Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

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domenica 31 luglio 2011

1037 - Commento al Vangelo di oggi 31/7/2010 XVIII domenica t.o.

+ Dal Vangelo secondo Matteo (14,13-21)
In quel tempo, avendo udito della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Questa moltiplicazione dei pani ci mostra la cura di Gesù verso coloro che Lo cercano e Lo seguono. Le folle del Vangelo Lo cercavano e andavano da molte città per ascoltare la sua Parola, per ricevere una benedizione, ammalati che facevano sacrifici inimmaginabili per chiedere miracoli impossibili e di cui non esistevano medicine né possibilità di guarigioni.
Gesù ha compassione di tutti, anche dei peccatori che umilmente si rivolgono a Lui.
Il Vangelo ci dice che Gesù si allontanò su una barca da solo per un luogo deserto. Non andò molto lontano, cercava un luogo silenzioso per pregare e quando scese dalla barca trovò una grande folla che Lo aspettava, migliaia di persone che Lo avevano seguito dalla terraferma ed aspettava di incontrarlo.
Non appena scese dalla barca e vide tutta quella folla, “sentì compassione per loro e guarì i loro malati”. La compassione non è solo comprensione del male altrui, è anche partecipazione alle sofferenze di quanti soffrono, partecipazione che si misura con la spiritualità della persona. Gesù partecipava con un Amore infinito, come Uomo soffriva nel vedere migliaia di persone nella sofferenza e nella prova.
E guarì i loro malati”.
Qui sta la differenza tra Gesù e i potenti del mondo, illusi di essere superiori a Dio e di gestire le sorti del pianeta, quando non sanno se un secondo dopo avranno ancora la possibilità di aprire gli occhi. La differenza è l’Amore di Dio, l’infinita comprensione di Dio di capire tutte le sue creature.
Gesù guarisce tutti gli ammalati non appena sceso dalla barca per Amore, per compassione, vedeva nei loro cuori il grande desiderio di incontrarlo e la sete di Dio. Gesù non si risparmia, non si fa neanche pregare, li guarisce senza venirne richiesto, quella gente aveva già manifestato un grande desiderio di incontrarlo percorrendo diversi chilometri a piedi, si trovava lì con gli ammalati forse paralizzati.
La grande folla era accorsa per vedere Gesù senza portare il cibo per la sera, moltissime persone non avevano nulla da mangiare. I discepoli dicono a Gesù di farli andare via perché non hanno nulla da mangiare, Gesù risponde di dare loro da mangiare. Una risposta secca ed imprevedibile per i discepoli, chissà il loro sbigottimento. Ma subito obbediscono e raccolgono cinque pani e due pesci, un po’ poco per migliaia di persone.
Gesù ordinò di sedersi sull’erba, dopo avere benedetto i pani e i pesci e poi spezzato i pani, li diede ai discepoli per distribuirli a tutti. E qui si verifica il miracolo: più pani distribuivano, più ne aumentavano nelle ceste. Fino a saziare tutti e a rimanere molto pane.
È Gesù l’unico in grado di saziare la nostra fame, il suo Pane è l’Eucaristia che dona la Grazia e porta in noi guarigioni interiori e liberazioni da ogni presenza malefica. Mentre il mondo offre pani maleodoranti e velenosi, Gesù dona il Pane di vita, che sazia e mette quiete interiore, sana le ferite morali e trasmette la forza per amare chi ci odia, perdonare chi ci ha ferito, superare le prove dolorose.
Non possiamo fare a meno dell’Eucaristia, non è sufficiente la Messa domenicale, ogni giorno dobbiamo recarci davanti al Tabernacolo per adorare e ringraziare Colui che ci ama così come siamo, amarlo per tutte le volte che si è scelto il non-amore, rinnovare il nostro abbandono al suo Cuore buono.
La grande folla percorse diversi chilometri a piedi per incontrare Gesù, in una situazione di inaudita sofferenza, e tutti ricevettero la guarigione e il Pane che sazia le ansie turbolenti dell’anima. Con un piccolo sacrificio anche noi possiamo ottenere miracoli impossibili e guarigioni da ferite morali, compiendo una visita in Chiesa per incontrare Gesù o partecipando alla Messa feriale.
Se vogliamo miracoli e cerchiamo la guarigione, dobbiamo trovare Gesù in Chiesa.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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venerdì 29 luglio 2011

1036 - Commento al Vangelo di oggi 29/7/2010

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (11,19-27)
In quel tempo, molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Nel film “Gesù di Nazareth” di Zeffirelli, tantissime scene colpiscono fortemente, una riguarda la risurrezione da morte di Lazzaro. Quando ricordo questa scena del film, risento con forte emozione la voce dell’attore che interpreta Gesù e che grida: “Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11,43). Tre parole che significano tante cose, tutto ciò che è importante per un cristiano. Proprio il cristiano deve venire fuori dal tunnel tenebroso del peccato.
Basta riflettere qualche minuto per comprendere bene il significato della Parola di Gesù. La Parola ci dice di “venire fuori”, certo non dalla comunione con Gesù, anzi ci spinge ad avvicinarci. Da cosa bisogna venire fuori? Dall’idolatria dei molti idoli che costellano la vita? Dalla mentalità pagana che riesce a instaurarsi facilmente anche nei cristiani? Dall’affetto verso il peccato?
Nessuno si scoraggi se non riesce subito a “venire fuori”da una grave situazione di peccato, se non trova il tempo per la Confessione, se non è fedele nell’osservanza dei valori cristiani. Nessuno pensi che non c’è più nulla da fare o che i molti peccati non otterranno misericordia. Dio è Amore, vuole salvare tutti, ma è necessario pentirsi e, appunto, “venire fuori”, lasciare tutto ciò che si oppone a Gesù.
È veramente importante fare una profonda professione di Fede.
Una delle più belle professioni di Fede del Vangelo, è quella di Marta, sorella di Lazzaro e Maria, alcuni minuti prima della risurrezione del fratello. Lazzaro era morto da quattro giorni, il suo corpo era già in uno stato di decomposizione, emanava fetore, nessuno avrebbe scommesso sulla sua risurrezione. Gesù li raggiunge dopo quattro giorni dalla morte e pone a Marta una domanda, dopo avere confermato quello che avrebbe fatto: “Tuo fratello risorgerà… Credi questo?”.
La risposta di Marta è da incorniciare: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, Colui che viene nel mondo”.
Eppure Marta viene ricordata soprattutto per la sua attività evangelica, un attivismo casalingo pieno di carità. Si preoccupava troppo dell’andamento della casa, dei lavori dei domestici che lavoravano, dei pranzi da preparare ricevendo un ospite speciale: il Maestro Divino. Proprio in questa circostanza Gesù la richiamò dolcemente per la sua premura preoccupata di fare tutto bene, trascurando il Signore che stava a casa sua: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10, 41,42).
La sorella Maria dopo una vita nel peccato, aveva compreso l’importanza di sostare ai piedi di Gesù per ascoltarlo. La peccatrice Maddalena era diventata docile e fortemente spirituale, era anche lei venuta fuori da una condizione di peccato umiliante. La Valtorta scrive che Lazzaro e Marta versarono fiumi di lacrime quando la sorella viveva nell’immoralità.
La festa liturgica di Santa Marta è l’occasione per misurare le forze fisiche e non fare più del giusto, è importante ogni giorno trovare il tempo per rimanere ai piedi di Gesù in atteggiamento di ascolto. Il troppo lavoro sfianca e non facilita la preghiera, anzi, la opprime e fa provare nausea. Il troppo attivismo soffoca la preghiera. Fermatevi ogni giorno e meditate. Dobbiamo concentrare l’attivismo caritatevole di Marta e la contemplazione di Maria Maddalena.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.

Proposito
Mediterò sull’insegnamento di Gesù e aderirò con serenità e gioia allo stato di vita al quale il Signore mi ha chiamato.


Pensiero
La virtù praticata nelle contraddizioni è più potente e più perfetta, e quindi è più gradita a Dio. (Santa Giovanna di Chantal)
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giovedì 28 luglio 2011

1035 - Commento al Vangelo di oggi 28/7/2010

Dal Vangelo secondo Matteo (13,47-53)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Terminate queste parabole, Gesù partì di là.

