Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

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venerdì 31 dicembre 2010

833 - Benedizione per il nuovo anno

Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace.
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832 - Vangelo del 1/1/2011 - Maria Ss.Madre di Dio


I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino. Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù.


+ Dal Vangelo secondo Luca (2,16-21)
In quel tempo, andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
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mercoledì 29 dicembre 2010

831 - Udienza del 29/12/2010 (S.Caterina da Bologna)

Cari fratelli e sorelle,

in una recente catechesi ho parlato di santa Caterina da Siena. Oggi vorrei presentarvi un’altra Santa, meno conosciuta, che porta lo stesso nome: santa Caterina da Bologna, donna di vasta cultura, ma molto umile; dedita alla preghiera, ma sempre pronta a servire; generosa nel sacrificio, ma colma di gioia nell’accogliere con Cristo la croce.
Nasce a Bologna l'8 settembre 1413, primogenita di Benvenuta Mammolini e di Giovanni de’ Vigri, patrizio ferrarese ricco e colto, Dottore in Legge e pubblico Lettore a Padova, dove svolgeva attività diplomatica per Niccolò III d'Este, marchese di Ferrara. Le notizie sull’infanzia e la fanciullezza di Caterina sono scarse e non tutte sicure. Da bambina vive a Bologna, nella casa dei nonni; qui viene educata dai parenti, soprattutto dalla mamma, donna di grande fede. Si trasferisce con lei a Ferrara quando aveva circa dieci anni ed entra alla corte di Niccolò III d’Este come damigella d’onore di Margherita, figlia naturale di Niccolò. Il marchese sta trasformando Ferrara in una splendida città, chiamando artisti e letterati di vari Paesi. Promuove la cultura e, benché conduca una vita privata non esemplare, cura molto il bene spirituale, la condotta morale e l’educazione dei sudditi.
A Ferrara Caterina non risente degli aspetti negativi, che comportava spesso la vita di corte; gode dell'amicizia di Margherita e ne diventa la confidente; arricchisce la sua cultura: studia musica, pittura, danza; impara a poetare, a scrivere composizioni letterarie, a suonare la viola; diventa esperta nell’arte della miniatura e della copiatura; perfeziona lo studio del latino. Nella vita monastica futura valorizzerà molto il patrimonio culturale e artistico acquisito in questi anni. Apprende con facilità, con passione e con tenacia; mostra grande prudenza, singolare modestia, grazia e gentilezza nel comportamento. Una nota, comunque, la contraddistingue in modo assolutamente chiaro: il suo spirito costantemente rivolto alle cose del Cielo. Nel 1427, a soli quattordici anni, anche in seguito ad alcuni eventi familiari, Caterina decide di lasciare la corte, per unirsi a un gruppo di giovani donne provenienti da famiglie gentilizie che facevano vita comune, consacrandosi a Dio. La madre, con fede, acconsente, benché avesse altri progetti su di lei.
Non conosciamo il cammino spirituale di Caterina prima di questa scelta. Parlando in terza persona, ella afferma che è entrata al servizio di Dio “illuminata dalla grazia divina […] con retta coscienza e grande fervore”, sollecita notte e giorno alla santa orazione, impegnandosi a conquistare tutte le virtù che vedeva in altri, “non per invidia, ma per piacere di più a Dio in cui aveva posto tutto il suo amore” (Le sette armi spirituali, VII, 8, Bologna 1998, p. 12). Notevoli sono i suoi progressi spirituali in questa nuova fase della vita, ma grandi e terribili sono pure le prove, le sofferenze interiori, soprattutto le tentazioni del demonio. Attraversa una profonda crisi spirituale fino alle soglie della disperazione (cfr ibid., VII, p. 12-29). Vive nella notte dello spirito, percossa pure dalla tentazione dell’incredulità verso l’Eucaristia. Dopo tanto patire, il Signore la consola: in una visione le dona la chiara conoscenza della presenza reale eucaristica, una conoscenza così luminosa che Caterina non riesce ad esprimere con le parole (cfr ibid., VIII, 2, p. 42-46). Nello stesso periodo una prova dolorosa si abbatte sulla comunità: sorgono tensioni tra chi vuole seguire la spiritualità agostiniana e chi è più orientata verso la spiritualità francescana.
Tra il 1429 e il 1430 la responsabile del gruppo, Lucia Mascheroni, decide di fondare un monastero agostiniano. Caterina, invece, con altre, sceglie di legarsi alla regola di santa Chiara d’Assisi. E’ un dono della Provvidenza, perché la comunità abita nei pressi della chiesa di Santo Spirito annessa al convento dei Frati Minori che hanno aderito al movimento dell'Osservanza. Caterina e le compagne possono così partecipare regolarmente alle celebrazioni liturgiche e ricevere un’adeguata assistenza spirituale. Hanno pure la gioia di ascoltare la predicazione di san Bernardino da Siena (cfr ibid., VII, 62, p. 26). Caterina narra che, nel 1429 - terzo anno dalla sua conversione - va a confessarsi da uno dei Frati Minori da lei stimati, compie una buona Confessione e prega intensamente il Signore di donarle il perdono di tutti i peccati e della pena ad essi connessa. Dio le rivela in visione di averle perdonato tutto. È un’esperienza molto forte della misericordia divina, che la segna per sempre, dandole nuovo slancio nel rispondere con generosità all’immenso amore di Dio (cfr ibid., IX, 2, p. 46-48).
Nel 1431 ha una visione del giudizio finale. La terrificante scena dei dannati la spinge a intensificare preghiere e penitenze per la salvezza dei peccatori. Il demonio continua ad assalirla ed ella si affida in modo sempre più totale al Signore e alla Vergine Maria (cfr. ibid., X, 3, p. 53-54). Negli scritti, Caterina ci lascia alcune note essenziali di questo misterioso combattimento, da cui esce vittoriosa con la grazia di Dio. Lo fa per istruire le sue consorelle e coloro che intendono incamminarsi nella via della perfezione: vuole mettere in guardia dalle tentazioni del demonio, che si nasconde spesso sotto sembianze ingannatrici, per poi insinuare dubbi di fede, incertezze vocazionali, sensualità.
