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venerdì 6 maggio 2011

946 - Vita di Gesù (paragrafi 120 - 122)

§ 120. Ma la Chiesa, che aveva adombrato della sua autorità la catechesi scritta in semitico da Matteo, dovette a un certo punto estendere la sua vigilante cura anche alle traduzioni del testo origi­nale, per timore che quell'autorità ufficiale fosse indebitamente in­vocata ad adombrare traduzioni che non meritavano tanto onore. Ciò che precisamente avvenisse non ci è noto, ma le conseguenze sono chiare ed eloquenti. Le traduzioni puramente orali ed estem­poranee dovettero sempre più diminuire, col diminuire dei catechizzatori ch'erano in grado di intendere l'originale semitico; le tradu­zioni scritte, parziali o totali che fossero, rimasero nell'ombra, cioè nell'uso privato e non ufficiale, e perciò destinate prima o dopo a perdersi. Una sola traduzione non andò perduta e giunse fino a noi, ma appunto perché fu adottata ufficialmente dalla Chiesa in sostituzione del troppo arduo testo semitico originale: è il testo greco del nostro Matteo canonico. Da chi sia stata fatta questa traduzione noi non sappiamo, come ai suoi tempi confessava di non saperlo S. Girolamo. Certamente fu oompiuta qualche decennio dopo ch'era apparso lo scritto di Matteo, quando cioè effondendosi sempre più il cristianesimo fuori della Palestina, diventava sempre meno usabile il testo originale semi­tico: risulta anche, da accurati raffronti letterari, che la traduzione fu compiuta dopo ch'erano apparsi gli altri due vangeli sinottici, delle cui espressioni letterarie essa risente. Il traduttore, infatti, non limitò il suo lavoro ad una semplice trasposizione delle parole da una lingua all'altra: bensi, oltre a ricercare una certa spigliatezza letteraria e quindi a non seguire servilmente la lettera anche per questa ragione, egli nello stesso tempo ebbe di mira la catechesi pratica. Poiché nel frattempo erano apparsi i due vangeli di Marco e di Luca, scritti originariamente in greco e rispecchianti in manie­ra più diretta le catechesi rispettivamente di Pietro e di Paolo, il traduttore li tenne sott'occhio durante il suo lavoro, e nel rendere il testo semitico si avvicinò per la scelta delle espressioni a quelle che trovava già impiegate in passi paralleli dei due nuovi vangeli greci: con ciò egli volle imprimere una certa uniformità letteraria a quei tre documenti, che rispecchiavano la catechesi fondamental­mente unica.


§ 121. La stessa mira della catechesi influì anche in altre maniere sulla traduzione. Trasportato in greco, lo scritto di Matteo allar­gava enormemente il suo campo d'azione e poteva raggiungere let­tori non giudei, cioè non abituati a idee ed espressioni tipicamente semitiche; d'altra parte il testo semitico di Matteo doveva avere (co­me risulta dal confronto con gli altri due Sinottici) talune espres­sioni che potevano o essere fraintese o suscitare meraviglia presso gli accennati lettori. Perciò il traduttore, per adattare meglio lo scritto al nuovo campo di catechesi, rimosse queste occasioni di errore e di meraviglia, e pur conservando il senso fondamentale attenuò la forza di certe frasi. Sembra anche probabile che egli abbia spostato taluni passi del testo originale raggruppandoli diffe­rentemente, conforme ai modelli di Marco o di Luca, ancora per­ché questo nuovo raggruppamento gli parve opportuno per l'uso catechetico. Questi criteri larghi non erano affatto inconciliabili con l'idea di «traduzione» presso gli Ebrei, come appare chiaramente da vari casi dell'Antico Testamento; per limitarsi al solo Ecclesiastico, le antiche versioni di questo libro fatte direttamente dal testo ebraico originale (sia esso, o no, quello ritrovato un quarantennio addietro) mostrano che i vari traduttori seguirono criteri d'una libertà estre­ma. Molto più discreto di essi fu invece il traduttore di Matteo; egli seguì criteri che, pur non essendo i rigorosi odierni, s'ispirano a quella libertà ch'era vantaggiosa allo scopo supremo della catechesi. Ma il fatto stesso che la Chiesa approvò e adottò la traduzione da lui apprestata, e che i più antichi scrittori ecclesiastici la impiega­rono come testo di vangelo canonico, dimostra che quella traduzione riproduceva in maniera “sostanzialmente identica” l'originale semitico. Troppo gelosa era la vigilanza della Chiesa per tollerare che il maestoso nome assegnato alla più antica e autorevole scrit­tura del suo insegnamento ufficiale, venisse attribuito a una tradu­zione che di quella scrittura fosse soltanto un evanescente simu­lacro; il rigore usato più tardi dalla stessa Chiesa contro gli scritti apocrifi, i quali parimenti si rifugiavano sotto gloriosi ma mentiti nomi e talvolta erano perfino libere rimanipolazioni di libri cano­nici, conferma la suddetta vigilanza abituale ed è una garanzia an­che per quanto riguarda la traduzione greca di Matteo.

§ 122. L'indipendenza da un servilismo verbale, testé rilevata nel traduttore di Matteo, offre anche occasione a metter bene in luce un principio importantissimo per l'interpretazione dei racconti evan­gelici in genere. Troviamo, cioè, che un'eguale indipendenza dal servilismo verbale è mantenuta dagli evangelisti stessi nelle loro nar­razioni, sì, da discordare verbalmente fra loro anche nel riferire testi rigorosamente fissati alla lettera ovvero parole di specialissimo valore dottrinale. Ad esempio, la tavoletta di condanna fatta apporre da Pilato sulla croce di Gesù recava senza dubbio un testo rigorosa­mente fissato alla lettera; eppure quest'unico testo è riportato con le seguenti divergenze verbali: Gesù1il Nazareno, il re dei Giudei (Giovanni, 19, 19); Costui e' Gesù, il re dei Giudei (Matteo, 27, 37); Il re dei Giudei, costui (Luca, 23, 38); Il re dei Giudei (Marco, 15, 26). Più grave ancora è il caso dell'Eucaristia, istituita una sola volta da Gesù e con parole ben precise; eppure anche qui se con­frontiamo la materialità delle parole, riferite sia dai tre Sinottici sia da S. Paolo (I Corinti, Il), troviamo nette divergenze. Ora, tutto ciò dimostra che la preoccupazione della catechesi antica, e quindi anche degli evangelisti canonici che dipendono da essa, era la fe­deltà sostanziale non già quella grettamente verbale, e che essi ri­cercavano l'adesione alla verità del senso non già alla materialità della lettera. Il culto della lettera materiale apparirà solo 16 secoli più tardi, quando la Riforma protestante dimenticherà che i van­geli dipendono dalla catechesi e li giudicherà basati in maniera autonoma sulla pura lettera; ma gli evangelisti stessi, con la loro indipendenza della lettera, danno una formale smentita storica al giudizio della Riforma, e il traduttore greco di Matteo conferma questa smentita imitando gli evangelisti nella libertà verbale.
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