e decide di seminare attorno a sé riconciliazione e fraternità, fondando la propria vita su Gesù Cristo: Egli solo può disperdere le tenebre dell’errore, aiutandoci a sconfiggere il male e tutto ciò che ci opprime. Ho voluto altresì ribadire che la Chiesa non chiede privilegi, ma chiede di poter proclamare e celebrare anche pubblicamente la fede, portando il messaggio di speranza e di pace del Vangelo in ogni ambiente della società. Nell’apprezzare i passi finora compiuti in tal senso dalle Autorità cubane, ho sottolineato che è necessario proseguire in questo cammino di sempre più piena libertà religiosa.
Al momento di lasciare Cuba, decine di migliaia di cubani sono venute a salutarmi lungo la strada, nonostante la forte pioggia. Nella cerimonia di congedo ho ricordato che nell’ora presente le diverse componenti della società cubana sono chiamate ad uno sforzo di sincera collaborazione e di dialogo paziente per il bene della patria. In questa prospettiva, la mia presenza nell’Isola, come testimone di Gesù Cristo, ha voluto essere un incoraggiamento ad aprire le porte del cuore a Lui, che è fonte di speranza e di forza per far crescere il bene. Per questo ho salutato i cubani esortandoli a ravvivare la fede dei loro padri ed edificare un avvenire sempre migliore.
Questo Viaggio in Messico e a Cuba, grazie a Dio, ha avuto la desiderata riuscita pastorale. Possano il popolo messicano e quello cubano ricavarne frutti abbondanti per costruire nella comunione ecclesiale e con coraggio evangelico un futuro di pace e di fraternità.
Cari amici, domani pomeriggio, con la Santa Messa in Coena Domini, entreremo nel Triduo Pasquale, vertice di tutto l’Anno liturgico, per celebrare il Mistero centrale della fede: la passione, morte e risurrezione di Cristo. Nel Vangelo di san Giovanni, questo momento culminante della missione di Gesù viene chiamato la sua «ora», che si apre con l’Ultima Cena. L’Evangelista lo introduce così: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Tutta la vita di Gesù è orientata a questa ora, caratterizzata da due aspetti che si illuminano reciprocamente: è l’ora del «passaggio» (metabasis) ed è l’ora dell’«amore (agape) fino alla fine». In effetti, è proprio l’amore divino, lo Spirito di cui Gesù è ricolmo, che fa «passare» Gesù stesso attraverso l’abisso del male e della morte e lo fa uscire nello «spazio» nuovo della risurrezione. E’ l’agape, l'amore, che opera questa trasformazione, così che Gesù oltre-passa i limiti della condizione umana segnata dal peccato e supera la barriera che tiene l’uomo prigioniero, separato da Dio e dalla vita eterna. Partecipando con fede alle celebrazioni liturgiche del Triduo Pasquale, siamo invitati a vivere questa trasformazione attuata dall’agape. Ognuno di noi è stato amato da Gesù «fino alla fine», cioè fino al dono totale di Sé sulla croce, quando gridò: «E’ compiuto!» (Gv19,30). Lasciamoci raggiungere da questo amore, lasciamoci trasformare, perché veramente si realizzi in noi la risurrezione. Vi invito, quindi, a vivere con intensità il Triduo Pasquale e auguro a tutti una Santa Pasqua! Grazie.
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