Nel trattato autobiografico e didascalico, Le sette armi spirituali, Caterina offre, al riguardo, insegnamenti di grande saggezza e di profondo discernimento. Parla in terza persona nel riportare le grazie straordinarie che il Signore le dona e in prima persona nel confessare i propri peccati. Dal suo scritto traspare la purezza della sua fede in Dio, la profonda umiltà, la semplicità di cuore, l’ardore missionario, la passione per la salvezza delle anime. Individua sette armi nella lotta contro il male, contro il diavolo:
1. avere cura e sollecitudine nell'operare sempre il bene;
2. credere che da soli non potremo mai fare qualcosa di veramente buono;
3. confidare in Dio e, per amore suo, non temere mai la battaglia contro il male, sia nel mondo, sia in noi stessi;
4. meditare spesso gli eventi e le parole della vita di Gesù, soprattutto la sua passione e morte;
5. ricordarsi che dobbiamo morire;
6. avere fissa nella mente la memoria dei beni del Paradiso;
7. avere familiarità con la Santa Scrittura, portandola sempre nel cuore perché orienti tutti i pensieri e tutte le azioni.
Un bel programma di vita spirituale, anche oggi, per ognuno di noi!
In convento, Caterina, nonostante fosse abituata alla corte ferrarese, svolge mansioni di lavandaia, cucitrice, fornaia, ed è addetta alla cura degli animali. Compie tutto, anche i servizi più umili, con amore e con pronta obbedienza, offrendo alle consorelle una testimonianza luminosa. Ella vede, infatti, nella disobbedienza quell’orgoglio spirituale che distrugge ogni altra virtù. Per obbedienza accetta l’ufficio di maestra delle novizie, nonostante si ritenga incapace di svolgere l’incarico, e Dio continua ad animarla con la sua presenza e i suoi doni: è, infatti, una maestra saggia e apprezzata.
In seguito le viene affidato il servizio del parlatorio. Le costa molto interrompere spesso la preghiera per rispondere alle persone che si presentano alla grata del monastero, ma anche questa volta il Signore non manca di visitarla ed esserle vicino. Con lei il monastero è sempre più un luogo di preghiera, di offerta, di silenzio, di fatica e di gioia. Alla morte dell'abbadessa, i superiori pensano subito a lei, ma Caterina li spinge a rivolgersi alle Clarisse di Mantova, più istruite nelle costituzioni e nelle osservanze religiose. Pochi anni dopo, però, nel 1456, al suo monastero è richiesto di creare una nuova fondazione a Bologna. Caterina preferirebbe terminare i suoi giorni a Ferrara, ma il Signore le appare e la esorta a compiere la volontà di Dio andando a Bologna come abbadessa. Si prepara al nuovo impegno con digiuni, discipline e penitenze. Si reca a Bologna con diciotto consorelle. Da superiora è la prima nella preghiera e nel servizio; vive in profonda umiltà e povertà. Allo scadere del triennio di abbadessa è felice di essere sostituita, ma dopo un anno deve riprendere le sue funzioni, perché la nuova eletta è diventata cieca. Sebbene sofferente e con gravi infermità che la tormentano, svolge il suo servizio con generosità e dedizione.
Ancora per un anno esorta le consorelle alla vita evangelica, alla pazienza e alla costanza nelle prove, all’amore fraterno, all'unione con lo Sposo divino, Gesù, per preparare, così, la propria dote per le nozze eterne. Una dote che Caterina vede nel saper condividere le sofferenze di Cristo, affrontando, con serenità, disagi, angustie, disprezzo, incomprensione (cfr Le sette armi spirituali, X, 20, p. 57-58). All’inizio del 1463 le infermità si aggravano; riunisce le consorelle un’ultima volta nel Capitolo, per annunciare loro la sua morte e raccomandare l'osservanza della regola. Verso la fine di febbraio è colta da forti sofferenze che non la lasceranno più, ma è lei a confortare le consorelle nel dolore, assicurandole del suo aiuto anche dal Cielo. Dopo aver ricevuto gli ultimi Sacramenti, consegna al confessore lo scritto Le sette armi spirituali ed entra in agonia; il suo viso si fa bello e luminoso; guarda ancora con amore quante la circondano e spira dolcemente, pronunciando tre volte il nome di Gesù: è il 9 marzo 1463 (cfr I. Bembo, Specchio di illuminazione. Vita di S. Caterina a Bologna, Firenze 2001, cap. III). Caterina sarà canonizzata dal Papa Clemente XI il 22 maggio 1712. La città di Bologna, nella cappella del monastero del Corpus Domini, custodisce il suo corpo incorrotto.
Cari amici, santa Caterina da Bologna, con le sue parole e con la sua vita, è un forte invito a lasciarci guidare sempre da Dio, a compiere quotidianamente la sua volontà, anche se spesso non corrisponde ai nostri progetti, a confidare nella sua Provvidenza che mai ci lascia soli. In questa prospettiva, santa Caterina parla con noi; dalla distanza di tanti secoli, è, tuttavia, molto moderna e parla alla nostra vita. Come noi soffre la tentazione, soffre le tentazioni dell'incredulità, della sensualità, di un combattimento difficile, spirituale. Si sente abbandonata da Dio, si trova nel buio della fede. Ma in tutte queste situazioni tiene sempre la mano del Signore, non Lo lascia, non Lo abbandona. E camminando con la mano nella mano del Signore, va sulla via giusta e trova la via della luce. Così, dice anche a noi: coraggio, anche nella notte della fede, anche in tanti dubbi che ci possono essere, non lasciare la mano del Signore, cammina con la tua mano nella sua mano, credi nella bontà di Dio; così è andare sulla via giusta! E vorrei sottolineare un altro aspetto, quello della sua grande umiltà: è una persona che non vuole essere qualcuno o qualcosa; non vuole apparire; non vuole governare. Vuole servire, fare la volontà di Dio, essere al servizio degli altri. E proprio per questo Caterina era credibile nell’autorità, perché si poteva vedere che per lei l'autorità era esattamente servire gli altri. Chiediamo a Dio, per l’intercessione della nostra Santa il dono di realizzare il progetto che Egli ha su di noi, con coraggio e generosità, perché solo Lui sia la salda roccia su cui si edifica la nostra vita. Grazie.
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martedì 28 dicembre 2010

830 - Preghiera per la santificazione dei gruppi di preghiera

Riporto questo testo, anche se non lo condivido proprio al 100% ma ha comunque spunti interessanti