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
È la consolazione dei buoni leggere che alla fine ci sarà una Giustizia infallibile che riconoscerà le opere del giusto e le malizie del cattivo. Anche se in noi non c’è e non ci deve essere alcun atteggiamento avverso verso chi non ci ha amato e non ci ha rispettato.
La zizzania cresce insieme al buon grano nel campo del Signore. Nella parabola del Regno e della fine del mondo si parla della rete in cui convergeranno inevitabilmente pesci buoni e pesci cattivi, ma saranno proprio quelli cattivi a non trovare posto. Si tratterà di una vera selezione finale, ognuno raccoglierà quanto avrà seminato nella sua vita.
Se oggi i buoni soffrono nel vedere l’ipocrisia dei cattivi, di tanti che si celano dietro una maschera, ingannando e colpendo subdolamente, non sarà più così quando il Signore separerà i buoni dai cattivi.
Senza avere alcuna avversione verso i cattivi, certamente ai buoni sarà riconosciuta in modo infallibile, la bontà della loro vita, le buone opere compiute, le sofferenze sopportate con amore, i sacrifici compiuti. Ma già adesso tutto è scritto nel libro della vita.
Non abbiamo bisogno di aspettare la fine per ricevere consolazione dal Signore, già ora Gesù e la Madonna ci amano nonostante le nostre miserie, ma con un vero desiderio di vivere da cristiani. Dobbiamo alimentare ogni giorno il desiderio di diventare buoni cristiani, persone autentiche, sane moralmente, anime virtuose.
Questo è possibile con la Grazia di Dio, la Confessione frequente, la preghiera costante.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.

Proposito
Mediterò sull’insegnamento di Gesù e aderirò con serenità e gioia allo stato di vita al quale il Signore mi ha chiamato.


Pensiero
La virtù praticata nelle contraddizioni è più potente e più perfetta, e quindi è più gradita a Dio. (Santa Giovanna di Chantal)
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mercoledì 27 luglio 2011

1034 - Commento al Vangelo di oggi 27/7/2010

+ Dal Vangelo secondo Matteo (13,44-46)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Ogni essere umano insegue una ricchezza, chi spirituale, altri materiale, altri ancora in tanti idoli. La ricchezza spirituale non è necessariamente quella cristiana, nel buddismo e in molte sue filosofie si rincorre il raggiungimento dell’illuminazione, che equivale alla loro ricchezza.
Molti hanno un sogno nella vita, buono o cattivo è sempre qualcosa che vogliono raggiungere. La maggior parte delle persone non ha un sogno, non riesce a pensare oltre l’attimo che vive, scopre di continuo il proprio futuro e non reagisce.
Moltissimi invece cercano la ricchezza materiale, la adorano e la spasimano più del proprio coniuge, fantasticano immaginando di possederla e cadono nella frustrazione continua. Questa ricchezza è quella più desiderata, quella che permette ogni sfizio, che fa comprare palazzi e macchine. Si consideri che è una ricchezza che fa aumentare la fame di possedere ancora di più, non è mai sufficiente quello che si possiede. E si soffre terribilmente.
Il cuore dell’uomo diventa affamato di beni materiali quando è lontano da Gesù.
Si conoscono storie incredibili e grottesche di molte persone che hanno vinto o avuto in eredità molti beni materiali e nel giro di alcuni anni hanno dilapidato tutto, rimanendo pure con molti debiti da saldare. Magari quando vinceranno nuovamente…
Sono pochissimi quelli che cercano invece il tesoro della vita, che è Gesù. Per possederlo è indispensabile vendere o perdere tutto ciò che si oppone a Lui. Ci sono i modernisti che scambiano Gesù con l’uomo, e trasformano l’uomo in dio. Affermano che il tesoro è l’uomo, ma Gesù afferma che per possedere il tesoro e la perla bisogna liberarsi di ogni vizio che impedisce l’incontro con Gesù.
Affermare che la perla corrisponde alla propria identità, significa scambiare lucciole per lanterne.
Non dobbiamo dimenticare un aspetto molto importante per trovare il tesoro e la perla: bisogna cercare, avere la determinazione di trovare i beni più importanti, abbandonando lungo il cammino i pesi dei peccati, i dolori dei vizi, la confusione dell’agitazione.
Le due parabole oggi ci dicono che il contadino e il mercante hanno deciso di vendere ogni cosa per indirizzare tutto sul tesoro che hanno scoperto. Il contadino addirittura compra quel campo dove lavorava per entrare in possesso del tesoro. Investe tutti i suoi beni, rischia tutto per trovare il Tutto.
Nella seconda parabola è un commerciante di preziosi a scoprire in un bazar una perla di raro valore. Allo stesso modo del contadino, anche lui decide di puntare tutto su quella perla di valore, e per farlo vende tutte le altre perle, certamente di valore minimo.
Chi ha la forza di liberarsi o vendere i vizi e i peccati che si porta addosso per ricevere il Tutto?
Se siamo interessati veramente a Gesù, cominciamo a vendere quanto si oppone a Lui e ai Comandamenti! Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.

Proposito
Mediterò sull’insegnamento di Gesù e aderirò con serenità e gioia allo stato di vita al quale il Signore mi ha chiamato.


Pensiero
La virtù praticata nelle contraddizioni è più potente e più perfetta, e quindi è più gradita a Dio. (Santa Giovanna di Chantal)
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martedì 26 luglio 2011

1033 - Commento al Vangelo di oggi 26/7/2010

Per ragioni non dipendenti dalla mia volontà il commento odierno viene pubblicato in ritardo come si evinve anche dalle prime righe dello stesso.
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+ Dal Vangelo secondo Matteo (13,36-43)
In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».


Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Un problema tecnico ha ritardato notevolmente l'invio di questo commento. Era già stato scritto ma se qualcosa non è a posto, non c'è il corretto funzionamento della linea. Pazienza e facciamo più di prima.
Oggi è la festa liturgica dei nonni di Gesù, i genitori della Madonna, i Santi Gioacchino e Anna. Ricordati nel libro dei Santi per la loro vita umile e piena di amore verso Dio. Due genitori che indico all’antica, nella forma più bella del termine. Perché ci sono genitori moderni che hanno rinunciato all’educazione dei loro figli, concedendo ogni loro richiesta. Figli viziati in molti casi, incapaci di capire il peso del denaro, che si suda per averlo e non si può sperperare nelle droghe e nell’alcool, o in abiti firmati e superflui.
Ma non voglio sindacare sulle spese e su tutto il denaro che i genitori concedono ai figli per farli stare buoni, nel senso di accontentarli per non sentirli lamentare. È una grande debolezza della società, così si è perduta l’occasione di formare correttamente molti giovani che sono vasi da riempire. Se non si versa l’amore e l’educazione religiosa, penseranno loro a versare altro.
I Santi Gioacchino e Anna ci ricordano che si può tenere forte il legame della coppia e salvare il matrimonio, evitando la separazione e le consolazione extraconiugali. Ci ricordano che la coppia di sposi raccoglie quello che semina, amore o immoralità.
Certo, senza pensare ai Santi Gioacchino e Anna, due vecchiette si sono sposate giorni fa negli Stati Uniti e sono moglie e moglie. Al telegiornale le hanno mostrate… ed è vero… l’amore è cieco… L’amore passionale ottenebra la mente e fa perseguire scelte ridicole.
Considerando queste vecchiette, ci sono senz’altro cattolici che condividono, giustificando i loro sentimenti. Questo buonismo è estraneo al Vangelo e a Dio, nessuno condanna le due donne per le loro scelte, ma disapprovare un comportamento non cristiano è il minimo. Chi condivide le nozze delle due vecchiette, possiede inevitabilmente una Fede debole, lontana da Gesù, in quanto se fosse vicina a Gesù, darebbe la stessa valutazione di Gesù.
Per esempio, lo stesso avviene quando si devono valutare fatti di cronaca. In questi giorni mi hanno colpito alcuni articoli sugli errori di magistrati abbastanza impegnati nel ricercare reati commessi da personaggi famosi. Se lo stesso reato viene commesso da Pinco Pallino probabilmente non interessa. Dalle indagini sembra così.
In questi giorni invierò alcuni articoli che dimostrano come spesso si cerca di arrivare a scoprire un reato, mettendo in carcere preventivo persone senza però avere uno straccio di prova. Sono episodi avvenuti diversi anni fa e non riguardano politici. Dobbiamo leggerli per capire che un reato si dimostra con le prove e non con i sospetti. È inammissibile chiudere in carcere qualsiasi persona per poi cercare di scoprire i reati commessi. Non si può distruggere una persona, la sua famiglia, il loro futuro, come se nulla fosse.
I buoni sono visitati da Dio e distingono chiaramente il bene e il male.
Altro discorso è la manovra degli avvocati. Ci sono processi con testimonianze e prove escogitate dagli avvocati per l’assoluzione dei clienti accusati. Uno dei casi più eclatanti è quello del politico francese Dominique Strauss-Kahn. Oltre le accuse della cameriera, anche una giornalista francese lo ha denunciato per tentata violenza sessuale. Diverse volte ho scritto che non possiamo assolutamente accusare qualcuno preventivamente, solo perché lo pensiamo o ci sentiamo spinti verso una direzione.
Nel caso di Sara Scazzi ad Avetrana, ho provato diverse volte disgusto quando ascoltavo due giornalisti schierati ossessivamente e certamente con qualche problema patologico, a favore di una parte. Nonostante le prove fossero opposte. Nonostante il ritrovamento del cadavere. Erano pienamente in contraddizione eppure continuavano con affanno e forzando ogni prova, a difendere quella persona che loro mente disarmonica risultava innocente.
La persona difesa da loro, rimane innocente fino al terzo grado di giudizio, non c’è alcuna ragione da parte di nessuno di stabilire adesso se è colpevole o innocente.
Dio sa bene che se arriviamo a conoscere il vero assassino o assassini di Sara Scazzi (per fare un esempio), non diventiamo migliori, la nostra vita non cambia in meglio. Invece siamo chiamati a pregare per tutti. È vero però, che maggiore vicinanza a Dio, più si possiede l’intuito per capire la verità. Questo riguarda l’intera esistenza e non solo il caso di Sara.
Lo stesso avviene nella politica, una persona di alta spiritualità (sposata, giovane o anziana) capisce a pelle la verità delle strategie politiche. E non si lascia mai abbindolare dalle parole di questo o quel politico. Perché lo Spirito Santo fa vedere e capire ciò che non appare.
La persona veramente convertita, intuisce a volo il bene o il male che deriverà da un voto, ha il discernimento per vedere molto bene la verità. E non si lascia mai ingannare dalle apparenze o dalle parole populistiche.
Come ho scritto, il mio partito è solo il Vangelo e scelgo il politico che rispetta la Chiesa e difende i principi non negoziabili indicati da Papa Benedetto XVI in un incontro con i politici il 30 marzo 2006: “Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l’interesse principale dei suoi interventi nella vita pubblica si centra sulla protezione e sulla promozione della dignità della persona e per questo presta particolare attenzione ai principi che non sono negoziabili.
Tra questi, oggi emergono chiaramente i seguenti:
1) protezione della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla morte naturale;
2) riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, e la sua difesa di fronte ai tentativi di far sì che sia giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che in realtà la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo ruolo sociale insostituibile;
3) la protezione del diritto dei genitori ad educare i loro figli”.
Nel messaggio di ieri del 25, la Madonna ci invita ad una spiritualità interiore: “Questo tempo sia per voi tempo di preghiera e di silenzio”. La preghiera ci riempie di Spirito Santo, il silenzio non ci fa disperdere quello che raccogliamo nella preghiera.
Il silenzio ci rende spirituali.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.


