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domenica 9 ottobre 2011

1131 - Vita di Gesù (paragrafi 228-230)

L'annunzio a Maria

§ 228. Per il nuovo episodio la scena è portata lontano da Gerusa­lemme e dal suo Tempio, e collocata nella Palestina settentrionale, in Galilea. Ivi, a 140 chilometri da Gerusalemme per la strada odierna, sorge Nazareth, oggi amena cittadina che conta circa 25.000 abitan­ti, ma che ai tempi di Gesù doveva essere tutt'altro che amena e niente più che trascurabile villaggio. Di Nazareth non si trova alcuna menzione né nell'Antico Testamento, né in Flavio Giuseppe, né nel Talmud; i vangeli, che soli ne parlano, riportano anche il giudizio sprezzante dato da un uomo di quei dintorni: Da Nazareth ci può esser qualcosa di buono? (Giovanni, 1, 46). Tuttavia l'insediamento umano vi doveva essere molto antico; re­centi investigazioni archeologiche, fatte attorno al santuario locale dell'Annunciazione, hanno riportato in luce numerose grotte aperte artificialmente nel pendio della collina; le quali, se più rozze e spo­glie, servivano da depositi di vettovaglie, se invece erano più comode e vi era stata aggiunta sul davanti qualche elementare costruzione servivano anche da abitazioni. La Nazareth dei tempi di Gesù do­veva restringersi alla parte orientale dell'odierna cittadina, quella che guarda dall'alto verso la vallata di Esdrelon. Siccome poi nella Pa­lestina antica un insediamento umano appare provocato sempre da una sorgente d'acqua, anche a Nazareth non mancava una fonte; è quella chiamata oggi “Fontana della Madonna” attorno a cui gli Apocrifi lavorano parecchio di fantasia, ma che ai tempi di Gesù doveva essere forse il solo richiamo verso il villaggio per le as­setate carovane che passavano lungo i dintorni. Forse la sua posizio­ne alta rispetto alla pianura orientale aveva procurato a quell'accol­ta di stamberghe semi-trogloditiche il nome di Nasrath, Nasrah col significato originario di “guardiana”, “custodiente” (più che di “fiore” o “germoglio”). Ora, in uno degli abituri di Nazareth viveva una vergine fidanzata ad un uomo di nome Giuseppe, del casato di David, e il nome della vergine (era) Maria (Luca, 1, 27). Al casato di David apparteneva, oltre a Giuseppe, anche Maria: né deve far meraviglia di trovare di­scendenti di un casato anticamente così glorioso confinati in un vil­laggio così meschino e anche così lontano dalla culla del casato, che era Beth-lehem; già da secoli la stirpe di David viveva una vita oscu­ra ed appartata, e neppure al tempo del risorgimento nazionale sot­to i Maccabei essa si era segnalata per benemerenze speciali; questa vita da semplici privati aveva favorito anche l'allontanamento dei discendenti del casato dal centro originario, molti dei quali erano andati a stabilirsi nei vari luoghi della Palestina ove i loro interessi li chiamavano, senza però dimenticare i propri legami col luogo d'origine.


§ 229. Il nome Maria, in ebraico Mirjam, era assai frequente ai tempi di Gesù, mentre nell'antica storia ebraica appare portato sol­tanto dalla sorella di Mosè: il suo significato è del tutto incerto, no­nostante le moltissime interpretazioni (più d'una sessantina) che se ne sono proposte; del resto sembra che ai tempi di Gesù la pronun­zia ebraica originaria fosse stata mutata in quella di Marjam, con introduzione d'un nuovo significato. Della famiglia di Maria nulla dicono i vangeli canonici, mentre gli Apocrifi dicono anche troppe cose: solo incidentalmente è ricordata una sua “sorella” (Giovanni, 19, 25). D'altra parte ci vien detto che Elisabetta era parente di Maria (Luca, 1, 36); ma questa parentela, di cui non si può precisare il grado, era certamen­te il risultato di un precedente matrimonio fra estranei, perché Eli­sabetta era di stirpe sacerdotale (§ 226) e quindi apparteneva alla tribù di Levi, mentre Maria essendo del casato di David apparteneva alla tribù di Giuda: forse Elisabetta discendeva da padre Levita e da madre del casato di David.


