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giovedì 21 ottobre 2010

770 - Omelia del 24/10/2010, domenica XXX t.o.

+ Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
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Il tema di oggi si collega a quello di domenica scorsa e riguarda la preghiera.

E' la famosa parabola del fariseo e del pubblicano.
Gesù dice questa parabola per coloro che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri.
Non è di per sé rivolta contro tutti i farisei, ma contro coloro che erano presuntuosi e volevano criticare gli altri.
Il racconto mette in scena due personaggi.
Un fariseo che prega tra se, ritto in piedi e ringrazia Dio per tutte le opere che lui stesso compie. E' sempre lui il soggetto, non Dio, e di fatto compie non un dialogo, bensì un monologo di autocompiacimento.
Il fariseo cerca la propria giustizia e ignora quella di Dio.
Inoltre, condanna l'atteggiamento del pubblicano, accusandolo durante la sua preghiera.
il pubblicano, invece, se ne sta distante , batte il petto e si affida alla misericordia di Dio.
Riconosce di essere un peccatore.
A questo punto, Gesù da un giudizio della situazione.
Il pubblicano torna a casa giustificato, mentre il fariseo che si considera giusto non riceve alcuna lode da Dio, perchè chi si esalta sarà umiliato e viceversa.
Tale parabola è un invito a porsi in modo corretto davanti al Signore, sentendosi bisognosi del suo perdono e del suo amore, compiendo opere buone ma senza vantarsene e non giudicando gli altri.
Il fariseo ha detto cose giuste e ha fatto cose belle, ma ha sbagliato il suo modo di rapportarsi con Dio, attribuendo a se stesso tutti i meriti.
In realtà, dentro di noi, coesiste un po' del fariseo e un po' del pubblicano.
Preferiamo essere lodati dagli uomini e ringraziare Dio perchè, in fondo , non siamo come certe persone che non vanno in Chiesa o si comportano male...
Dovremmo riuscire a vincere tale spirito di doppio gioco, il culto dell'apparenza, il formalismo esteriore, il rifiuto del diverso, la disistima verso il debole, la ricerca del successo, il bastare a noi stessi.
Più che criticare, siamo chiamati a riscoprire l'autenticità delle relazioni con Dio e tra gli uomini, sentendoci umili servi.
Anni fa sono stato a celebrare la Messa in un carcere e ho notato alcuni aspetti singolari.
La preghiera fatta con calma, una grande attenzione durante l'omelia, la partecipazione alle preghiere e ai canti.
Anche in certi ambienti, nei quali entri con tanti pregiudizi, Dio è all'opera e delle persone che hanno sbagliato possono iniziare un cammino di conversione.
Per questo vale la pena incontrare le persone per accorgersi quanto in ciascuno di loro e in noi possa trasparire l'umanità di Dio.
L'invito di oggi è quello di mettere, nella nostra preghiera, non noi ma Dio al centro.
Quando ci incontriamo con Dio, non ascoltiamoci pregare, non guardiamo solo noi stessi, ma prendiamo coscienza della nostra povertà aprendoci al perdono di Dio , al Suo Amore.
Don Luigi T.
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