Proposito
Mediterò sull’insegnamento di Gesù e aderirò con serenità e gioia allo stato di vita al quale il Signore mi ha chiamato.


Pensiero
La virtù praticata nelle contraddizioni è più potente e più perfetta, e quindi è più gradita a Dio. (Santa Giovanna di Chantal)
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lunedì 25 luglio 2011

1032 - Messaggio di Medjugorje del 25/7/2011

Cari figli, questo tempo sia per voi tempo di preghiera e di silenzio.
Riposate il vostro corpo e il vostro spirito, che siano nell’amore di Dio.
Permettetemi figlioli di guidarvi, aprite i vostri cuori allo Spirito Santo perchè tutto il bene che è in voi fiorisca e fruttifichi il centuplo.
Iniziate e terminate la giornata con la preghiera del cuore.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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1031 - Commento al Vangelo di oggi 25/7/2010

+ Dal Vangelo secondo Matteo (20,20-28)
In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Oggi è la festa liturgica di San Giacomo Apostolo, primo martire del Vangelo in Spagna, uno dei primi seguaci di Gesù, fratello di San Giovanni Evangelista.
Come ci racconta oggi la Parola, sua madre si interessò dei due figli e a modo suo, li volle raccomandare presso Gesù, chiedendo di dare i posti migliori accanto a Lui. Una vera raccomandazione, diversa certamente da quelle che si chiedono e fanno oggi.
Questa donna non cercava denaro, neanche poteva immaginare il pesante significato di rimanere accanto al Signore, in previsione del Calvario che Lo attendeva e che avrebbero condiviso anche i suoi discepoli. Considerava Gesù come Messia, l’atteso di Israele, anche i suoi figli avrebbero goduto della stessa gloria.
È una richiesta molto umana, fatta da una madre che si preoccupa dei suoi figli.
È anche vero che la donna e i due figli, non avevano ancora compreso la missione salvifica di Gesù. Posso comprendere la donna, ma Giacomo e Giovanni erano insieme a Gesù da quasi tre anni, avevano già sentito dal Signore la Croce scelta per riscattare il popolo dal peccato. E insieme a Lui anche i suoi discepoli avrebbero sofferto molto.
Le idee erano molto confuse, la donna chiede posti influenti per i figli, vedendo Gesù come un personaggio politico. Cerca potere nel mondo per i figli. Gesù risponde con chiarezza e cambia radicalmente la prospettiva dei due Apostoli: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?”.
Quelli chiedono ingenuamente maggiore potere, Gesù offre invece il calice.
Oggi nella Chiesa non è più così, chi chiede potere accetta anche molti compromessi.
Il calice che indica Gesù e che Lui berrà pienamente, indica dolore e sofferenza, significa fare parte del Regno del Padre e bisogna fare un percorso molto impegnativo per entrarvi.
Non si tratta solamente di bere al calice, bisogna bere al calice di Gesù Cristo. Condividere le sue stesse sofferenze. Il primo posto che cercano, è visto da un’ottica puramente umana, solo dopo la Risurrezione di Gesù i due Apostoli comprenderanno il valore di stare accanto a Gesù.
Nella Chiesa di oggi molti cercano potere e visibilità, avviene ai Sacerdoti e anche ai laici. C’è un potere arrogante e ottenuto attraverso compromessi e c’è un potere che indica un servizio, una disponibilità a lavorare per il bene delle anime. Il potere e la visibilità non indica sempre arroganza, dipende dalla persona e dalla sua vicinanza a Gesù. Chi usa il potere per servire è certamente un vero discepolo del Cristo. Servire con Cristo è regnare con Lui.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.

Proposito
Mediterò sull’insegnamento di Gesù e aderirò con serenità e gioia allo stato di vita al quale il Signore mi ha chiamato.


Pensiero
La virtù praticata nelle contraddizioni è più potente e più perfetta, e quindi è più gradita a Dio. (Santa Giovanna di Chantal)
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domenica 24 luglio 2011

1030 - Vita di Gesù (paragrafi 166 - 171)

§ 166. Che l'autore del IV vangelo sia un Giudeo d'origine, appare anche dal suo stile e dal suo modo d'esporre; tanto che alcuni mo­derni hanno supposto, esagerando, ch'egli abbia scritto originaria­mente in aramaico. In realtà egli spesso impiega, oltre ad espressioni semitiche, come godere di gaudio (3, 29), figlio della perdizione (17, 12), ecc., anche voci semitiche, ma che regolarmente traduce in greco per farsi capire dai suoi lettori, come Rabbì e Rabbonì (1, 38; 20, 16), Messia (1, 41), Kefa (1, 42), Siloam (9, 7), ecc. Anche il pe­riodare è grecamente povero, elementare, alieno da ogni costruzione complessa e subordinata; ma, al contrario, vi si osserva una spiccata tendenza a quel parallelismo di concetti che è base della forma poe­tica ebraica. Ad esempio: Non è servo maggiore del signore di lui, nè messo maggiore di chi inviò lui... Chi accoglie alcuno, se io lo mando, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie chi inviò me (13, 16... 20) La donna, quando partorisca, ha tristezza, perché venne l'ora di lei: ma quando partorì il bambino, piu' non rammenta l'angustia per il gaudio che è nato un uomo nel mondo (16, 21) Ia forma paratattica e slegata rende spesso difficile di rintracciare l'occulta connessione dei pensieri; ma, in compenso, il suo procedere sentenzioso e solenne infonde a tutto il discorso un'arcana maestà ieratica, che colpisce il lettore fin dal principio dello scritto: In principio era il Logos, e il Logos era presso Iddio ed era Dio il Logos. Costui era in principio presso Iddio: tutte le cose per mezzo di lui furono, e senza lui non fu neppure una cosa ch'e stata. In lui era Vita, e la Vita era la Luce degli uomini: e la Luce nella Tenebra apparve, e la Tenebra non la comprese... Era la Luce vera, la quale illumina ogni uomo venendo (ella) nel mondo. Nel mondo era, e il mondo per lui fu, e il mondo non lo conobbe... E il Logos carne divenne, e s'attendò fra noi (1, 1... 14).