1. Fa’che i nostri Gruppi si trasformino in autentici Cenacoli . Cenacoli la cui vita si svolge all’insegna della coerenza, della sincerità, della trasparenza,
della disponibilità, della gratitudine.
 2. Spazza via dai nostri Gruppi l’egoismo sfrontato, l’ambizione sfrenata, il compromesso avvilente, la supremazia sugli altri Gruppi.
3. Fa’ regnare il silenzio eloquente, la gioia contagiosa, il servizio disinteressato.
4. Fa’ che siano caratterizzati dalla fede viva, dalla speranza incrollabile, dalla carità militante.
5. Fa’,Bambinello Gesù, che i nostri Gruppi di preghiera non cedano alle subdole seduzioni di Satana.
Satana vuole che noi ci riduciamo ad essere pesanti polli da pollaio. Tu,invece,ci solleciti ad essere aquile maestose.
Satana vuole che non vediamo di una spanna al di là della finestre e della porta del Gruppo. Tu,invece,ci spingi a svellere porte e finestre e a camminare sulle interminabili strade del mondo.
Satana vuole che ci limitiamo a fare le fusa all’ombra del campanile,a stazionare nelle sacrestie impregnate dal profumo di incenso. Tu,invece,a sentire un altro ”profumo”.
Quello delle favelas,delle bidonvilles,degli slums,delle callampas. In una parola,delle infernali baraccopoli.
Satana sopravvaluta i pericoli della nostra fede, se dialoghiamo con i nostri “fratelli separati”. Tu,invece,a stare sotto il loro braccio e andare incontro all’avvenire radioso della nostra fede.
Satana ci invita a considerare la Chiesa come una cittadella inespugnabile. Tu, invece,ci inviti a considerare la tua Chiesa come una “Grande Famiglia” che accoglie tutti i tuoi figli con le braccia spalancate.
Satana ci convince che solo la cassaforte del “Sacro Ior” salva la tua Chiesa. Tu,invece,ci fai capire che la Tua Chiesa è già stata salvata dalla Tua croce conficcata sulla collina del Calvario.
6. Caro Bambinello Gesù, in inginocchio, un’ultima invocazione.
Insolita,devastante,dirompente.In una parola,scandalosa. Distrutti tutti i nostri Gruppi di preghiera. Sì.Invii uno tsunami di distruzione, se devono svilirsi in una vita di persone che vivacchino in una “meticolosa mediocrità”

(Mons.A.Pronzato)
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domenica 26 dicembre 2010

829 - Angelus del 26/12/2010 Sacra Famiglia

Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo secondo Luca racconta che i pastori di Betlemme, dopo aver ricevuto dall’angelo l’annuncio della nascita del Messia, “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (2,16). Ai primi testimoni oculari della nascita di Gesù si presentò, dunque, la scena di una famiglia: madre, padre e figlio neonato. Per questo la Liturgia ci fa celebrare, nella prima domenica dopo il Natale, la festa della santa Famiglia. Quest’anno essa ricorre proprio all’indomani del Natale e, prevalendo su quella di santo Stefano, ci invita a contemplare questa “icona” in cui il piccolo Gesù appare al centro dell’affetto e delle premure dei suoi genitori. Nella povera grotta di Betlemme – scrivono i Padri della Chiesa – rifulge una luce vivissima, riflesso del profondo mistero che avvolge quel Bambino, e che Maria e Giuseppe custodiscono nei loro cuori e lasciano trasparire nei loro sguardi, nei gesti, soprattutto nei loro silenzi. Essi, infatti, conservano nell’intimo le parole dell’annuncio dell’angelo a Maria: “colui che nascerà sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35).
Eppure, la nascita di ogni bambino porta con sé qualcosa di questo mistero! Lo sanno bene i genitori che lo ricevono come un dono e che, spesso, così ne parlano. A tutti noi è capitato di sentir dire a un papà e a una mamma: “Questo bambino è un dono, un miracolo!”. In effetti, gli esseri umani vivono la procreazione non come mero atto riproduttivo, ma ne percepiscono la ricchezza, intuiscono che ogni creatura umana che si affaccia sulla terra è il “segno” per eccellenza del Creatore e Padre che è nei cieli. Quant’è importante, allora, che ogni bambino, venendo al mondo, sia accolto dal calore di una famiglia! Non importano le comodità esteriori: Gesù è nato in una stalla e come prima culla ha avuto una mangiatoia, ma l’amore di Maria e di Giuseppe gli ha fatto sentire la tenerezza e la bellezza di essere amati. Di questo hanno bisogno i bambini: dell’amore del padre e della madre. E’ questo che dà loro sicurezza e che, nella crescita, permette la scoperta del senso della vita. La santa Famiglia di Nazareth ha attraversato molte prove, come quella – ricordata nel Vangelo secondo Matteo – della “strage degli innocenti”, che costrinse Giuseppe e Maria ed emigrare in Egitto (cfr 2,13-23). Ma, confidando nella divina Provvidenza, essi trovarono la loro stabilità e assicurarono a Gesù un’infanzia serena e una solida educazione.
Cari amici, la santa Famiglia è certamente singolare e irripetibile, ma al tempo stesso è “modello di vita” per ogni famiglia, perché Gesù, vero uomo, ha voluto nascere in una famiglia umana, e così facendo l’ha benedetta e consacrata. Affidiamo pertanto alla Madonna e a san Giuseppe tutte le famiglie, affinché non si scoraggino di fronte alle prove e alle difficoltà, ma coltivino sempre l’amore coniugale e si dedichino con fiducia al servizio della vita e dell’educazione.