§ 230. Ora, il sesto mese della gravidanza di Elisabetta (Luca, 1, 26), lo stesso angelo Gabriele che aveva preannunziato quel concepi­mento, fu da Dio inviato a Nazareth da Maria, ed entrato da lei disse: Salve, piena di grazia! il Signore (e') con te! Ma ella a quel discorso si turbò, e andava ragionando seco che genere di saluto fosse questo (Luca, 1, 28~29). Come nel precedente episodio di Zacharia, abbiamo anche qui l'apparizione inaspettata e il turbamento di chi la contempla; ma questa volta il turbamento è prodotto, non dalla visione in sè, bensì dalle grandiose parole udite ch'erano stimate sproporzionate alla destinataria. Era dunque il turbamento dello spi­rito ch'è umile ed ha coscienza della propria bassezza ( Luca, 1, 48): non era il turbamento che raggiungesse lo spavento, perché anche in presenza dell'apparizione Maria andava ragionando seco. Secondo l'apocrifo Protovangelo di Giacomo (§ 97) l'apparizione sarebbe avvenuta presso la fontana di Nazareth, mentre Maria si preparava ad attinger acqua; è infatti inclinazione degli Apocrifi far accadere i fatti in palese, ma la narrazione evange­lica mostra che il nuovo episodio accadde in segreto, perché l'an­gelo parlò a Maria entrato da lei, cioè in sua casa, ch'era certamente una delle umilissime del villaggio. E l'angelo le disse: Non temere, Maria! Trovasti infatti grazia presso iddio. Ed ecco concepirai in seno e partorirai un figlio, e lo chia­merai col nome di Gesu'. Costui sarò grande, e figlio dell'Altissimo sarà chiamato; e il Signore Iddio darò a lui il trono di David padre suo, e regnerà sul casato di Giacobbe per i secoli e il suo regno non avrò fine (Luca, 1, 30-33). Questo annunzio, sebbene solennissimo, è stato in qualche maniera preparato dal grandioso saluto dell'angelo stesso; chi è piena di grazia ed ha il Signore con sé trova la spiega­zione di queste sue prerogative nei fatti presentati dall'annunzio: il quale poi si riferisce direttamente al Messia, e usa concetti messianici dell'Antico Testamento (cfr. II Samuele, 7, 16; Salmo ebr. 89, 30.37; Isaia, 9, 6; Michea, 4, 7; Daniele, 7, 14; ecc;). Lo stesso nome da imporsi al nascituro è preannunziato, come il nome del figlio di Za­charia: infatti Gesù, in ebraico Jeshu (forma abbreviata di Jehoshu ossia “Giosuè”), significa Jahve' salvò, quindi l'ufficio del nascituro sarà quello di operare una salvezza da parte del Dio Jahvè. In con­clusione, l'angelo ha annunziato a Maria che diverrà madre del fu­turo Messia. L'annunziata non discute il messaggio, nè imita Zacharia nel chiedere una prova dimostrativa: prende benì a considerare la maniera meno onorifica per lei in cui poteva avvenire quella sua maternità, ch'era la maniera del concepimento naturale comune a tutti gli uomini, non escluso il figlio di Zacharia tuttora in gestazione. Contro questa ma­niera Maria ha una sua obiezione, ch'ella presenta come domanda di schiarimento: Disse però Maria all'angelo: Come sarò ciò, poiché non conosco uomo? E’ la frase eufemistica, usuale in ebraico, per alludere alla causa del concepimento avvenuto in una donna secondo le leggi na­turali. Per valutare il significato di questa frase in quanto pronunzia­ta da Maria bisogna aver presente ciò che Luca poco prima ha detto di lei, cioè che era una vergine fidanzata ad un uomo di nome Giuseppe (§ 228).
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