§ 167. Ma appunto questo solennissimo inizio è servito da inizio a un lungo elenco di difficoltà. Come poteva l'incolto pescatore di Bethsaida elevarsi a concetti cosi sublimi? Come poteva, egli solo fra tutti gli scrittori del Nuovo Testamento, spingersi a proclamare l'identità dell'uomo Gesù non solo con il Messia ebraico ma perfino con l'eterno Logos divino? In qual maniera passò egli, dalle astuzie della pesca, a speculare sulle finezze concettuali di quel Logos di cui tanto avevano ragionato l'antica filosofia greca e la contemporanea alessandrina? Come mai il Gesù da lui tratteggiato è cosi diverso da quello dei Sinottici, e cosi trascendente, cosi “divino”? Don­de provengono quei discorsi di Gesù, così ampi e così ricchi di astra­zioni e allegorie? Donde quei dialoghi in cui gl'interlocutori di Gesù fanno la figura di pulcini che si sentano sollevati tra le nuvole dall'artiglio dell'aquila, e sbalorditi rispondono con goffaggini, come fanno Nicodemo e la Samaritana, e spesso gli stessi discepoli? Que­ste e molte altre considerazioni sono fatte, per poi concluderne che tutto lo scritto non può essere opera del pescatore di Bethsaida: esso quindi riassumerà le mistiche speculazioni di qualche solitario filo­sofo che ha religiosamente idealizzato il Gesù storico, non senza impiegare concetti che provenivano dal platonizzante giudaismo ales­sandrino, o dal sincretismo ellenistico, o dalle religioni misteriche, o anche dal Mandeismo. Che questa attribuzione ad uno sconosciuto sia in contrasto con le più antiche testimonianze storiche, è cosa più che evidente; ma ciò non disturba i suoi sostenitori, i quali non attribuiscono molto peso a quelle testimonianze, salvo che esse sembrino deporre in loro favore, come nel caso del presunto martirio di Giovanni (§ 156) giacché in casi siffatti quegli abituali scettici dei documenti si precipitano su testi miserevolissimi millantandone l'mportanza. Ad ogni modo si può domandare perché mai nelle condizioni del soli­tario filosofo sconosciuto non possa essersi ritrovato proprio Giovan­ni di Bethsaida. Egli era pescatore, è vero: ma da accenni dei vangeli sembra che suo padre Zebedeo fosse un agiato possessore di barche, e quindi poteva aver fatto impartire a suo figlio una certa istruzione meto­dica. Checché sia di ciò, era perfettamente nelle abitudini palesti­nesi coltivare l'erudizione e nello stesso tempo praticare un mestie­re. S. Paolo lavorava con le sue mani; e prima e dopo di lui lavorarono il celebre Hillel che guadagnava solo mezzo “denaro” al giorno, e Rabbi Aqiba ch'era spaccalegna, e Rabbi Joshua ch'era carbonaio, e Rabbi Meir ch'era scrivano, e Rabbi Johanan ch'era calzolaio, e tanti altri che formarono tra i dottori talmudici la mag­gioranza, mentre la minoranza era formata da uomini facoltosi che non avevano bisogno di esercitare un mestiere. Se l'ardente Giovanni, vero figlio del tuono (Marco, 3, 17), si rnise ancor giovanissimo alla sequela dapprima di Giovanni il Battista e poi di Gesù, poté restar privo di quest'ultimo maestro nell'età di poco più che vent'anni. Allora egli, fedele alle usanze della sua re­gione, si concentrò nello studio della Legge, ma non già di quella investigata nelle contemporanee scuole rabbiniche, bensì di quella nuova Legge di perfezione e di amore ch'era stata proclamata dal suo ultimo maestro, e i cui ricordi - anche senza ch'egli scrivesse nulla - si conservavano nettissimi nel suo spirito. Nell'archivio della memoria, ch'era l'unico archivio che funzionasse anche nelle scuole rabbiniche d'allora (§§ 106, 150), Giovanni poté svolgere durante lunghissimi anni un amoroso lavorio attorno a quei tesori depositativi dallo scomparso maestro; il quale, come aveva avuto per il giovanissimo discepolo una predilezione particolare, così' doveva avergli fatto confidenze e comunicazioni particolari. Da questo lavorìo di redazione mentale e di pratica sistemazione sorse la “catechesi” particolare a Giovanni, diversa ma non contraria a quella di Pietro e dei Sinottici, parzialmente suppletiva rispetto ad essa, parzialmente esplicativa, e soprattutto meglio rispondente alle nuove condizioni esterne del messaggio cristiano.


§ 168. Anche la catechesi di Giovanni, infatti, già elaborata mentalmente prima di essere scritta, deve aver vissuto vari decenni di vita soltanto orale. Mentre il discepolo meditava sui ricordi del mae­stro, li comunicava anche ai fedeli affidati alle sue cure, dapprima in Palestina, e poi in Siria e in Asia Minore. Ora, in questi nuovi campi d'azione Giovanni, inoltrato ormai negli anni e sempre più autorevole per la graduale scomparsa degli altri Apostoli, incontrava ostacoli di nuovo genere; non si opponevano più le vecchie conventicole di cristiani giudaizzanti che tanto ave­vano molestato Paolo, bensi' erano le varie correnti di quella gnosi, in gran parte precristiana, che sul declinare del secolo I comincia­vano ad infiltrarsi nell'alveolo del cristianesimo. Contro tali correnti bisognava far argine; e Giovanni, dai forzieri dei suoi ricordi, estrae­va sempre nuovi e più adatti materiali per rendere particolarmente efficace la sua propria catechesi contro la nuova minaccia. Un certo giorno - come possiamo già astrattamente supporre, e come effettivamente attestano il Frammento Muratoriano e Clemente Alessandrino (§§ 159,160) - i discepoli del vegliardo lo forzano amorevolmente per ottenere in iscritto la parte essenziale di quella sua catechesi. Giovanni la detta; ma in fondo a tutto lo scritto sarà apposta, a guisa di sigillo, una dichiarazione collettiva d'autenticità rilasciata unitamente da chi aveva concesso e da chi aveva richiesto lo scritto Costui e' il discepolo che testimonia circa queste cose e scrisse que­ste cose: e (noi) sappiamo che vera e' la testimonianza di lui (21, 24).


§ 169. Questa preistoria spiega l'indole speciale dello scritto di Giovanni, già chiamato il vangelo spirituale per eccellenza. In tutte le maniere esso fa risaltare la trascendenza e la divinità del Cristo Gesù, perché questo era il principale suo scopo (20, 31) contro la gnosi di provenienza pagana: di qui il suo particolare carattere. Ma la medesima tesi, sviluppata più parcamente o anche solo appe­na abbozzata, si ritrova già nei Sinottici, e specialmente in Marco brevissimo fra tutti, com'è riconosciuto da parecchio tempo da cri­tici radicalissimi (i quali perciò scompongono Marco in vari strati, ripudiandone le parti “soprannaturali” e “dogmatiche”). Giovan­ni avrà enormemente accresciuto, ma non ha innovato; fra le mol­tissime cose che si sarebbero potute dire di Gesù (cfr. 21, 25), egli studiosamente trascelse taluni particolari fino al suo tempo non detti ma proprio allora opportunissimi a dirsi, senza però inventarli, e li unì' con altre notizie già comuni e diffuse. Ne risultò un Gesù più illuminato di luce divina, ma fu in conseguenza della scelta di Gio­vanni: come il Gesù dei Sinottici è figura più umana, ma egual­mente in conseguenza della scelta dei Sinottici. Ciascun biografo ha delineato il biografato dal punto di vista da cui lo ha contemplato: e lo ha delineato tutto, sebbene non totalmente, perché nessuno di essi ha preteso riprodurre tutti i singoli tratti della sua figura. Se i discorsi e i dialoghi di Gesù nel IV vangelo sono straordinariamente elevati, non per questo sono meno storici di quelli dei Sinot­tici. Sarebbe antistorico supporre che Gesù parlasse in un medesimo tono sempre e in ogni occasione, sia quando si rivolgeva ai monta­nari della Galilea con cui lo fanno parlare di solito i Sinottici, sia quando discuteva con i sottili casuisti di Gerusalemme, con cui per lo più lo fa pariare Giovanni. Prescindendo poi dall'elevatezza dei concetti, il metodo seguito nelle discussioni con gli Scribi e i Fari­sei mostra numerose analogie con i metodi seguiti nelle dispute rab­biniche di quei tempi: dotti Israeliti moderni, particolarmente ver­sati nella conoscenza del Talmud, hanno sagacemente rilevato siffat­te analogie, considerandole come una collettiva conferma del carat­tere storico dei discorsi del IV vangelo. Anche rivolgendosi ai suoi discepoli, Gesù deve aver parlato in toni differenti: più semplice­mente ai primi tempi in cui lo seguivano, più complessamente in se­guito, per sollevarsi fino ad altezze non mai ancora raggiunte pronunziando il discorso di commiato all'ultima cena. Inoltre, fra i discepoli stessi egli dovette avere i suoi intimi e prediletti, a cui doveva riservare confidenze che non comunicava agli altri (cfr. 13, 21-28): intimo fra questi intimi era, come già sappiamo, Giovanni, il quale perciò, anche dal semplice punto di vista storico, fu un testimonio superiore ad ogni altro.