APPELLO

In questo tempo del Santo Natale, il desiderio e l’invocazione del dono della pace si sono fatti ancora più intensi. Ma il nostro mondo continua ad essere segnato dalla violenza, specialmente contro i discepoli di Cristo. Ho appreso con grande tristezza l’attentato in una chiesa cattolica nelle Filippine, mentre si celebravano i riti del giorno di Natale, come pure l’attacco a chiese cristiane in Nigeria. La terra si è macchiata ancora di sangue in altre parti del mondo come in Pakistan.
Desidero esprimere il mio sentito cordoglio per le vittime di queste assurde violenze, e ripeto ancora una volta l’appello ad abbandonare la via dell’odio per trovare soluzioni pacifiche dei conflitti e donare alle care popolazioni sicurezza e serenità. In questo giorno in cui celebriamo la Santa Famiglia, che visse la drammatica esperienza di dover fuggire in Egitto per la furia omicida di Erode, ricordiamo anche tutti coloro – in particolare le famiglie - che sono costretti ad abbandonare le proprie case a causa della guerra, della violenza e dell’intolleranza. Vi invito, quindi, ad unirvi a me nella preghiera per chiedere con forza al Signore che tocchi il cuore degli uomini e porti speranza, riconciliazione e pace.
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sabato 25 dicembre 2010

828 - Messaggio Medjugorje del 25/12/2010

Cari figli, oggi io e mio Figlio Gesù desideriamo darvi l’ abbondanza della gioia e della pace affinché ciascuno di voi sia gioioso portatore e testimone della pace e della gioia nei luoghi dove vivete.
Figlioli siate benedizione e siate pace.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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827 - Vangelo del 26/12/2010 - Sacra Famiglia

Prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto

+ Dal Vangelo secondo Matteo (2,13-15.19-23)

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in
sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzareth perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
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826 - Vangelo del 25/12/2010 - Santo Natale messa dell'aurora

I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino.
+ Dal Vangelo secondo Luca (2,15-20)

Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
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825 - Omelia del 25/12/2010 S. Natale

Sono i pastori i primi a ricevere, secondo il Vangelo di Luca, il messaggio della nascita di Gesù.

Dio invia un angelo per spiegare ai pastori questo grande evento.
Dio si rivolge non ai potenti, ma a persone semplici e umili.
Gente povera, che non poteva neppure partecipare al culto.
Erano gli unici, di sera, svegli a guidare il loro gregge.
La gente era tutta addormentata.
La notizia a loro non interessava.
Pensavano ad altro, alle loro attività e la speranza di un salvatore non interessava loro.


Come oggi.
Dio sta sempre dalla parte dei poveri indifesi, perché sono i suoi prediletti.
Maria e Giuseppe appartengono a tale schiera.
Questi poveri ricevono un grande annuncio di gioia, vanno a vedere il bambino e lo adorano.
Persone insignificanti, umili, semplici, capaci però di ricevere un grande messaggio di speranza.
Gesù entra nella nostra vita monotona con delle persone che fanno sempre la stessa cosa come noi.
Ma sono i primi ad accorrere a quella stalla, a quella grotta, a quella mangiatoia.
Quanta sproporzione tra il grande annuncio e il segno: il bambino povero che giace in una mangiatoia, avvolto in fasce che già richiamano il sepolcro.
Il bambino è una persona che non possiede nulla e ha bisogno degli altri per crescere.
Non è autosufficiente, sente il bisogno di confrontarsi, ma ha accanto le mani amiche e premurose di Maria.
Il Salvatore, il vero imperatore, la persona che risolve i problemi dell’umanità, è quel bambino che non trova neppure il posto dove nascere, perché la gente è attenta altrove e pensa ad altre cose.
Però per accoglierlo c’è bisogno da un lato di estrema povertà, semplicità, insignificanza e dall’altro di un cuore dedito a Dio.
Esternamente la vita corre come prima, ma per chi accoglie tale evento cambia l’orizzonte, la prospettiva in cui la vita si compie.

Maria medita queste cose nel suo cuore.
Quante esperienze dovremmo anche noi poter meditare, riflettere ripensare.
Maria è la donna dell’interiorità, della profondità, capace di scrutare dentro il proprio cuore.
I pastori tornano, lodando Dio, dando gloria a Lui, per ciò che hanno udito e visto.
Queste persone sono chiamate ad essere i primi annunciatori di un Messia che è venuto e ha fatto una scelta precisa che ancora oggi ci disarma.
“Signore, tu sei venuto a sconvolgere le nostre certezze, le nostre sicurezze, il nostro classificare le persone.

Lo hai fatto con il tuo stile.
Lo stile di un Dio che corre verso l’uomo e si impietosisce di fronte alla sofferenza e alla povertà.
Per questo gli ultimi sono, per te, i primi.
Per questo hai voluto vicini al tuo figlio solo certe persone.
Natale è il compleanno di ogni persona.
Ogni persona che nasce, lo desideri o meno, ha impresso il tuo volto.
Il grande annuncio stride con la piccolezza del luogo.
Ma non potevi nascere altrove.
Dovevi incarnarti lì.
Hai piantato la tua tenda in mezzo a noi e non te ne sei più andato.
La nostra vita è ricercare quell’umiltà, quella semplicità, quella piccolezza, grazie alla quale possiamo avere la tua amicizia e il tuo Amore.
E la vita riassapora il senso del suo esistere.”


Buon Natale, Gesù.
E Buon Natale a tutti voi e alle vostre famiglie.
Un caro ricordo nella preghiera.

Don Luigi
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venerdì 24 dicembre 2010

824 - Vangelo del 24/12/2010 - Vigilia del Santo Natale

Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide

+ Dal Vangelo secondo Matteo (1,1-25)
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.

Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa «Dio con noi».
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.
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823 - Entra nel tempo e nello spazio

O fusione inaudita, o compenetrazione paradossale!
Colui che è, viene nel tempo; l'increato si fa oggetto di creazione.
Colui che non ha dimensioni, entra nel tempo e nello spazio, e un'anima spirituale si fa mediatrice tra la divinità e la pesantezza della carne.
Colui che arricchisce, si fa povero e mendica la mia carne, perché io venga arricchito della sua divinità.
Lui, che è la pienezza si svuota, si spoglia per un poco della sua gloria, perché io possa partecipare della sua pienezza.
Quale ricchezza di bontà!
Quale immenso mistero mi avvolge!
Sono stato fatto partecipe dell'immagine di Dio e non ho saputo custodirla: ora Dio si rende partecipe della mia carne, sia per salvare l'immagine che mi aveva data, sia per rendere immortale la mia carne.
Entra in comunione con noi, in un modo nuovo ancora più profondo del primo: con chi un tempo condivise il bene, ora condivide il male; quest'ultima comunione è ancora più degna di Dio e, per chi ha intelligenza, ancora più sublime.
(S. Gregorio Nazianzeno)
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mercoledì 22 dicembre 2010

822 - Udienza del 22/12/2010

Cari fratelli e sorelle!

