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domenica 18 marzo 2012

1389 - Commento al Vangelo del 18/3/2012, IV domenica di Quaresima


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (3,14-21)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Nel Tempo di Quaresima c’è una domenica in cui si accosta la gioia alla sofferenza, ed avviene proprio durantela Quaresima perché considerato il periodo più forte dell’anno liturgico. Molti si chiederanno la consistenza della compatibilità tra due stati d’animo che si oppongono chiaramente e che tutti indichiamo uno diverso dall’altro.
È dunque possibile rimanere nella gioia anche durante la sofferenza?
Sia il Vangelo sia la vera spiritualità cristiana che ovviamente scaturisce dal Vangelo ma lo esplicita notevolmente, spiegano che l’allegria è compatibile con la mortificazione e con il dolore. Qui abbiamo fatto un passaggio ancora più ardito, ma vediamo di comprendere meglio questi passaggi.
Innanzitutto approfondiamo il termine allegria: è uno stato di letizia dell'animo che si manifesta vivacemente, indica una persona che vive nel buonumore, felicità, gioia, cordialità, giovialità, gaudio. Non è l’allegria intesa come spensieratezza e inclinazione a qualsiasi forma di divertimento. Nella spiritualità cristiana l’allegria è fonte di atteggiamenti buoni e cordiali. L’allegria è sempre contenuta e gioiosa, manifesta una vita interiore profonda ed anche una buona capacità di dominare i sensi.
«Come è possibile essere allegri dinnanzi alla malattia e nella malattia, dinnanzi all'ingiustizia e soffrendo l'ingiustizia? Non sarà questa allegria una falsa illusione o una fuga irresponsabile? No. La risposta ce la da Cristo: solo Cristo. Solo in Lui troviamo il senso vero della vita di ciascun uomo e la chiave della storia dell'umanità.
La vera gioia non dipende in nessun modo dalle circostanze in cui ci troviamo, perché trova fondamento nella fedeltà a Dio, nel compimento del dovere, nell'accettazione della cro­ce.
È una felicità ben diversa da quella che dipen­de dal benessere materiale, dalla salute, così fragile, dagli stati d'animo, così volubili, dall'assenza di difficoltà, dal non patire necessità. Siamo figli di Dio e niente ci deve turbare; neppure la morte.
San Paolo ricordava ai primi cristiani di Filippi: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto an­cora, rallegratevi”. E subito indicava loro il moti­vo: “II Signore è vicino!”. Per far fronte all'ambiente duro e violento nel quale vivevano, l'apostolo indica loro l'antidoto migliore: essere allegri».
Quindi, l’allegria può nascere esclusivamente da un cuore che ama e si sente amato da Dio.
Vivere in comunione con Gesù, sentirlo presente nella nostra vita richiamandolo con brevi preghiere e giaculatorie anche durante le faccende che ci vedono impegnati, è il modo per rimanere in Lui pieni di gioia, perché è il Signore a trasmetterci la gioia spirituale, ad ogni incontro con Lui nella preghiera ci riempie del suo Spirito di gioia.
La gioia non ce la inventiamo noi, il modo socievole o espansivo di molti uomini può anche non essere manifestazione della gioia cristiana, perché questa gioia rimane presente anche nella sofferenza e durante le penitenze della Quaresima. La persona che gioisce solamente quando tutto le và bene, scoppia nella tristezza e nell’abbattimento all’arrivo di una sofferenza o una malattia. Questo atteggiamento manifesta che quella non era la gioia cristiana, si trattava di una espressione del suo carattere.
Chi non possiede la gioia cristiana, quindi l’allegria colma di felicità, cambia umore quasi ogni giorno e la tristezza è sempre vincitrice.
Se la gioia è presente anche nella sofferenza e nella pratica delle penitenze, è una gioia che scaturisce dalla comunione con Gesù, è il cuore pieno dell’Amore di Dio a far traboccare fuori l’allegria in un viso trasfigurato e più che umano. Quando l’Amore di Dio permane nel cuore dell’uomo, inevitabilmente straripa e si riversa in chi ci sta vicino.