§ 170. E questo singolare testimonio comincia il suo scritto affer­mando che Gesù è il divino Logos fattosi uomo. Ma anche in que­sta affermazione egli mostra il suo senso storico, sebbene applicato ad una visione teologica dei fatti: quel Logos che è dall'eternità presso Dio, è diventato uomo pochi anni fa, e contemplammo la gloria di lui, gloria come di unigenito da Padre (1, 14). Giammai però il ve­race testimonio, scrupoloso nella sua storicità, afferma che Gesù si sia chiamato da se stesso Logos: egli solo, Giovanni, lo chiama con questo nome, sia nel prologo al vangelo, sia in quella sua lettera che si può ben considerare come uno scritto d'accompagnamento al van­gelo (I Giovanni, 1,1), sia nell'Apocalisse (19, 13). In tutto il Nuovo Testamento il termine personale Logos occorre in questi tre soli luoghi. Se ne può concludere che il termine non era usato nè dalla catechesi che metteva capo a Pietro, nè da quella che metteva capo a Paolo: al contrario, nella catechesi orale di Giovanni il termine doveva essere abituale, giacché egli l'impiega fin dalle prime righe senza spiegazione alcuna, certamente supponendolo già noto ai suoi lettori. Il termine, come nuda voce, era già noto alla filosofia greca dai tem­pi di Eraclito in poi: ma al medesimo termine corrisposero lungo i secoli concetti differenti, o presso i Sofisti o presso i Socratici (logi­ca) o presso gli Stoici. Gran parte fece al Logos nelle sue speculazio­ni anche il giudeo alessandrino Filone, ma il suo concetto del Logos è differente da quello dei Greci, e si avvicina piuttosto a quello del­la “Sapienza” dell'Antico Testamento: a quest'ultimo si avvicina anche il concetto dei termini Memra e Dibbura, col senso di parola (di Dio), che si trovano frequentissimi nei Targumin giudaici ma non nel Talmud. In Samaria, poi, Giovanni fu in relazione col più an­tico gnostico cristiano a noi noto, Simone Mago (Atti, 8, 9 segg.), il quale nel suo sistema - qualora se ne accetti l'esposizione fatta da Ippolito (Refut., vI, 7 segg.) - aveva incluso, invece del Logos, il Logismos, che faceva parte della terza coppia di eoni: ed emanata dal Supremo Principio.


§ 171. Fino a pochi anni addietro si affermava fiduciosamente che Giovanni avesse desunto il concetto del suo Logos dall'una o l'altra delle teorie suaccennate, ma più comunemente da Filone. In realtà il Logos di Giovanni, ipostasi essenzialmente divina ed increata, è tutt'altro dal Logos di Filone, che appare come un essere fluttuante fra la personalità e l'attributo divino, e fungente quasi da tratto in­termedio fra Dio immateriale e il mondo corporeo. Ad ogni modo sarebbe oramai inutile insistere su ciò, poiché la differenza fra i due concetti di Logos è stata riconosciuta recentemente dagli studiosi più radicali: lo stesso Loisy, che nella sua prima edizione del com­mento al rv vangelo (1903, pagg. 121-122) aveva sostenuto non po­tersi negare l'influenza parziale delle idee liloniane su Giovanni, nella seconda edizione (1921, pag. 88) ha giudicato improbabile una di­pendenza letteraria da Filone ritenendo che il Logos di Giovanni faccia piuttosto seguito alle personificazioni della Sapienza nell'An­tico Testamento. E’ ciò che, già da secoli, avevano detto i vecchi Scolastici. Anche della dipendenza del Logos di Giovanni dal Mandeismo, non mette conto di parlare: questa teoria è stata un fuoco di paglia che qualche anno fa divampò per breve tempo, ma di cui oggi restano soltanto fredde ceneri (§ 214). E’ dunque da concludersi che il concetto del Logos di Giovanni è proprio esclusivamente a lui, e non trova vere corrispondenze in con­cetti anteriori. Quanto alla voce con cui Giovanni espresse questo suo concetto, sembra che egli la impiegasse perché, trovandola adatta al concetto e divulgata già nel mondo greco-romano, volle avvicinarsi almeno per la strada della terminologia a quel mondo, e cosi gua­dagnarlo al Logos Gesù. Egli quindi diventò greco con i Greci, come egualmente Paolo diventava tutto con tutti, con Giudei e con non Giudei, per guadagnare tutti alla buona novella (I Cor., 9, 19-23). Si narra che Cristoforo Colombo, allorché nelle sue navigazioni era colto da qualche tempesta, usasse collocarsi sulla prora della nave, e là ritto recitasse al cospetto del procelloso mare l'inizio del vangelo di Giovanni: In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum... omnia per ipsum facta sunt... Sugli elementi perturbatori del creato risonava il preconio del Logos creatore: era l'esploratore del mondo che commentava a suo modo l'esploratore di Dio.
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1029 - Commento al Vangelo di oggi 24/7/2010 XVII domenica t.o.

+ Dal Vangelo secondo Matteo (13,44-52)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Regno dei Cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il Regno dei Cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il Regno dei Cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del Regno dei Cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Un’indagine allargata da parte della stampa ha evidenziato che c’è la diffusione in internet da parte dei giovani di pubblicare foto e video in atteggiamenti erotici. Il tipo di immagini non viene specificato, da quanto scrivono si tratta di immagini esplicite di sesso.
Sono effettuate a scuola e nelle loro camere a casa, mentre i genitori considerano le figlie integerrime e impeccabili. Non è possibile discuterne ampiamente qui, è evidente che questo comportamento è un’esibizione di sesso, un prodotto della perdita del pudore o moralità, la piena manifestazione del vuoto spirituale della stragrande maggioranza dei giovani di oggi.
Molte ragazze vendono i loro nudi per la ricarica del cellulare o per il denaro.
Soprattutto, c’è il desiderio di stupire i coetanei, di impaurire gli adulti, di mostrare la loro capacità di arrivare all’indipendenza dalle regole morali e una liberazione dagli schemi educativi.
In questo caso considero opportuno il commento del garante della Privacy Francesco Pizzetti: «Questi ragazzi non conoscono i rischi rilevanti di un comportamento del genere. Devono essere consapevoli che un domani questi video potrebbero essere conosciuti dal datore di lavoro, dal padre del ragazzo con cui vorrebbero fidanzarsi o il fidanzato stesso. Dalla rete è difficile se non impossibile eliminare un documento. Ma ci sono anche problemi di carattere giuridico perché la pubblicazione sul web del video della compagna di classe può integrare reati di pornografia, di corruzione di minore, etc, ai quali si va a rispondere in Procura».
C’è chi sostiene che questi giovani non arrivano alla pratica attiva del sesso, non mostrano però i metodi utilizzati per conoscere questi dati. Invece si leggono interviste a molti ragazzi davanti le scuole che affermano la liberalizzazione del sesso, anche tra dodicenni, senza alcuna necessità di stare insieme. Proprio come le bestie si accoppiano secondo il desiderio del momento, cambiando ogni giorno partner.
Quindi, non si tratta di esibizione del sesso, è una vera depravazione.
Il Regno dei Cieli per la stragrande maggioranza dei giovani non è simile a un tesoro nascosto nel campo; non è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; non è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Per i giovani il loro Regno dei Cieli è soddisfare ogni forma di piacere, esaltare le tentazioni, annullare i Comandamenti di Dio.
Chiediamoci però come mai questi giovani pensano più al sesso e alle droghe che a Gesù. Evidentemente sono giovani senza alcuna formazione religiosa in famiglia, i genitori non sono stati di buon esempio, hanno sempre pensato ai divertimenti e all’apparire piuttosto che all’essere interiormente persone sane.
Molti genitori quando si convertono e scoprono per Grazia che l’unica salvezza è Gesù Cristo, si ritrovano figli senza Dio e impregnati di ogni vizio perverso. Principalmente non sono i giovani i veri colpevoli. I genitori hanno la possibilità di recuperare, non tutto è perduto, comunque, è sempre possibile riprendere i figli e aiutarli. Anche se non è sempre facile. Quei genitori che pregano riescono a riportare i figli nel Cuore di Gesù.
Ogni essere umano è creato per dirigersi verso il Bene, non è un’imposizione, è la stessa natura a mettere l’uomo in cammino verso Dio perché creato da Lui. Chi incontra Gesù scopre un tesoro inestimabile, la più grande ricchezza esistente, soprattutto, scopre il Regno dei Cieli nel profondo del suo cuore.
Il tesoro che Dio vuole donarci è il suo Amore.
Il tesoro personale di ogni uomo, fatto di esperienze vecchie e nuove, belle e brutte, edificanti o meno, deve risiedere nell’Amore di Dio, altrimenti è un tesoro insignificante.
Si può cercare tutta la vita la vera felicità, si potranno fare esperienze di ogni genere, vivere momenti emozionanti, ma non sono il vero tesoro della vita. Senza Gesù nulla ha valore.
Vale la pena rinunciare a tutto il tesoro accumulato nella vita per comprare il vero tesoro, l’Amore di Dio, che permetterà di trovare la felicità e la piena gioia della vita.
Gesù ci invita a lasciare le cose umane per trovare Lui, insieme a Lui si vive la vera felicità. Vale la pena rischiare e perdere ciò che illusoriamente ci lasciava sereni per trovare l’Amore, il senso della nostra esistenza. Si tratta di rinunciare a tutte quelle cose che venivano considerate indispensabili, c’è un Bene superiore da ottenere, ciò che rende veramente felici. È una perla rara e preziosa, per averla occorre lasciare ciò che prezioso non è. Solo per amore è possibile lasciare le nostre certezze e la mentalità umana.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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sabato 23 luglio 2011