Con quest’ultima Udienza prima delle Festività Natalizie, ci avviciniamo, trepidanti e pieni di stupore, al “luogo” dove per noi e per la nostra salvezza tutto ha avuto inizio, dove tutto ha trovato un compimento, là dove si sono incontrate e incrociate le attese del mondo e del cuore umano con la presenza di Dio. Possiamo già ora pregustare la gioia per quella piccola luce che si intravede, che dalla grotta di Betlemme comincia ad irradiarsi sul mondo. Nel cammino dell’Avvento, che la liturgia ci ha invitato a vivere, siamo stati accompagnati ad accogliere con disponibilità e riconoscenza il grande Avvenimento della venuta del Salvatore e a contemplare pieni di meraviglia il suo ingresso nel mondo.
L’attesa gioiosa, caratteristica dei giorni che precedono il Santo Natale, è certamente l’atteggiamento fondamentale del cristiano che desidera vivere con frutto il rinnovato incontro con Colui che viene ad abitare in mezzo a noi: Cristo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. Ritroviamo questa disposizione del cuore, e la facciamo nostra, in coloro che per primi accolsero la venuta del Messia: Zaccaria ed Elisabetta, i pastori, il popolo semplice, e specialmente Maria e Giuseppe, i quali in prima persona hanno provato la trepidazione, ma soprattutto la gioia per il mistero di questa nascita.
Tutto l’Antico Testamento costituisce un’unica grande promessa, che doveva compiersi con la venuta di un salvatore potente. Ce ne dà testimonianza in particolare il libro del profeta Isaia, il quale ci parla del travaglio della storia e dell’intera creazione per una redenzione destinata a ridonare nuove energie e nuovo orientamento al mondo intero. Così, accanto all’attesa dei personaggi delle Sacre Scritture, trova spazio e significato, attraverso i secoli, anche la nostra attesa, quella che in questi giorni stiamo sperimentando e quella che ci mantiene desti per l’intero cammino della nostra vita. Tutta l’esistenza umana, infatti, è animata da questo profondo sentimento, dal desiderio che quanto di più vero, di più bello e di più grande abbiamo intravisto e intuito con la mente ed il cuore, possa venirci incontro e davanti ai nostri occhi diventi concreto e ci risollevi.
“Ecco viene il Signore onnipotente: sarà chiamato Emmanuele, Dio-con-noi” (Antifona d’ingresso, S. Messa del 21 dicembre). Frequentemente, in questi giorni, ripetiamo queste parole. Nel tempo della liturgia, che riattualizza il Mistero, è ormai alle porte Colui che viene a salvarci dal peccato e dalla morte, Colui che, dopo la disobbedienza di Adamo ed Eva, ci riabbraccia e spalanca per noi l’accesso alla vita vera. Lo spiega sant’Ireneo, nel suo trattato “Contro le eresie”, quando afferma: “Il Figlio stesso di Dio scese «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8,3) per condannare il peccato, e, dopo averlo condannato, escluderlo completamente dal genere umano. Chiamò l’uomo alla somiglianza con se stesso, lo fece imitatore di Dio, lo avviò sulla strada indicata dal Padre perché potesse vedere Dio, e gli diede in dono lo stesso Padre” (III, 20, 2-3).
Ci appaiono alcune idee preferite di sant’Ireneo, che Dio con il Bambino Gesù ci richiama alla somiglianza con se stesso. Vediamo com’è Dio. E così ci ricorda che noi dovremmo essere simili a Dio. E dobbiamo imitarlo. Dio si è donato, Dio si è donato nelle nostre mani. Dobbiamo imitare Dio. E infine l’idea che così possiamo vedere Dio. Un’idea centrale di sant’Ireneo: l’uomo non vede Dio, non può vederlo, e così è nel buio sulla verità, su se stesso. Ma l’uomo che non può vedere Dio, può vedere Gesù. E così vede Dio, così comincia a vedere la verità, così comincia a vivere.
Il Salvatore, dunque, viene per ridurre all’impotenza l’opera del male e tutto ciò che ancora può tenerci lontani da Dio, per restituirci all’antico splendore e alla primitiva paternità. Con la sua venuta tra noi, Dio ci indica e ci assegna anche un compito: proprio quello di essere somiglianti a Lui e di tendere alla vera vita, di arrivare alla visione di Dio nel volto di Cristo. Ancora sant’Ireneo afferma: “Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a percepire Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre. Per questo, Dio ci ha dato come «segno» della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l’Emmanuele” (ibidem). Anche qui c’è un’idea centrale molto bella di sant’Ireneo: dobbiamo abituarci a percepire Dio. Dio è normalmente lontano dalla nostra vita, dalle nostre idee, dal nostro agire. È venuto vicino a noi e dobbiamo abituarci a essere con Dio. E audacemente Ireneo osa dire che anche Dio deve abituarsi a essere con noi e in noi. E che Dio forse dovrebbe accompagnarci a Natale, abituarci a Dio, come Dio si deve abituare a noi, alla nostra povertà e fragilità.
La venuta del Signore, perciò, non può avere altro scopo che quello di insegnarci a vedere e ad amare gli avvenimenti, il mondo e tutto ciò che ci circonda, con gli occhi stessi di Dio. Il Verbo fatto bambino ci aiuta a comprendere il modo di agire di Dio, affinché siamo capaci di lasciarci sempre più trasformare dalla sua bontà e dalla sua infinita misericordia.
Nella notte del mondo, lasciamoci ancora sorprendere e illuminare da questo atto di Dio, che è totalmente inaspettato: Dio si fa Bambino. Lasciamoci sorprendere, illuminare dalla Stella che ha inondato di gioia l’universo.
Gesù Bambino, giungendo a noi, non ci trovi impreparati, impegnati soltanto a rendere più bella la realtà esteriore. La cura che poniamo per rendere più splendenti le nostre strade e le nostre case ci spinga ancora di più a predisporre il nostro animo ad incontrare Colui che verrà a visitarci, che è la vera bellezza e la vera luce. Purifichiamo quindi la nostra coscienza e la nostra vita da ciò che è contrario a questa venuta: pensieri, parole, atteggiamenti e azioni, spronandoci a compiere il bene e a contribuire a realizzare in questo nostro mondo la pace e la giustizia per ogni uomo e a camminare così incontro al Signore.
Segno caratteristico del tempo natalizio è il presepe. Anche in Piazza San Pietro, secondo la consuetudine, è quasi pronto e idealmente si affaccia su Roma e sul mondo intero, rappresentando la bellezza del Mistero del Dio che si è fatto uomo e ha posto la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14). Il presepe è espressione della nostra attesa, che Dio si avvicina a noi, che Gesù si avvicina a noi, ma è anche espressione del rendimento di grazie a Colui che ha deciso di condividere la nostra condizione umana, nella povertà e nella semplicità. Mi rallegro perché rimane viva e, anzi, si riscopre la tradizione di preparare il presepe nelle case, nei posti di lavoro, nei luoghi di ritrovo. Questa genuina testimonianza di fede cristiana possa offrire anche oggi per tutti gli uomini di buona volontà una suggestiva icona dell’amore infinito del Padre verso noi tutti. I cuori dei bambini e degli adulti possano ancora sorprendersi di fronte ad essa.
Cari fratelli e sorelle, la Vergine Maria e san Giuseppe ci aiutino a vivere il Mistero del Natale con rinnovata gratitudine al Signore. In mezzo all’attività frenetica dei nostri giorni, questo tempo ci doni un po’ di calma e di gioia e ci faccia toccare con mano la bontà del nostro Dio, che si fa Bambino per salvarci e dare nuovo coraggio e nuova luce al nostro cammino. E’ questo il mio augurio per un santo e felice Natale: lo rivolgo con affetto a voi qui presenti, ai vostri familiari, in particolare ai malati e ai sofferenti, come pure alle vostre comunità e a quanti vi sono cari.
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821 - Trasforma il tuo dolore in perla !

