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martedì 14 febbraio 2012

1312 - Vita di Gesù (paragrafi 298-299)

Ritorno e prima operosità in Galilea

§ 298. Passati due giorni con i Samaritani di Sychar, Gesù rientrò in Galilea. La ragione di questo ritorno è comunicata da Giovanni (4, 44) con le seguenti parole: Gesu' stesso, infatti, attestò che un profeta nella propria patria non ha onore. Qual è la patria a cui al­lude qui Giovanni? I Sinottici attribuiscono la stessa sentenza a Gesù ma in un occasione posteriore, quando cioè egli sarà scacciato in malo modo da Nazareth (Luca, 4, 16-30, e paralleli), e allora si com­prende subito che la patria è Nazareth. In Giovanni ciò non è al­trettanto chiaro, ma non per questo è da pensare che egli alluda alla Giudea da cui si allontanava per gl'intrighi dei Farisei (§ 292). Si dica piuttosto che Giovanni, presupponendo già noti i Sinottici (§165) e la sentenza di Gesù da essi riportata, la anticipi qui all'ini­zio della sua operosità in Galilea quasi per preammonire del mesto risultato di essa. Tuttavia, a principio, i Galilei accolsero Gesù con gioia: parecchi di essi erano stati testimoni delle opere straordinarie fatte da Gesù in Giudea, e al loro ritorno ne avevano parlato in Galilea suscitando fierezza fra i compatrioti del profeta. Recatosi nuovamente a Cana, il paese del primo miracolo (§ 281), Gesù fu subito ricercato per la sua fama di taumaturgo. Giaceva gra­vemente malato a Cafarnao il figlio d'un impiegato della corte rea­le; suo padre, saputo dell'arrivo di Gesù, andò in fretta a Cana pre­gandolo di venir subito a guarire il malato, ormai agli estremi. A quella preghiera Gesù si mostrò retrivo, e preoccupandosi soprattutto della propria missione rispose: Qualora non vediate segni e prodigi, non (sarà) che crediate! L'angosciato padre non si preoccupava che del figlio morente, e insistette: Signore, vieni giù (a Cafarnao) prima che il mio ragazzo muoia! Per esser sicuro della guarigione il padre esigeva la presenza personale di Gesù, come d'un medico. Gesù gli replicò: Va'; tuo figlio vive! Queste ferme parole infusero nel padre la fermezza di credere: se il taumaturgo aveva parlato così, non po­teva essere altrimenti. Era l'ora settima, cioè l'una del pomeriggio; dopo il viaggio affannato del mattino da Cafarnao a Cana che so­no più di 30 chilometri, non si poteva ripetere subito il percorso in­verso spossando le bestie e gli uomini di scorta. Perciò il padre ri­parti il mattino seguente. Nell'avvicinarsi a Cafarnao, i familiari gli vennero incontro per annunziargli che il ragazzo stava bene; alla sua domanda, da quando avesse cominciato a riaversi, risposero: Ieri, all'ora settima, lo lasciò la febbre. L'accurato Giovanni (4, 54) fa notare che questo fu il secondo mi­racolo di Gesù, dopo quello di Cana egualmente in Galilea, ma astraendo dalla permanenza in Giudea (§ 287, nota seconda). Anche qui appare la mira di Giovanni di integrare i Sinottici.


§ 299. Tornato così in Galilea, Gesù iniziò senz'altro la sua missione predicando la « buona novella » d'iddio e dicendo: Si é compiuto il tempo e si e' avvicinato il regno d'Iddio; cambiate di mente (= pentitevi; § 266) e credete alla “buona novella”. In questo tempo egli dovette recarsi volta a volta un po' dappertutto nei vari centri della Galilea, poiché ci si dice che insegnava nelle si­nagoghe di quelli ed era ascoltato da tutti con molta deferenza, e sicuramente anche con una certa fierezza regionale (Luca, 4, 14-15). Tuttavia i soggiorni più lunghi e più frequenti avvenivano a Cafarnao, ch'egli già aveva praticamente sostituita alla sua Nazareth (§ 285). Nulla vieta, anzi tutto induce a supporre che nel corso di queste peregrinazioni egli si recasse anche a Nazareth; ma l'episo­dio della sua predica nella sinagoga di Nazareth che si concluse con la sua cacciata dal villaggio (§ 357 segg.) dovette avvenire al termine e non al principio di questa operosità in Galilea, perché in quella oc­casione sono espressamente ricordati i miracoli fatti da lui a Cafar­nao (Luca, 4, 23). Perciò, sebbene Luca ponga questo episodio a prin­cipio, è da preferirsi l'ordine cronologico qui seguito dagli altri due Sinottici (Matteo, 13, 54-58; Marco, 6, 1-6), i quali lo pongono sul finire di questo periodo di tempo, quando cioè Gesù era già stato lungo tempo a Cafarnao. Nelle varie borgate ove si recava, Gesù parlava soprattutto nella si­nagoga del posto. Come già sappiamo (§ 2), ogni minimo centro pa­lestinese ne era provvisto, e ivi puntualmente gli abitanti s'aduna­vano il sabato e talvolta anche altri giorni; ma, oltre all'uditorio bell'e pronto, c'era anche l'opportunità di parlare ad esso in piena conformità con le norme tradizionali, quando cioè l'archisinagogo dopo la lettura della Bibbia invitava qualcuno dei presenti a tenere l'usuale discorso istruttivo (§ 67): è naturale che Gesù si offrisse fre­quentemente per tale incombenza, che rispondeva così bene ai suoi scopi. Altre volte, tuttavia, egli parlava all'aperto o in edifici privati, quando si presentava l'opportunità o si era adunata presso di lui una certa folla. I suoi ascoltatori, infatti, crescevano rapidamente, perché avevano notato subito che egli insegnava loro come avente autorita' e non come gli Scribi (Marco, 1, 22; Luca, 4, 32; cfr. Matteo, 7, 29). Anche la plebe, nel suo semplice buon senso, trovava una profonda differenza fra le dottrine di Gesù e quelle degli Scri­bi; costoro si rifugiavano sempre sotto l'autorità degli antichi, e il loro ideale era di trasmettere integralmente gl'insegnamenti ricevuti senza nulla aggiungere e nulla tralasciare: Gesù invece apriva certi forzieri di cui egli possedeva l'unica chiave e sui quali egli solo “ave­va autorità”, non rifuggendo neppure dal contraddire agli insegna­menti degli antichi quand'era necessario perfezionarli. Fu detta agli antichi la tal cosa; io invece vi dico la tal altra (Matteo, 5, 21 segg.). Gli Scribi, insomma, erano la voce della tradizione; Gesù invece era la voce di se stesso, e si attribuiva il diritto tanto di approvare quella tradizione quanto di respingerla e correggerla. Indubbiamente chi si attribuiva questo diritto, sotto la dittatura spirituale degli Scribi e dei Farisei, agiva come avente autorità.
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