1028 - Commento al Vangelo di oggi 23/7/2010

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.  Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Ogni giorno l’ipocrisia trionfa nel mondo, sta superando l’egoismo che sembrava inattaccabile. L’etimologia delle due parole, ipocrisia e egoismo, in fin dei conti glorificano sempre chi le pratica, è l’esaltazione di se stesso.
Vediamo la spiegazione tradizionale delle due parole. L’ipocrisia simula virtù o sentimenti che non ha, per ingannare, attrarre. L’egoismo è un esclusivo amore per se stesso che porta a non tener conto delle esigenze altrui. È una ricerca esclusiva dell'utile, del profitto anche a danno degli altri.
Due atteggiamenti che si includono a vicenda, uno appoggia l’altro, si compenetrano ed esaltano. La persona egoista pensa solo a se stessa, l’ipocrita è un maestro di inganni e bugie per dare un’immagine di sé diversa e migliore da ciò che è realmente. Agisce in questo modo perché ricerca sempre e solo un utile personale. E qui ritorna l’egoismo.
Come vediamo, egoismo e ipocrisia camminano a braccetto.
L’egoismo è stato considerato il padrone che detta legge all’esistenza dell’uomo, è il trionfo dell’amor proprio sfoderato con prepotenza. In molti divorzi è presente l’egoismo, non solo quando qualcuno insidia una persona sposata e la conduce gradualmente a distruggere il suo matrimonio, con un danno esistenziale non quantificabile verso l’altro coniuge e i figli.
L’egoismo in molti divorzi si manifesta quando si ignorano volutamente le esigenze degli altri e si pensa esclusivamente a se stessi. È una debolezza che diventa la guida della persona, si convince che per trovare la felicità è opportuno abbandonare il coniuge e creare una nuova relazione sentimentale extraconiugale.
Il mondo va avanti così, noi Sacerdoti dobbiamo ricordare il grave errore che si commette.
Nella morte di Melania Rea c’è alla base una relazione tra il soldatino e una soldatessa senza scrupoli. Ho letto su corriere.online per alcuni minuti il contenuto dei messaggi che si scambiavano, e ho provato ripugnanza nel leggere l’insistenza cattiva di questa Ludovica verso il soldatino, per convincerlo a separarsi dalla moglie. Le ha scritto anche: “Non devi ammazzare nessuno…”. Forse il soldatino le aveva manifestato questa sua volontà?
Volevo inviarvi i contenuti dei loro messaggi, per verificare che si inizia con una semplice avventura sessuale, poi si passa alla complicità e si decide di vivere insieme, distruggendo matrimoni e famiglie. Causando ai figli conseguenze penosissime.
L’ipocrisia è stampata sui volti di quasi tutti i personaggi che sbucano dal video, anche se mi limito al telegiornale, ma ce né in abbondanza per stare male. Non c’è più verità nei cuori dei politici, pensano una cosa e ne dicono altre. Non c’è solo l’arresto del deputato PdL Alfonso Papa, c’è anche l’accusa gravissima di un industriale del nord, avallata dal politico che prendeva e passava i soldi delle tangenti a Penati del Pd, oltre 8 miliardi di vecchie lire. E questo Penati ci aveva stancato anni fa parlando sempre di moralità. Proprio lui che si trangugiava miliardi su miliardi.
Oppure gli sviluppi delle intercettazioni in Inghilterra. Tutti i politici atei italiani hanno esaltato in passato e portato in trionfo Rupert Murdoch, tycoon australiano (magnate, grande imprenditore), esaltando i suoi metodi giornalistici e i suoi mezzi di comunicazione, su tutti Sky. Lo avevano trasformato in un santo moderno, invece dalle intercettazioni inglesi viene fuori una verità diversa.
Leggiamo da un quotidiano: “I lettori non vogliono roba intelligente, vogliono la pornografia, la corruzione. E più ce n'è, meglio è”. «Questo e molto di più rappresenta la filosofia di Rebekah Brooks, quando era alla guida del tabloid londinese Sun. Lo riferisce a Repubblica un ex redattore del giornale, Michael Taggart, che ha preferito, dopo sei mesi di contratto a termine, fare carriera fuori dalla testata del gruppo di Murdoch, di cui la Brooks è poi diventata amministratrice delegata. La crudeltà per fare carriera. Il clima al Sun, era a dir poco, “spietato”. Lui che “conosce bene l'ambiente” dice di aver molti elementi per giudicare quanto accadeva al tabloid come “indecente e fuori dal comune”. Michael spiega che per far carriera nel giornale guidato dalla “rossa di Murdoch” “era importante avere degli obiettivi da ridicolizzare, i gay e gli stranieri andavano benissimo, ma anche sbeffeggiando in modo crudele gli altri colleghi si poteva fare colpo”. Tutto per compiacere la Brooks, tranne che trattar bene il genere femminile: “L'uso di termini misogini (avversione nei confronti delle donne) e offensivi per la dignità delle donne era fortemente incoraggiato e se non lo facevamo, veniva inserito negli articoli dai capi. Le donne dovevano essere descritte come sessualmente depravate o infantili. “Sgualdrina”, “puttanella” erano gli appellativi più comuni e anche le colleghe erano oggetto di questo trattamento”. Al Sun i sotterfugi e i mezzi illeciti erano considerati l'unico metodo da usare, come fossero una regola da rispettare o una tradizione del giornale. Una linea che dalla Brooks è stata portata all'estremo».
Ho trascritto queste parole per dimostrarvi che dove non c’è Gesù, trionfa sempre la menzogna, l’inganno, la cattiveria. Non dovete mai fermarvi a credere quanto affermano molti personaggi, occorre riflettere e chiedere lumi a Dio. La bugia è diventata normale, l’ipocrisia si copre con una maschera e la persona recita una parte.
La menzogna per molti è la loro verità. E pretendono che sia accettata dagli altri.
Senza Gesù siamo tamburelli che fanno rumore, non lasciamo alcun buon ricordo di noi, si vive spesso nascosti sotto l’apparenza. “Chi rimane in me, e Io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. Dobbiamo riempirci dell’Amore di Gesù, non ne possiamo fare a meno.
“Voi siete già puri”, parole che Gesù vuole ripetere anche a tutti noi.
Chi è puro aborrisce l’ipocrisia e non cerca mai di danneggiare altre persone.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.

Proposito
Offrirò in dono a dei bisognosi alimenti e vestiti, facendo sentire loro la vicinanza di Dio.


Pensiero
La perfezione non consiste nel non avere amicizie, ma nell’averle buone e sante. (San Francesco di Sales)
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venerdì 22 luglio 2011

1027 - Commento al Vangelo di oggi 22/7/2010

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (20,1-2.11-18)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Santa Maria Maddalena rimane una grande figura tra i testimoni di Gesù. Da irriducibile peccatrice a maestosa mistica di provata fiducia. La sua vita è cambiata quando Gesù l’ha liberata da sette demoni, episodio in cui la invitò a cambiare vita: “C'erano con Lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demoni” (Lc 8,2).
La vita corrotta di questa donna era sotto gli occhi di tutti, forse nessuna donna della sua zona aveva una reputazione negativa come lei. Aveva disonorato lungamente la sua famiglia, i suoi fratelli Lazzaro e Marta, e gioiva nel deridere Gesù quando Lo incontrava per strada.
Quanto profondo era stato il suo vivere iniquo, tanto alto fu l’amore che ebbe per Gesù dopo la conversione.
Maria Maddalena è la figura che esprime più di molte altre come la misericordia di Gesù può agire in qualsiasi peccatore. Non bisogna considerare nessuno dannato prima del Giudizio di Dio, e anche dopo non si può assolutamente stabilire il suo stato nell’aldilà.
Alla conversione di Santa Maria Maddalena furono determinanti le preghiere dei familiari!
La donna non poteva ravvedersi da sola, ogni ravvedimento è anticipato dalla Grazia di Dio che sollecita la conversione, ma la Grazia agisce sempre per le preghiere dei familiari o di qualsiasi persona. Preghiere piene di amore e di Fede.
Come poi visse la Santa: di preghiere e di Fede. Piangendo i suoi peccati pubblicamente, riconoscendosi grande peccatrice salvata dalla misericordia del Signore. “Fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di Gesù e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato” (Lc 7,38).
La vera conversione si manifesta nel profondo pentimento della vita peccaminosa.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.

Proposito
Offrirò in dono a dei bisognosi alimenti e vestiti, facendo sentire loro la vicinanza di Dio.