Sal 29,12
"Hai mutato il mio lamento in danza, la mia vesta di sacco in abito di gioia"

Romani 8,28
"Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno"

Giovanni 19,34
"Uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua."

Giovanni 12,24
"In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto."

Matteo 16, 24-25
"Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà."
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domenica 19 dicembre 2010

820 - Angelus del 19/12/2010 Domenica 4^ Avvento

Cari fratelli e sorelle!

In questa quarta domenica di Avvento il Vangelo di san Matteo narra come avvenne la nascita di Gesù ponendosi dal punto di vista di san Giuseppe. Egli era il promesso sposo di Maria, la quale, “prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (Mt 1,18). Il Figlio di Dio, realizzando un’antica profezia (cfr Is 7,14), diventa uomo nel grembo di una vergine, e tale mistero manifesta insieme l’amore, la sapienza e la potenza di Dio in favore dell’umanità ferita dal peccato. San Giuseppe viene presentato come “uomo giusto” (Mt 1,19), fedele alla legge di Dio, disponibile a compiere la sua volontà. Per questo entra nel mistero dell’Incarnazione dopo che un angelo del Signore, apparsogli in sogno, gli annuncia: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21). Abbandonato il pensiero di ripudiare in segreto Maria, egli la prende con sé, perché ora i suoi occhi vedono in lei l’opera di Dio.
Sant’Ambrogio commenta che “in Giuseppe ci fu l’amabilità e la figura del giusto, per rendere più degna la sua qualità di testimone” (Exp. Ev. sec. Lucam II, 5: CCL 14,32-33). Egli – prosegue Ambrogio – “non avrebbe potuto contaminare il tempio dello Spirito Santo, la Madre del Signore, il grembo fecondato dal mistero” (ibid., II, 6: CCL 14,33). Pur avendo provato turbamento, Giuseppe agisce “come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”, certo di compiere la cosa giusta.
Anche mettendo il nome di “Gesù” a quel Bambino che regge tutto l’universo, egli si colloca nella schiera dei servitori umili e fedeli, simile agli angeli e ai profeti, simile ai martiri e agli apostoli – come cantano antichi inni orientali. San Giuseppe annuncia i prodigi del Signore, testimoniando la verginità di Maria, l’azione gratuita di Dio, e custodendo la vita terrena del Messia. Veneriamo dunque il padre legale di Gesù (cfr CCC, 532), perché in lui si profila l’uomo nuovo, che guarda con fiducia e coraggio al futuro, non segue il proprio progetto, ma si affida totalmente all’infinita misericordia di Colui che avvera le profezie e apre il tempo della salvezza.
Cari amici, a san Giuseppe, patrono universale della Chiesa, desidero affidare tutti i Pastori, esortandoli ad offrire “ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo” (Lettera Indizione Anno Sacerdotale).
Possa la nostra vita aderire sempre più alla Persona di Gesù, proprio perché “Colui che è il Verbo assume Egli stesso un corpo, viene da Dio come uomo e attira a sé l’intera esistenza umana, la porta dentro la parola di Dio” (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 383).
Invochiamo con fiducia la Vergine Maria, la piena di grazia “adornata di Dio”, affinché, nel Natale ormai prossimo, i nostri occhi si aprano e vedano Gesù, e il cuore gioisca in questo mirabile incontro d’amore.
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sabato 18 dicembre 2010

819 - Il cielo della nostra anima sarà illuminato di stelle

Andiamo fino a Betlem, come i pastori. L'importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso.

Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi dell'onnipotenza di Dio. Anzi, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove egli continua a vivere in clandestinità.
A noi il compito di cercarlo.
E saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua visita.
Mettiamoci in cammino, senza paura. Il Natale di quest'anno ci farà trovare Gesù e, con lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell'impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.
Allora, finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra anima sarà libero di smog, privo di segni di morte, e illuminato di stelle.
E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.
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Don Tonino Bello
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818 - Omelia del 19/12/2010 domenica IV Avvento

Siamo ormai vicini al Santo Natale.

Più di tante parole, lasciamoci guidare dal mistero della nascita di Gesù.
Di solito, siamo abituati a leggere il testo dell'annunciazione di Maria secondo Luca.
Oggi, invece, leggiamo il brano di Matteo, che ha come protagonista Giuseppe.
Giuseppe è un personaggio che, nel Vangelo, non parla mai. Viene definito uomo giusto e retto: colui che mette in pratica la volontà del Signore.
Rimane colpito dal fatto che Maria, prima che andassero a vivere insieme, si sia trovata incinta e, da persona retta, decide non di affidarsi ai tribunali, ma di licenziare Maria in segreto.
Ma Dio viene a sconvolgere tutti i suoi piani.
Colui che nascerà sarà frutto dello Spirito Santo.
Si chiamerà Gesù, il salvatore del mondo, il Dio con noi, come afferma il profeta Isaia.
Giuseppe mette in pratica ciò che l'angelo gli ha ordinato.
Il brano ha uno schema molto semplice.
Al centro vi è la figura muta di Giuseppe che agisce, rimane sconvolto, ma accoglie l'invito del Signore tramite l'angelo.