Quante persone tristi ci avvicinano e dopo avere dialogato un po’ avvertono intimamente una gioia nuova che prima non avevano? È la gioia di un cuore che ne sovrabbonda a riversarlo in tutti i cuori vicini. Non siamo noi a stabilire questo, è l’azione dello Spirito Santo ad operare queste mirabilie e a portare nei cuori tristi la gioia cristiana che si manifesta in un viso allegro, disposto sempre a sorridere e mai a ridere come gli sciocchi.
Questa domenica di Quaresima detta “Laetare”, permette che i paramenti del celebrante siano di colore rosato e non viola, inoltre l’altare deve manifestare con i fiori e con l’arredo migliore che Gesù è la nostra vera ed unica gioia. L’allegria di questa domenica ci viene dalla convinzione che Gesù presto compirà una mirabilia incredibile, risorgerà da morte e riporterà l’amicizia tra il Padre e l’uomo, riaprirà il Paradiso e dimostrerà la sua onnipotenza trionfando sulla morte e sui diavoli.
Anche se siamo in Quaresima e la liturgia ci invita alla penitenza, il nostro cuore non è triste ma gioioso perché si avvicina il momento della Risurrezione del Signore. “Laetare, rallegrati Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi”.
La mortificazione di questi giorni non scalfisce la nostra allegria interiore, anzi l’accresce, perché la maggiore mortificazione ci purifica e ci trasfigura, rendendo maggiormente possibile la nostra Redenzione. E con la Pasquanon terminerà l’allegria ma raggiungerà un traguardo, e non finirà il nostro impegno nella mortificazione. È proprio la mortificazione a favorire la crescita e la vera gioia interiore che si esprime nell’allegria cristiana.
Una Grazia che possiamo ricevere in questa Quaresima è di comprendere che la vera gioia abita molto vicina alla Croce.
Senza la nostra croce quotidiana non fuggiremmo forse velocemente dalla mortificazione e dalla preghiera profonda? “Una giornata senza croce è una croce”, ho scritto nel mio libro Adorazione Eucaristia, ma non siamo certo noi a cercare la croce, quando arriva abbiamo la forza interiore per accettarla e non abbatterci, continuando a gioire e a donare l’amore che sovrabbonda nei nostri cuori.
La gioia non arriva quando termina una sofferenza, la gioia è sempre presente anche nella sofferenza!
Cosa dice Gesù a Nicodemo? Bisogna rinascere di nuovo, cioè compiere una seconda e completa conversione, quella che permette di rientrare in se stessi e guardare la “casa interiore” come sta messa, se necessita di una ristrutturazione o di una profonda pulitura o di un riordino generale che dura praticamente per tutta la vita.
Nicodemo si presenta da Gesù ed è privo di gioia, pur amando il Signore e credendo nella sua missione. Cosa manca a Nicodemo? La certezza della divinità di Gesù, non è sufficiente il suo ragionamento che lo ha portato alla convinzione che solo un Uomo mandato da Dio poteva compiere miracoli impossibili, risuscitare i morti.
Nicodemo crede, ma non pienamente, c’è un piccolo dubbio che non gli permette di conoscere la vera gioia, l’allegria interiore.
Nicodemo ricercava sinceramente la piena verità, ma si bloccava alle sue convinzioni, anteponeva i suoi ragionamenti alla Verità che Gesù predicava, non riusciva a lasciare la sua mentalità. Anche se amava sinceramente Gesù, non era sufficiente per entrare in piena comunione con Lui.
Gesù ricorda che Mosè nel deserto alzava per volontà di Dio il serpente di bronzo e chi lo guardava non veniva ucciso dal morso delle vipere, allo stesso modo Egli, il Signore della vita, donerà la vita eterna a coloro che crederanno in Lui. La Croce non è quindi un segno di sconfitta, per noi cristiani è il segno della vittoria.
Solo chi non crede pienamente nella Luce di Gesù rifiuta la salvezza eterna e rimane nelle tenebre.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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