Pensiero
La perfezione non consiste nel non avere amicizie, ma nell’averle buone e sante. (San Francesco di Sales)
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giovedì 21 luglio 2011

1026 - Vita di Gesù (paragrafi 160 - 165)

§ 160. L'Egitto è rappresentato da Clemente Alessandrino; il quale, immediatamente appresso all'ultimo suo tratto che citammo a pro­posito del vangelo di Marco (§ 130) aggiunge Ultimo, pertanto, e' Giovanni: vedendo che negli evangeli (precedenti) erano state ma­nifestate le cose corporee, spinto dagli amici, divina­mente portato dallo Spirito produsse un vangelo spirituale. Anche in questa affermazione Clemente, più che parlare del proprio, riporta la tradizione degli an­tichi presbiteri a cui si appella (ivi, 5); d'altra parte egli concorda col Frammento Muratoriano, almeno genericamente, ritenendo che Giovanni scrisse per esortazione altrui: nè si può dubitare che il Giovanni di Clemente sia l'apostolo, come è dimostrato fra altro dall'episodio del giovane pervertitosi e poi convertito da Giovanni, che Clemente narra nel Quis dives salvetur, 42, e ch'è riportato da Eusebio (Hist. eccì., III, 23, 6 segg.). L'appellativo di vangelo spirituale, in contrapposto a corporeo, risente della nota distinzione antropologica (corpo, anima, spirito) comune nell'ellenismo, ma coglie nel segno nel definire l'indole del IV vangelo, e perciò trovò molta for­tuna in seguito. Le testimonianze fin qui viste sono le principali, ma non tutte, dei primi due secoli; sarebbe pertanto inutile scendere lungo il secolo III, perché nessuno nega che già alla fine del II secolo Giovanni l'a­postolo fosse ritenuto concordemente quale autore del IV vangelo. Inoltre oggi sarebbe anche inutile elencare le varie tracce che di questo vangelo si trovano già nella prima metà del secolo i, sia presso scrittori ortodossi, uali Ignazio d'Antiochia, Giustino mar­tire e altri, sia presso i vari maestri della gnosi quali Valentino, Era­cleone, ecc., e presso lo stesso Marcione; oggi la segnalazione di tali tracce sarebbe inutile, perché è dimostrato in maniera lampante che il IV vangelo circolava in Egitto già verso l'anno 130. Oltre al papiro (Egerton), di cui già parlammo (§100) e che tra­disce una indubbia dipendenza dal IV vangelo, è stato pubblicato nel 1935 un frammento di papiro contenente tratti di questo van­gelo. Il frammento è minimo, di circa 8 centimetri, e contiene solo pochi versetti relativi al dialogo di Gesù con Pilato (cioè Giov., 18, 31-33 e 37-38), ma la sua incomparabile importanza è data dalla sua antichità: i più competenti specialisti mondiali, consultati in proposito, sono convenuti nell'attribuire il frammento alla prima metà del secolo II, e più probabilmente ai primi decenni di quella metà che agli ultimi: come media, quindi, può valere l'anno 130. E poi da notare che il frammento, che faceva parte d'un intero codex (non d'un volumen), proviene dall'Egitto certamente, sebbene non se ne conosca il luogo preciso: quindi, nel detto anno, l'Egitto già co­nosceva questo scritto composto in Asia Minore. Si sottragga per­tanto dalla cifra 130 un numero d'anni proporzionato per permet­tere allo scritto nato in Asia di raggiungere l'Egitto, e di esservi ri­copiato e diffuso, e si otterrà la data che la tradizione assegna all'ori­gine del IV vangelo, cioè la fine del secolo I. E bastato quel misero cencio di papiro per dissipare le aprioristiche elucubrazioni di quegli studiosi che avevano sentenziato non essere il IV vangelo anteriore al 130, o al 150, o anche al 170: e non erano soltanto studiosi del secolo scorso, perché ancora nel 1933, quando cioè il papiro si trovava già in Europa benché inedito, il Loisy (La naissance du christianisme, pag. 59) affermava che il IV vangelo ave­va avuto due redazioni, di cui la prima e più antica cadeva fra gli anni 135-140 e la seconda fra il 150-160.


§ 161. Su un altro argomento importantissimo i nuovi ritrovamenti smentiscono giudizi arbitrari e tendenziosi. Per molti studiosi anche dei nostri giorni, il IV vangelo è un teorema teologico che conserva a mala pena le apparenze della storia (Loisy); ossia, è uno scritto allegorico e simbolico, che si muove nel mondo delle astrazioni mi­stiche e che tutt'al più solo apparentemente inquadra le sue scene in una cornice geografica, non senza manifesti contrasti con la vera topografia. Come al solito, questa condanna è stata motivata soprattutto da preconcetti filosofici; ma, per giunta, coloro che l'han­no pronunziata sono studiosi da tavolino, ben pochi di essi hanno visitato accuratamente o anche fugacemente la Palestina, e tutti ad ogni modo danno ben poco peso all'archeologia e alla geografia sto­rica. L'imprudenza è grave: tanto più che lo stesso Renan, che per primo ricorse a sopraluoghi geografici (benché a suo modo) per una biografia di Gesù, poté scrivere: La trama storica del quarto van­gelo e, secondo me, la vita di Gesu' qual era nota al gruppo accen­trato attorno a Giovanni. Anzi, secondo la mia opinione, questa scuola sapeva diverse circostanze esteriori della vita del fondatore meglio del gruppo i cui ricordi hanno costituito i vangeli sinottici. Ma, nonostante questa non sospetta ammonizione, si continuò ad affermare che l'autore del IV vangelo era ignaro della topografia pa­lestinese, al punto da non avere un'idea chiara neppure della situa­zione di Gerusalemme (quest'ultima affermazione è di un dilettante italiano, che non mette neppure conto di nominare). La verità è precisamente al contrario. L'autore del IV vangelo di­mostra una conoscenza topografica più accurata di quella dei Sinot­ tici, e suole scendere in molte narrazioni a particolarità sorpren­denti, che avrebbe potuto omettere del tutto senza che la narrazione ne risentisse; se non le ha omesse, è perché si sentiva ben sicuro del fatto suo. Almeno una decina sono le designazioni di luoghi pale­stinesi che appaiono soltanto nel IV vangelo; di esse, non solo nessu­na è stata dimostrata falsa, ma varie sono state dimostrate precise ed esatte contro ogni aspettativa. Citiamo, come esempio, due o tre casi.


§ 162. In Giov., 2, 28, si parla di una Bethania di la' dal Giordano, sconosciuta altronde; al contrario, in 11, 18, si ricorda che Bethania era soltanto a 15 stadi da Gerusalemme, cioè a circa 2800 metri, mentre da Gerusalemme per arrivare al Giordano, sono una quaran­tina di chilometri. - Senonché c'erano due Bethanie (come c'erano due Beth-lehem, e due Beth-horon, ecc.). La Bethania del Giordano era vicina ad un passaggio del fiume che si compiva su barca, don­de forse il suo nome (beth-onijjah, «casa della nave»); ma il luogo, per la stessa ragione, era chiamato anche Beth-abarah (« casa del passaggio »), come Origene legge in questo tratto invece di Betha­nia. Sul posto si sono trovate recentemente antiche installazioni. In 5, 2 (testo greco) si dice che a Gerusalemme, presso la Porta delle pecore o Probatica, c'era una piscina chiamata Bethzatha, o Bezetha, forse dal nome del quartiere; ma si aggiunge che questa Pi­scina aveva cinque portici. Era dunque recinta da un porticato pen­tagonale? Forma assai strana: la quale non ha mancato di suggerire a studiosi moderni che deve trattarsi di una scena tutta allegorica, in cui la piscina simboleggia la fonte spirituale del giudaismo, e i cinque portici rappresentano i cinque libri della Legge. - Senon­ché, anche qui, gli scavi recenti hanno fatto crollare tutto questo bel castello di fantasie allegorizzanti. Si è trovato, cioè, che la pisci­na era regolarmente recinta da quattro portici, formando un rettan­golo lungo 120 metri e largo 60; ma un quinto portico l'attraversava in mezzo, dividendola in due bacini (§ 384). In 19, 13 si narra che Pilato, mentre si svolgeva il processo, condus­se fuori Gesù e si assise su tribunale in un luogo chiamato Lithostro­tas, ma in ebraico Gabbatha. Dov'era questo luogo dal doppio no­me, di cui non si hanno altre notizie? - Precise notizie invece sono state fornite da scavi di qualche anno fa. I due nomi non preten­dono affatto di essere la traduzione etimologica l'uno dell'altro, ben­sì sono due equivalenti designazioni di uno stesso luogo: questo luo­go, ch'era sulla fortezza Antonia, è stato testé ritrovato, e archeolo­gicamente mostra tutti i caratteri dell'epoca di Erode il Grande, costruttore dell'Antonia (§ 578).