Mi soffermo su due aspetti.
1) Da un lato pensiamo alla giustizia di cui tanto abbiamo bisogno: non c'è pace senza giustizia.
La giustizia vista quale rapporto equo tra le persone.
Giuseppe è definito uomo giusto non perchè cerca di fare mille cose, ma perchè agisce ponendo al centro il bene dell'altra persona, in ottemperanza ad un invito del Signore.
Giusto è colui che non pretende nulla, non manifesta rancore, ma cerca il bene dell'altro, anche a costo di rimetterci di persona.
Anche se il villaggio è contro Maria e Giuseppe, Giuseppe vuole mettere in pratica l'insegnamento dell'Angelo, pur subendo umiliazioni e insulti.
Davanti alle ingiustizie e a tutti noi capita questo, l'atteggiamento più corretto non è tanto volere il danno degli altri, quanto piuttosto il desiderio di camminare verso la ricerca della verità, capendo anche in quali cose possiamo avere urtato la sensibilità degli altri.


2) Un secondo aspetto riguarda la nostra vita che è fatta di imprevisti.
Avere un progetto per le cose che facciamo è importante, ma non sempre i calcoli umani funzionano come dovrebbero
Personalmente ho smesso di fare grandi progetti.
Preferisco affidarmi a quel Dio che mai abbandona il suo popolo e non ci lascia soli.
A volte, proprio in questa fiducia, nasce il desiderio di mutare alcuni progetti, o modificarli per riuscire meglio a scoprirne il loro valore.
Giuseppe ha accettato di essere sconvolto dall'invito dell'angelo a cambiare rotta, modificando le sue costruzioni mentali, per affidarsi al rischio di un progetto divino.
Confidare in Dio è anche non sentirsi onnipotenti, capendo che la vera felicità la colgo in quel bimbo che nasce e da valore alle cose che faccio.
Il Natale è la festa di Colui che è venuto a sconvolgerci e ci invita a fare di più.

Perchè più ti senti piccolo e più diventerai grande...


don Luigi
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817 - Vangelo del 19/12/2010 - 4^ Domenica di Avvento, anno "A"

Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide
+ Dal Vangelo secondo Matteo (1,18-24)
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
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domenica 12 dicembre 2010

816 - Angelus del 12/12/2010 Domenica 3^ Avvento

Cari fratelli e sorelle!

In questa terza domenica di Avvento, la Liturgia propone un passo della Lettera di san Giacomo, che si apre con questa esortazione: “Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore” (Gc 5,7).
Mi sembra quanto mai importante, ai nostri giorni, sottolineare il valore della costanza e della pazienza, virtù che appartenevano al bagaglio normale dei nostri padri, ma che oggi sono meno popolari, in un mondo che esalta, piuttosto, il cambiamento e la capacità di adattarsi a sempre nuove e diverse situazioni. Senza nulla togliere a questi aspetti, che pure sono qualità dell’essere umano, l’Avvento ci chiama a potenziare quella tenacia interiore, quella resistenza dell’animo che ci permettono di non disperare nell’attesa di un bene che tarda a venire, ma di aspettarlo, anzi, di prepararne la venuta con fiducia operosa.
“Guardate l’agricoltore – scrive san Giacomo –: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina” (Gc 5,7-8). Il paragone con il contadino è molto espressivo: chi ha seminato nel campo, ha davanti a sé alcuni mesi di paziente e costante attesa, ma sa che il seme nel frattempo compie il suo ciclo, grazie alle piogge di autunno e di primavera. L’agricoltore non è un fatalista, ma è modello di una mentalità che unisce in modo equilibrato la fede e la ragione, perché, da una parte, conosce le leggi della natura e compie bene il suo lavoro, e, dall’altra, confida nella Provvidenza, perché alcune cose fondamentali non sono nelle sue mani, ma nelle mani di Dio.
La pazienza e la costanza sono proprio sintesi tra l’impegno umano e l’affidamento a Dio.


“Rinfrancate i vostri cuori”, dice la Scrittura. Come possiamo fare questo? Come possiamo rendere più forti i nostri cuori, già di per sé piuttosto fragili, e resi ancora più instabili dalla cultura in cui siamo immersi? L’aiuto non ci manca: è la Parola di Dio.
Infatti, mentre tutto passa e muta, la Parola del Signore non passa. Se le vicende della vita ci fanno sentire smarriti e ogni certezza sembra crollare, abbiamo una bussola per trovare l’orientamento, abbiamo un’ancora per non andare alla deriva. E qui il modello che ci viene offerto è quello dei profeti, cioè di quelle persone che Dio ha chiamato perché parlino in suo nome. Il profeta trova la sua gioia e la sua forza nella Parola del Signore, e, mentre gli uomini cercano spesso la felicità per strade che si rivelano sbagliate, egli annuncia la vera speranza, quella che non delude perché è fondata sulla fedeltà di Dio. Ogni cristiano, in forza del Battesimo, ha ricevuto la dignità profetica: possa ciascuno riscoprirla e alimentarla, con un assiduo ascolto della Parola divina.
Ce lo ottenga la Vergine Maria, che il Vangelo chiama beata perché ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore (cfr Lc 1,45).
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venerdì 10 dicembre 2010

815 - Vangelo del 12/12/2010 - 3^ Domenica di Avvento, anno "A"

Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
+ Dal Vangelo secondo Matteo (11,2-11)
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
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814 - Omelia del 12/12/2010 domenica III Avvento

In questa terza domenica di Avvento, la liturgia ci invita a usare non il paramento viola come tutto il periodo di Avvento, ma il rosaceo perchè è la domenica
"Gaudete".