§ 163. Questa precisione riguardo alla topografia si ritrova anche n­guardo alla cronologia, quasi per dar ragione al noto assioma che i due occhi della vera storia sono la geografia e la cronologia. Confrontando la cronologia interna offerta dai Sinottici nella bio­grafia di Gesù, con quella offerta da Giovanni, si ha l'impressione che quest'ultimo vada in cerca d'occasioni per precisare e delimitare ciò che quelli hanno lasciato nel vago. Limitandosi ai Sinottici, sem­brerebbe che la vita pubblica di Gesù potesse restringersi entro un solo anno, e anche meno; Giovanni invece, ricordando espressamen­te tre differenti Pasque, estende quella durata almeno a due anni e qualche mese (§177). In 2, lì, si fa espressamente notare che l'inizio dei miracoli operati da Gesù fu quello delle nozze di Cana, cioè proprio un fatto non narrato dai Sinottici; e subito appresso (2, 13 segg.) si mette, quasi come primo atto solenne e autoritario della vita pubblica di Gesù, la cacciata dei venditori dal Tempio, mentre i Sinottici trattano di questo argomento solo pochi giorni prima della morte di Gesù. E in quale anno avvenne la cacciata dei venditori dal Tempio, com­putando da qualche insigne avvenimento della storia palestinese? Avvenne 46 anni dopo che si era cominciata la ricostruzione del “santuario” nel Tempio: ma anche ciò sappiamo solo da Gio­vanni (2, 20). Infine, se si legge il racconto della passione secondo i Sinottici, si conclude che Gesù ha celebrato con i suoi discepoli il banchetto della Pasqua ebraica la sera precedente al giorno di sua morte: quel ban­chetto, cioè, che legalmente doveva celebrarsi la sera del giorno 14 del mese Nisan, cosicché Gesù sarebbe morto il 15 Nisan. Giovanni invece ha cura di avvertire che, il mattino stesso del giorno in cui Gesù fu ucciso, i Giudei che in folla lo accusavano davanti a Pilato non avevano ancora celebrato il banchetto pasquale; infatti essi non entrarono nel pretorio affinché non si contaminassero, bensì mangiassero la Pasqua (Giov., 18, 28), giacché contaminandosi si sarebbero resi inabili a quella celebrazione da tenersi la sera stessa: in tal caso Gesù sarebbe morto il 14 Nisan, ma il suo banchetto della sera precedente non sarebbe stato quello legale della Pasqua ebraica. Non è questo il momento d'addentrarsi in questa celebre questione, per mostrare che i Sinottici e Giovanni possono avere egualmente ra­gione (§ 536 segg.): ma è ben opportuno far rilevare, ancora una volta, con quanta studiata fermezza Giovanni segua una sua propria cronologia, precisando ciò che gli evangelisti anteriori avevano lasciato imprecisato.


§ 164. Questi, del resto, sono soltanto alcuni tratti da cui risulta che il narratore scrive con una conoscenza tutta personale e diretta dei fatti, ma le prove potrebbero facilmente allungarsi di molto. Giovanni sa bene ciò che hanno raccontato i Sinottici, ma delibera­tamente vuoi battere una strada diversa dalla loro. Senza pretendere affatto di esaurire l'argomento (cfr. Giov., 21, 25), egli vuole sup­plire parzialmente a quanto i Sinottici non hanno narrato: il com­puto materiale dimostra che su 100 parti del IV vangelo, 92 non si ritrovano nei Sinottici. Qualche volta, tuttavia, i due racconti si corrispondono necessariamente a causa dell'argomento: ma anche in questi casi Giovanni appare spesso come il testimonio che vuole inte­grare e precisare. Ciò è chiarissimo nel racconto della passione. I Sinottici non hanno detto chi fosse quel discepolo che con un colpo di spada mozzò l'orecchio destro al servo del sommo sacerdote, né come si chiamasse il servo; Giovanni precisa che il discepolo fu Simone Pietro e che il servo si chiamava Malcho (18, 10). Arre­stato Gesù, sembrerebbe secondo i Sinottici che fosse condotto diret­tamente alla casa del sommo sacerdote Caifa; Giovanni vuol dissi­pare questa inesatta apparenza, ed informa che lo condussero presso Anna dapprima (18, 13) dandone subito appresso la ragione. - I Sinottici fanno che Pietro segua l'arrestato ed entri immediata­mente nell'atrio del sommo sacerdote; secondo Giovanni, invece, Pietro segue insieme con un altro discepolo ma si ferma dapprima fuori dell'atrio, mentre l'altro discepolo entra subito, e solo più tardi Pietro può entrare grazie all'intercessione del discepolo (18, 15-16). - Dal solo Giovanni e non dai Sinottici, si apprende che Pilato interroga Gesù nell'interno del pretorio, mentre i Giudei restano al di fuori; come pure solo Giovanni descrive la scena dell'Ecce homo, e riporta la discussione fra Pilato e i Giudei, mentre il primo anche dopo la flagellazione di Gesù tenta di liberarlo e i secondi si prote­stano fedeli sudditi di Cesare (18, 33 segg.; 19, 4 segg.). - Soltanto Giovanni fa sapere che a Gesù morto non fu praticato il crurifragio romano, ma che in sua vece gli fu squarciato il petto con una lan­ciata (19, 31-34). Subito appresso a quest'ultima notizia si aggiunge: E chi ha visto (ciò) ha testimoniato, e verace e' la testimonianza di lui (19, 35); questo testimonio oculare è appunto il discepolo pre­diletto, la cui presenza ai piedi della croce, insieme con la madre di Gesu', è stata ricordata poco prima egualmente dal solo Giovanni (19, 25-27). In tutti questi particolari, cosi minuziosi e realistici, non traspare in alcun modo nessuno di quei tanti sottintesi allegorici che taluni stu­diosi recenti v'insinuano di proprio arbitrio.


§ 165. Che Giovanni batta una strada diversa dai Sinottici, appare da tutto il contenuto. I Sinottici insistono sul ministero di Gesù in Galilea, Giovanni invece insiste sul ministero in Giudea e Geru­salemme. Soltanto sette miracoli di Gesù sono riferiti da Giovanni, ma di essi ben cinque non si trovano nei Sinottici. Più che ai fatti di Gesù, Giovanni fa posto ai ragionamenti dottrinali di lui, e spe­cialmente alle sue dispute con i maggiorenti Giudei. In questi discorsi, come nel restante dello scritto, affiorano frequentemente al­cuni concetti caratteristici, che presso i Sinottici sono ben rari o del tutto sconosciuti: tali i simboli Luce, Tenebra, Acqua, Mondo, Carne, o gli astratti Vita, Morte, Verità, Giustizia, Peccato. Ma Giovanni, se non segue la tradizione sinottica, non la perde mai d'occhio. Giustamente ha detto il Renan che Giovanni aveva una sua propria tradizione, una tradizione parallela a quella dei sinotti­ci, e che la sua posizione e' quella d'un autore che non ignora ciò ch'e' già stato scritto sull'argomento ch'egli tratta, approva molte delle cose già dette, ma crede d'avere informazioni superiori e le comunica senza preoccuparsi degli altri. Non è però tutto qui. Giovanni, pur nel suo silenzio, impiega la tra­dizione sinottica indirettamente, in quanto la presuppone già nota ai lettori; come, dall'altro lato, nei Sinottici non mancano allusioni che trovano la loro piena giustificazione solo nella tradizione di Gio­vanni. Si direbbe che le due tradizioni, cortesemente, si dicano a vicenda: Nec tecum, nec sine te. Nulla racconta Giovanni né della nascita di Gesù, né della sua vita privata; parla della madre di lui ma senza nominarla giammai, benché nomini altre Marie; riporta due volte l'espressione Gesù figlio di Giuseppe (1, 45; 6, 42), ma senza sentire la necessità di spiegare tale ambigua designazione; dice di scrivere per indurre a credere che Gesu' e' il Cristo, il figlio d'iddio (20, 31), e non accenna affatto alla scena della trasfigurazione sul Tabor che sarebbe stata opportunissima a quello scopo; riporta un lungo discorso taciuto dai Sinottici in cui Gesù si presenta come mistico pane celestiale (6, 25 segg.), e non ha una parola sull'effettiva istituzione dell'Eucarestia all'ultima cena. Eppuse, queste manchevolezze non sono manchevoli e queste incongruenze sono congruentissime, per la semplice ragione che Giovanni non vuol ripetere ciò ch'era già notorio, e fa asse­gnamento sulla conoscenza che i suoi lettori già avevano della tra­dizione sinottica. Ma, alla sua volta, anche la tradizione sinottica presuppone quella di Giovanni. Pochissimo dicono i Sinottici, e specialmente i primi due, del ministero di Gesù a Gerusalemme; tuttavia due di essi ri­portano la deplorazione di Gesù: Gerusalemme, Gerusalemme, uc­cidente i profeti e lapidante gl'inviati ad essa! Quante volte volli coadunare insieme i tuoi figli, alla maniera che una gallina coaduna i suoi pulcini sotto le ali, e (voi) non voleste! (Matteo, 23, 37; Luca, 13, 34). Dalle sole narrazioni dei Sinottici non si riuscirebbe a giu­stificare l'esclamazione Quante volte volli...! perché essi trattano quasi esclusivamente il ministero di Gesù in Galilea. Giovanni in­vece, narrando non meno di quattro viaggi di Gesù a Gerusalemme, giustifica in pieno quell'esclamazione. Perciò i Sinottici presuppon­gono tacitamente la tradizione di Giovanni, e alla loro volta le ripe­tono: Nec tecum, nec sine te.
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Medaglia di San Benedetto