La figura di riferimento rimane quella di Giovanni il Battista.
E' in carcere e vuole sapere chi sia questo Gesù.
Sembra una domanda strana all'apparenza, ma in realtà nasconde un interrogativo di fondo.
Giovanni immaginava il Messia in un altro modo.
Pensava che portasse il fuoco del giudizio e, invece, scopre Gesù che predica con grande umiltà, proclama la misericordia e compie azioni a servizio delle persone più povere.
Ma è veramente lui il Messia?
La domanda potrebbe essere vista anche da noi oggi.
Gesù non risponde ai messi di Giovanni con discorsi o, meglio, il suo discorso sono le opere che sta facendo.
Solo così il regno di Dio è vicino e beato è colui che non si scandalizza del suo stile.
Dio, nella storia, si rivela proprio in questo modo.
Per questo Giovanni, che sta patendo, di fatto mette in pratica l'insegnamento evangelico di condanna di qualsiasi forma di oppressione e di potere nei nostri confronti.
Poi Gesù spiega chi sia questo Giovanni Battista.
O, meglio, prima dice ciò che Giovanni non è.
Non è una canna sbattuta dal vento, ossia una persona capace di cambiare bandiera, passando sempre dalla parte del vincitore.
Chi accetta questo modo di vivere, abita in splendidi palazzi e si disinteressa delle sorti della gente.
Invece è definito un profeta, anzi più di un profeta.
Però, nonostante la sua grandezza come uomo, nel regno dei cieli è essenziale sentirsi poveri, umili e semplici.
"Il più piccolo del regno dei cieli è più grande di lui".
Giovanni è un discepolo del regno, chiamato a vivere nell'umiltà e in grado di portare avanti il messaggio di Gesù.
E' l'uomo fedele alla sua missione e aperto alla novità di una salvezza che Gesù ha portato.

Vorrei fermarmi su due aspetti per rendere attuale tale brano.
1) Il primo riguarda Gesù che viene riconosciuto a partire dalle proprie opere.
Questo significa anche per noi la capacità di farci riconoscere come cristiani proprio dallo stile della nostra vita.
Non è sufficiente dire tante cose, ma si valuta la persona alla prova dei fatti, per vedere come agisce e le intenzioni per cui compie tali azioni.
Se a volte togliessimo, almeno in parte le nostre maschere, chissà cosa scopriremmo.
A volte gli spettacoli carnevaleschi durano per tutta la vita!!


2) La figura di Giovanni è trasparente, lineare, mirando all'essenziale, scegliendo la via dell'umiltà e non della grandezza e del potere.
E essere fedeli ai propri impegni, non cambiare parere da un momento all'altro, non mirare a logiche di comando.
Oggi il mondo ha bisogno di persone sante , di testimoni veri di Cristo, di profeti nel vero senso della parola.
Ossia persone che parlano a nome non proprio , ma del Vangelo, vivendo ciò che dicono.
Perchè la vera conversione avviene dentro il nostro cuore, nella trasparenza al Vangelo.
Giovanni diventa per noi un modello di santità vissuta nella fedeltà alla sua missione: preparare la via al Cristo che viene.


Buona domenica di Avvento.


don Luigi
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mercoledì 8 dicembre 2010

813 - Angelus del 8/12/2010 Immacolata Concezione di Maria Vergine

Cari fratelli e sorelle!

Oggi il nostro appuntamento per la preghiera dell’Angelus acquista una luce speciale, nel contesto della solennità dell’Immacolata Concezione di Maria. Nella Liturgia di questa festa viene proclamato il Vangelo dell’Annunciazione (Lc 1,26-38), che contiene appunto il dialogo tra l’angelo Gabriele e la Vergine. “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te” – dice il messaggero di Dio, e in questo modo rivela l’identità più profonda di Maria, il “nome”, per così dire, con cui Dio stesso la conosce: “piena di grazia”. Questa espressione, che ci è tanto familiare fin dall’infanzia perché la pronunciamo ogni volta che recitiamo l’“Ave Maria”, ci offre la spiegazione del mistero che oggi celebriamo.
Infatti Maria, fin dal momento in cui fu concepita dai suoi genitori, è stata oggetto di una singolare predilezione da parte di Dio, il quale, nel suo disegno eterno, l’ha prescelta per essere madre del suo Figlio fatto uomo e, di conseguenza, preservata dal peccato originale. Perciò l’Angelo si rivolge a lei con questo nome, che implicitamente significa: “da sempre ricolma dell’amore di Dio”, della sua grazia.
Il mistero dell’Immacolata Concezione è fonte di luce interiore, di speranza e di conforto. In mezzo alle prove della vita e specialmente alle contraddizioni che l’uomo sperimenta dentro di sé e intorno a sé, Maria, Madre di Cristo, ci dice che la Grazia è più grande del peccato, che la misericordia di Dio è più potente del male e sa trasformarlo in bene. Purtroppo ogni giorno noi facciamo esperienza del male, che si manifesta in molti modi nelle relazioni e negli avvenimenti, ma che ha la sua radice nel cuore dell’uomo, un cuore ferito, malato, e incapace di guarirsi da solo.
La Sacra Scrittura ci rivela che all’origine di ogni male c’è la disobbedienza alla volontà di Dio, e che la morte ha preso dominio perché la libertà umana ha ceduto alla tentazione del Maligno. Ma Dio non viene meno al suo disegno d’amore e di vita: attraverso un lungo e paziente cammino di riconciliazione ha preparato l’alleanza nuova ed eterna, sigillata nel sangue del suo Figlio, che per offrire se stesso in espiazione è “nato da donna” (Gal 4,4). Questa donna, la Vergine Maria, ha beneficiato in anticipo della morte redentrice del suo Figlio e fin dal concepimento è stata preservata dal contagio della colpa. Perciò, con il suo cuore immacolato, Lei ci dice: affidatevi a Gesù, Lui vi salva.
Cari amici, oggi pomeriggio rinnoverò il tradizionale omaggio alla Vergine Immacolata, presso il monumento a lei dedicato in Piazza di Spagna. Con questo atto di devozione mi faccio interprete dell’amore dei fedeli di Roma e del mondo intero per la Madre che Cristo ci ha donato. Alla sua intercessione affido le necessità più urgenti della Chiesa e del mondo. Ella ci aiuti soprattutto ad avere fede in Dio, a credere nella sua Parola, a rigettare sempre il male e a scegliere il bene.
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Medaglia di San Benedetto